PREMESSA dell'Associazione
L'ASSOCIAZIONE: Le sue attività
Cantilene e filastrocche varie...
Angulareddu, mussu d'aneddu;
Nasu nasiddu,
Occhi a pittusiddu;
Frunti di balata,
E te 'na timpulata.
Susiti cristianu a la matina,
Fatti na cruci e pìgghiati 'na curuna,
Poi rappresenta la Matri Divina,
Chidda chi tanti razzi mi runa.
Dumani è duminica,
Cci tagghiu a testa a Minica;
Minica 'un c'è,
Cci tagghiu a testa o re;
'u re è malatu,
Cci tagghia a testa o surdatu;
U surdatu fa la verra
E duna lu culu 'nterra
'U Bambineddu ja a scola
E àppi rata 'na mustazzola:
Era ruci e zuccarata
Viva Cuncetta 'Maculata.
Zucutu zucutu mulineddu,
Tagghia pani cu mezzu cuteddu;
'u cuteddu si rumpiu
E 'u figghiu meu carìu, carìu.
I RACCONTI
degli anziani di Tangi ai ragazzi dell'Istituto comprensivo A. Manzoni di Buseto Palizzolo
Ogni cosa torna utile
La grande fame
La legge del più forte
Il migliore amico
Testa che nun parla si chiama cucuzza
Ci si aiuta fra i poveri
Quattro fave nove lire
Le testimonianze sono state rilasciate da:
Augugliaro Francesco, Scuderi Filippa, Salerno Salvatore, Mangiapane Giuseppe,
Fanzone Nicolò, Angelo Salvatore, Ditta Pietro, Melilli Giuseppe
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La leggenda del grano |
La semina
La preparazione del terreno per la semina, in tutto il territorio dell'
Agroericino
, cominciava ad Ottobre, dopo le prime piogge. Inizialmente veniva usato l'aratro a chiodo (aratu a chiovu) trainato da una coppia di animali; in seguito l'aratro (a scocca), per il quale era sufficiente un solo mulo.
Si praticavano preliminarmente due solchi lungo il perimetro dei confini (finaita), per evitare che gli animali legati all'aratro potessero entrare nel fondo dei vicini. Si dava così il primo colpo di vomere (ciaccare), che si sviluppava in senso diagonale a partire da uno degli angoli del terreno.
A Novembre si tornava ad arare una seconda volta (rifunniri), sempre in senso obliquo ma questa volta perpendicolarmente al primo solco in modo da incrociarlo a reticolo. Le varietà di frumento più diffuse che si seminavano erano: la rrussulidda e la tumminia.
Prima di seminare si tracciavano con l'aratro solchi paralleli a quattro-cinque metri di distanza l'uno dall'altro, quanti ne poteva contenere il terreno. Si ricorreva più frequentemente al sistema tradizionale della semina a spaglio (a spagghiu, a pruvinu). Un diverso modo di seminare era quello a solco (a sulcu) si usava uno speciale imbuto dalla lunga cannella (mutu di siminari) all'interno del quale si introducevano i semi, che venivano a cadere direttamente dentro il solco tracciato dal vomere.
Dopo, si faceva passare l'erpice, una sorta di grande rastrello formato da un'intelaiatura di legno o di ferro munita di denti lunghi e sottili. Dopo la semina seguiva la fase della pulitura, quando il grano era già alto alcuni centimetri.
LA SEMINA (Rievocazione)
L'Associazione avvia il ciclo di produzione del grano scegliendo ogni anno un appezzamento di terreno e, prima di "siminari", lo lavora con antichi metodi.
Questa fase vede coinvolti, già da diversi anni, i giovani che pur essendo a conoscenza delle varie fasi di vita contadina, non erano mai stati coinvolti direttamente. Tutt'oggi quindi sono gli alunni (Istituti Comprensivi "A. Manzoni" di Buseto Palizzolo" e "D. Rubino" di Fulgatore), che accompagnati da alcuni insegnanti e assistiti dai volontari dell'associazione, portano a termine il lavoro, dalla semina alla scerbatura, la cosiddetta "zapppuliatina", affinchè il campo sia pronto per la mietitura.
Il tutto si realizza anche con il... lavoro di Marcellina, Domenica e Clementina, le asinelle-volontarie dell'Associazione.
La mietitura
A metà giugno cominciava la mietitura che poteva durare al massimo fino alla fine del mese.
Su una salma di terra potevano lavorare fino a dieci mietitori, tra uomini e donne.
Ognuno di essi si metteva al busto un pettorale, un manicotto di tela al braccio destro e ditali di canna al mignolo,
all'anulare e al medio della mano sinistra. Per ogni chiurma d'òmini c'era sempre un legatore (liatùri).
Ogni lavorante con la mano sinistra afferrava al gambo un pugno di spighe e lo segava con la falce.
Il mietitore annodava il fascio attorcigliando alla base lo stesso gambo di una spiga.
Dietro di lui un altro mietitore eseguiva la stessa operazione e disponeva un secondo fascio sul primo, con la legatura
in questo caso volta verso il basso in modo da farla coincidere con la precedente.
Il liaturi, correndo da uomo ad uomo, da sinistra verso destra e viceversa, raccoglieva ad uno ad uno i fasci allineati
a terra con l'ancinu grosso uncino di ferro tenuto nella mano destra, e li incastrava dentro l'ancinedda impugnata
con la sinistra fino ad un massimo di sei emmiti.
Il legatore staccava dal fianco un liamu, la stendeva per terra e vi poneva prima cinque emmiti altri quattro e,
aiutandosi con il ginocchio, li legava insieme da formare una gregna.
LA MIETITURA. (Rievocazione)
La fase della mietitura è stata inserita nel programma della manifestazione dalla IV edizione di "Naturalmente a Tangi".
In un primo momento è stato difficile convincere i volontari, memori delle fatiche passate a reimpugnare la falce e ad indossare
"canneddi, falari e razzolu", ma visto l'interesse suscitato dal pubblico, ci si è resi conto che con l'inserimento della mietitura
la manifestazione avrebbe assunto una maggiore valenza culturale.
Con la mietitura infatti, è venuto ad aumentare l'interesse del pubblico, dei volontari stessi, della carta stampata e delle televisioni
locali e regionali, come Rai 3 Regione.
La cacciatina
Dopo circa una settimana il tempo necessario perché i mazzi raccolti e disposti in covoni (a cavaddunciu) si asciugassero al sole,
si cominciava a trasportarli sull'aia dove sarebbero state eseguite le ultime fasi di lavorazione.
Il trasporto avveniva sempre all'alba o al tramonto, per evitare che il calore delle ore di punta del sole potesse rompere le spighe
per far disperdere i grani. I mazzi erano caricati sui muli o sui carretti. L'aia doveva avere precise caratteristiche:
doveva essere pianeggiante, esposta al vento e naturalmente incolta. Si delimitava un cerchio di otto-dieci metri di diametro,
con la zappetta si liberava il terreno dalle stoppie e dalle frasche e si spianava le superficie, eliminando eventuali convessità.
Si puliva poi con una ramazza, si bagnava e vi si sparpagliava infine uno strato di paglia, si disponevano allora i mazzi all'interno
del cerchio, si sfasciavano e attorno alla circonferenza si mettevano altri covoni non ancora slegati perché il grano non si
disperdesse oltre il limite segnato. Con un tridente di legno si rivoltavano i fasci dentro l'aia e si lasciavano asciugare al sole.
La battitura (pisata o cacciata) era eseguita nelle ore più calde della giornata.
Entravano nell'aia gli animali, in genere una coppia di muli che giravano appaiati nello stesso senso rotatorio.
Un uomo che si trovava al centro dell'aia e reggeva le estremità delle redini, colpendo le bestie con una sferza non restando mai
fermo ma correndo sempre dietro alla coppia che girava al trotto. Altri uomini attorno alla circonferenza del piano badavano
nel frattempo a rivoltare con la trarenta i manipoli sotto il passo degli animali (vutari l'aria).
La battitura poteva ripetersi per tre-quattro volte a seconda della quantità e del volume delle spighe e del caldo della giornata.
Quando tutte le spighe avevano liberato il grano e i fusti erano ridotti a paglia, la coppia di muli era portata fuori dall'aia
al grido "A lu ventu" che si avviava così l'ultima operazione, quella cioè di separare il frumento della pula,
operazione che veniva fatta quando soffiava possibilmente la tramontana.
Gli uomini mettevano la camicia fuori dai pantaloni e come cappuccio un sacco di lino per evitare che la pula e reste,
polvere e pagliuzze si attaccassero al sudore della pelle.
La spagliata (spagghiatina) consisteva nel lanciare in aria il grano misto a paglia per mezzo di tridenti dai rebbi più larghi.
I lavoranti si disponevano in linea e scagliavano controvento le spighe affinche i chicchi di frumento più pesanti ricadevano
perpendicolarmente al centro dell'aia, la paglia era sospinta fuori dal cerchio, a formare la così detta margiunata deposito
a forma di semicerchio. Infine per un ultima selezione il grano si ventilava con la pala di legno (paliari):
si puliva in tal modo della terra e si scartavano le spighe rimaste intatte e non completamente sgranate.
Il grano raccolto era sistemato a mucchi (a bbaruni) al centro dell'aia e qui si effettuavano le prime cemiture con il
crivello di cuoio (crivu d'aria) che si agganciava sospeso, mediante una corda, ai rebbi di una forca a tre vertici.
Si procedeva quindi a calcolare e a dividere la quantità del raccolto (spartiri l'aria).
Unità di misura era u tumminu pari a circa 18 Kg. Per una salma di frumento occorrevano sedici tummini.
Unità di misura inferiori erano u munneddu che corrispondeva a Kg 4,5 e la u quartigghiu con capienza di 1 Kg.
Il grano era poi versato in appositi sacchi di tela e caricato per il trasporto a dorso dei muli.
Il grano dell'annata si conservava nei cannizzi, alti contenitori di canne intrecciate, a forma cilindrica senza basi.
Poggiato sul piano di legno che preservava il contenuto dall'umidità del suolo, il cannizzu consentiva la perfetta
traspirazione del prodotto, impedendo che cominciasse a gigghiare.
LA CACCIATINA. (Rievocazione)
Con i volontari, con gli attrezzi ancora funzionanti recuperati dai "maiseni", e con una cavalla messa a disposizione da un caro amico,
si procede prima al trasporto delle gregne dal campo all'aia (la cosiddetta stravuliatina) e successivamente alla cacciatina,
spagghiatina e insaccatina. Il tutto viene svolto in un clima di festa, accompagnato da musiche di gruppi folkloristici
con la ballata della cuntrananza nell'aia e con un toccante momento di preghiera che si conclude con la benedizione dei campi,
dei prati e dei pascoli da parte del parroco della contrada.
Al termine della giornata viene offerto a tutti gli intervenuti "u pani cunzatu" realizzato dalle massaie nei forni privati,
tradizione quest'ultima che si rinnova fin dalla prima edizione di "Naturalmente a Tangi".
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LE FOTOGRAFIE
le fasi della mietitura
ll museo della storia e degli attrezzi
il coro ERICE FOLK nella giornata della festa
RICERCHE SULLA CULTURA POPOLARE
Proverbi e detti popolari...
Sprazzi di saggezza o arguzia contadine...
Calendario e meteorologia...
Il contadino medico ed erborista
Consigli di pratica utilità...
Superstizioni e credenze popolari
La leggenda del grano
Canto del contadino durante la cacciatina
Oh! Gesù, Maria, Giuseppi, Sant'Anna,
Santu Jacu, Santo Jachinu, e la Maronna,
E tutti li Santi di lu Paradisu
Nn 'aiutanu a mmia e a ttia,
Poviru armaleddu,
E gìrati nna 'sti canti canti
Cci su l'Angiuli e li Santi.
A vvi cina ti a la cantunera,
Chi cc'è l'Angiulu cu la bannera,
E San Matteo e San Martulumeo
E quannu è ura di nèsciri
L'aju adiri jà.
Per ingrandire l'immagine cliccate sulla stessa
Un anziano commenta le fasi della mietitura - (al microfono, il poeta dialettale, nelle vesti di presentatore, Giuseppe Vultaggio)
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