Giuseppe Ingardia























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"Tempura di lu Signuri" di Giuseppe Ingardia

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VI Tempo - «Tempu di Tunni»

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Coro delle Egadi - canto: Aiamola


Ma Giugno è anche «Tempu di tunni», ovvero particolare fenomeno atmosferico in cui l'aria si fa cupa, afosa, il sole scompare.
Il tempo in cui si dice che i tonni entrano nelle tonnare, in un periodo compreso tra metà maggio e la prima decade di giugno, indicativo per il Rais (termine arabo equivalente a capitano di bastimento) che ricorre a tutta la sua maestria per dire alla «ciurma» che è il tanto atteso momento di «mactare» (ammazzare) il tonno, dopo aver disposto le barche a quadrato, attorno alla camera della «morte» e costretto i tonni ad assommare per un quasi suicidio collettivo in cui, storditi, vengono agganciati dai tonnaroti.
E sono fasi ritmate da preghiere e antiche cantilene, di una cerimonia cruenta, di primitiva barbarie.
Un tempo la Sicilia Occidentale da Magazzinazzi a Castellammare, Scopello, San Vito, Cofano, Bonagia, San Cusumano, Formica, Favignana, Nubia, Capo Granitola, era ricchissima di tonnare adesso ridottesi a quelle di Favignana e di Bonagia-San Cusumano, di proprietà della famiglia trapanese dei Castiglione (succeduta ai Florio ed ai Parodi di Genova) che ha notevolmente cambiato siti di pesca e modo di gestire il personale.
Adesso i «rais» cambiano con una certa frequenza.
Ma di questo ben di Dio ai trapanesi restano solo le briciole ed a carissimo prezzo, poichè queste pregiate carni dal gusto unico al mondo finiscono in Giappone in cambio di tonni congelati.
Sulle tavole locali sorride un po' di tonno «marinato» o arrosto, il «lattume» fritto e nel corso dell'anno il tonno all'olio, la «bottarga» (uovo di tonno) salata ed essiccata, il tonno salato.
La mattanza, un fatto di economia, folcklore, tradizioni, un rito sacro, è legata a terminologie, credenze, proverbi, modi di dire e curiosità davvero fantasiose.
Dove «butana» è la rete di canapa usata per riparare le reti della tonnara.
«Muciara» (nell'agro ericino sinonimo di collina rocciosa circondata da alberi di ulivo) qui è invece il barcone.
«Pigghiari lu tunnu» significa fare buona pesca.
«Essiri jttatu comu un tunnu» equivale allo stare sdraiati a terra senza ritegno.
«Fari tunnina di unu» vuol dire ridurre a polpette una persona.
«U bagghiu o mafaraggiu» è il posto dove vengono conservate tutte le attrezzature della tonnara e quindi la dimora dei tonnaroti.
«Cruciari a tunnara» significa scegliere il luogo in cui calare e fissare le componenti della tonnara.
Una volta si «cruciava» il 3 maggio, festa della Santa Croce. Da questo giorno, quindi, probabilmente deriva il termine.
«Va sbafa a tunnara» è la fatidica frase con la quale il Rais ordina di aprire la tonnara.
Secondo una credenza popolare, a Favignana dicono che il tonno (personaggio principe della mattanza, da non configurarsi come barca che salpa ma come simbolo della stessa vita che deve continuare) nel momento in cui muore, emette come un muggito impercettibile.
E «si tu vidi la cisa di li tunni, certu resti 'nzunzatu a tutti banni». E c'è pure un duetto in vernacolo tra il tonno e il pescatore.
«Dissi lu tunnu: Chi sugnu 'nfatatu / ca tutti stati spiranza di mia? / E si li surri v'ajti pigghiatu / li paghiriti cu la pliggiaria. / Zittuti, Tunnu cani scillaratu / cca tutti stamu spiranza di tia. / E si li surri nn'avemu pigghiatu / li paghiremu salannu a tia!». A Sant'Antuninu viene fatta una tredicina il cui ultimo giorno coincide con il disfare le tonnare: «Si tagghianu li tunnari».
E la pesca più ricca si registra il giorno di Sant'Antuninu: «La vera 'cisa è lu jornu di Sant'Antuninu!».
Un tempo a Favignana (ma qualche anno viene ancora ripetuto il seguente rito) quando i tonni tardavano ad entrare nella tonnara, i marinai prendevano un quadro di San Francesco di Paola e a poco a poco lo immergevano in mare gridando: «Ah ca vi buddamu! Ah ca vi buddamu!» Quindi lo «buddavanu» (immergevano) davvero continuando a ripetere l'operazione finchè i tonni «nun muntavanu».
Quando la pesca era scarsa, prendevano la statua di Sant'Antuninu (protettore delle tonnare) e la gettavano in mare, in segno di benedizione. Fatto ciò, pare che i tonni venissero in massa ad onorare una ricca mattanza. E per parecchi anni Sant'Antuninu divenne addirittura «magazziniere», poichè i tonni «matàti» venivano scaricati nella sua chiesetta vicino la spiaggia. Da ricordare infine il rituale «U tunnu di la Maronna», anticamente introdotto dagli affittuari ericini della tonnara di Bonagia (in origine appartenuta alla famiglia Stella Casteldimirto di Palermo, quindi per testamento all'ex monastero di Santa Chiara di Palermo e infine, a seguito ricorso in Cassazione, alla Congregazione di Carità di Palermo che prevalse sui signori Carini, eredi leggittimi della duchessa di Casteldimirto).
L'uso consisteva nel dare per elemosina alla Madonna di Custonaci, il più grosso tonno pescato che, a metà maggio, veniva portato ad Erice e venduto in piazza Mercato al prezzo fissato dai donatori, più basso del normale per consentire alla povera gente di acquistarlo.
A Porta Trapani un corteo attendeva un carro con il tonno, che due facchini caricavano a spalla gridando: Viva Maria di Custonaci! Il corteo, preceduto da un tamburino, sfilava commendando la grandezza del tonno, il ricavato che poteva venire, eventuali ingiustizie.
In piazza Mercato si squartava il tonno, si separava la «surra», la «curidda» e la «tunnina» ed iniziava la vendita con l'assistenza di due guardie municipali.
Un deputato della Madonna prendeva quindi in consegna il ricavato. A questo punto sarebbe imperdonabile dimenticare di trattare di un'altra Madonna: quella dei "tonnaroti" di Favignana.
E quindi delle edicole sacre favignanesi (che richiamano le "fiureddi" che ancor oggi si possono ritrovare nelle frazioni trapanesi e con le quali il popolo custodisce qualche Santo al quale dimostrare la sua devozione).
Dietro lo stabilimento della Tonnara di Favignana, troviamo un Calvario recintato ed all'interno un dipinto su tavola (50 cm. x 40) che rappresenta la Madonna dei Tonnaroti (recentemente restaurata) che stringe forte al petto un "tonnetto".
Un tempo più che mai l'economia isolana era legata alla mattanza ed il tonno veniva considerato un pesce sacro che, come Gesù Cristo sul Calvario, s'immola per la salvezza materiale dei pescatori locali.
E sicuramente per questo motivo il dipinto della Madonna fu commissionato ad un pittore ancora oggi anonimo, con un particolare eccezionale: il tonnetto tra le braccia e la raffigurazione di un arpione a tre punte (i tre chiodi alle mani ed ai piedi del Cristo crocifisso) la cui simbologia è lapalissiana.


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