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Chiesa e Monastero di SANTA TERESA in Erice

Il prospetto della Chiesa

Un’altra chiesa nel percorso fotografico che vi presento: “MONASTERO E CHIESA DI SANTA TERESA” in Erice. – Uno scritto quello che segue della Signora Angela Luisa – tratto da: www.tuttoerice.com – Il monastero di Santa Teresa fu fondato ad Erice nel 1671 dai ricchi fratelli Tommaso e Maria Badalucco, discendenti del patrizio ericino Giuseppe Badalucco il quale nel suo testamento aveva disposto che, in mancanza di eredi diretti, i suoi beni dovevano essere destinati alla fondazione di un monastero di Carmelitane. Essendo i due fratelli gli ultimi rappresentanti della famiglia, fecero adattare il loro palazzo alla nuova destinazione d’uso.

Nel 1701 un primo gruppo di suore, Carmelitane scalze di S. Teresa d’Avila, entrò nel convento; esso, godendo di una rendita di oltre 600 scudi l’anno, era uno dei più ricchi di Erice.
Le suore, oltre che alla preghiera e alla stretta osservanza della vita claustrale, si dedicavano alla preparazione di dolci, al ricamo, e alla realizzazione di “campane” con manufatti in ceroplastica; Nel 1860 vi erano sedici suore e il monastero funzionava normalmente, ma dopo il 1866, con la soppressione degli enti ecclesiastici, fu chiuso.
Raffinati paramenti ecclesiastici, di produzione ericina, caratterizzati da ricchi ricami policromi su seta o raso, sono conservati nelle chiese di Erice. Nel Museo della Chiesa Madre si può ammirare un paliotto, probabilmente dei primi anni del 1700, arricchito da ricami e con al centro la figura di Santa Teresa e del pellicano che nutre i suoi piccoli con il sangue del suo petto come riferimento simbolico a Cristo che salva i fedeli con il sacrificio del proprio sangue. Questo paliotto proviene dalla chiesa di S. Cataldo dove vennero conservati i paramenti sacri della chiesa carmelitana; purtroppo, data la mancanza di documenti e di segni di riconoscimento, allo stato attuale non è possibile distinguerli da quelli della chiesa parrocchiale; lo stesso deve purtroppo registrarsi per le suppellettili in argento: sono riconoscibili solo alcuni perché dotati di segni iconografici tipicamente carmelitani. Alcuni quadri provenienti dalla chiesa e dal monastero si trovano attualmente in deposito al museo “Cordici” e sono in cattivo stato; un altro, la “Sacra famiglia” di Domenico La Bruna, del XVIIIsec, si trova esposto al Museo.
I locali del monastero furono utilizzati nei primi decenni del novecento come sede di un Collegio di Studi; durante l’ultima guerra, la chiesa divenne un magazzino di derrate alimentari; in seguito, vi si ospitò il Convitto Sales e, infine, la Scuola Alberghiera. Oggi il Comune sta tentando un recupero; un’ala è già utilizzata per mostre, meetings, stages e manifestazioni varie ma, in un prossimo futuro, si auspica il trasferimento in loco del Museo Comunale e della Biblioteca.
Il monastero di S. Teresa è, comunque, ricordato dagli anziani soprattutto per la produzione di manufatti in ceroplastica: di tale attività le suore si occuparono per tantissimo tempo, certamente già dai primi decenni del XVIII sec. fino alla scomparsa delle due ultime suore alla metà del secolo scorso. Le suore erano espertissime nel manipolare l’impasto ottenuto con amido e gomma arabica: si trattava di un lavoro delicato; se ne poteva preparare un piccolo quantitativo per volta perché in poco tempo si asciugava e diveniva inutilizzabile; lo si ricopriva allora con una foglia di vite per mantenerlo morbido un po’ più a lungo; man mano se ne prelevava una piccola parte, che veniva stesa su carta oleata fino a farla diventare una foglia sottile dalla quale poi ricavare foglie, petali, colombe in miniatura……un lavoro certosino che richiedeva pazienza, grande abilità manuale e creatività: si, perché tante campane che possono sembrare uguali ad un’occhiata superficiale, in realtà non lo sono mai, c’è sempre qualcosa che le differenzia.
Dopo la chiusura del monastero la produzione fu proseguita dalle due ultime suore carmelitane, suor Adriana Barbera e suor Benedetta Calamusa, che furono trasferite al monastero di san Carlo probabilmente quando si decise di aprire il Collegio di studi. Anche in quella sede, che si caratterizzava per la produzione di dolci, esse realizzarono tanti racemi e decori e addobbarono bambinelli protetti dalle “campane”. Le ex-ricoverate di San Carlo ricordano che i bambinelli venivano scelti in cataloghi e mandati a ritirare dai bambinai palermitani. Anche padre Aiuto, ultimo beneficiale di S. Maria della Grazia, nel suo diario registra che quando nel settembre del 1914 suor Beatrice e suor Veronica presero in consegna la statua in ceroplastica di Maria Bambina si rivolsero ad un certo bambinaio Salvatore Minà di Palermo per rifare le manine e i piedini in cera; con questo artigiano le suore erano in contatto “per lavori di simil natura”.
Alcuni esemplari tipicamente ericini sono oggi esposti al Museo “Cordici”, altri vengono gelosamente conservati da numerose famiglie ericine, altri ancora si sono dispersi nel mercato antiquario o sono stati trafugati.
La Chiesa fu costruita tra la fine del ‘600 e i primi del ‘700. Come buona parte delle Chiese ericine ha un prospetto semplice con un portale piatto di gusto rinascimentale e, in alto, le celle campanarie alle quali si accedeva dalla sacrestia.
L’interno, a navata unica, è pavimentato con maioliche napoletane del ‘700 che si distinguono da quelle di altre Chiese (S. Martino, S. Carlo, SS. Salvatore) per la delicatezza dei colori. Nel primo altare a sinistra, oggi sguarnito, vi era in origine una tela con S. Giovanni della Croce del pittore trapanese La Bruna, donata, come il Crocifisso del secondo altare, da Maria Badalucco. Nel primo altare a destra vediamo una statua di S. Giuseppe con il Bambino Gesù, in tufo, mentre nel secondo altare è una Nostra Signora del Carmelo, su tela, proveniente da Palermo.
L’organo è del 1850, il pulpito del 1853. I gradini dell’altare principale sono in marmo libico rosso. Gli ornamenti, realizzati nel 1744, sono in stucco, come anche le quattro statue di chiaro influsso serpottiano, anch’esse di Pietro dell’Orto, e che rappresentano LA GIUSTIZIA, LA SPERANZA, LA FEDE, LA PRUDENZA.
Nel cappellone dell’altare maggiore vi è un’iscrizione che ricorda il trasporto del corpo di Maria Badalucco dalla Chiesa del Carmine all’interno del monastero. A destra e a sinistra, le statue di due profeti tanto cari alla religiosità carmelitana: Sant’Eligio (a dx) e Sant’Elia (a sn).
L’altare, adornato da lamine in argento e specchi, era considerato dal popolo il più bello delle Chiese di Erice. Il vandalismo lo ha , purtroppo, spogliato quasi interamente della sua raffinatezza, ma ciò che resta, se appena osservato da vicino, può dare un’idea delle capacità degli artigiani ericini del secolo XVIII. Nei depositi della chiesa Madre sono conservati due elementi di questo altare: il ciborio in argento e specchi e lo sportello del tabernacolo foderato di metallo dorato su cui sono applicate le figure del Cristo e di Santa Teresa in argento cesellato e scolpito, con il marchio di Trapani.
Gli affreschi del soffitto, infine, sono anch’essi del ‘700, ma ampiamente rimaneggiati verso il 1953 dal pittore e decoratore ericino Augugliaro, detto “’u scarvacchiu”.
Chiusa per circa quarant’anni, la chiesa è stata riaperta da qualche anno, saltuariamente, dopo lavori di consolidamento del tetto.
Il presente testo è stato tratto dal sito:  www.tuttoerice.com

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