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JAKA visto da Patrizia Lo Sciuto

Patrizia Lo Sciuto

Gli artisti salveranno la specie umana che è disumana“. Con questa frase oggi mi accingo a scrivere i miei pensieri, dopo aver assistito al concerto di JAKA del 30 settembre nella piazza di Paceco (Trapani).
Seduta a terra sul basolato della piazza. Mia madre da bambina giocava qui, magari a saltarello. C’è tantissima gente. Aspetto. Molti sono seduti sulle sedie portate da casa ma saranno costretti più tardi ad abbandonare il loro stile casalingo. Mi rivedo adolescente.


Jaka

Il primo concerto della mia vita fu allo stadio di Trapani. Di concerti ne ho visti tanti. Amo tutta la musica, quella colta e quella bistrattata, quella rock e quella rai, quella reggae e quella barocca. Ascoltare la musica dal vivo è sempre un’esperienza magica, soprattutto se a suonarla sono artisti speciali. Appena arriva sul palco, JAKA invita tutti ad avvicinarsi a lui. Pochi minuti prima ero stata spinta brutalmente da una persona della protezione in-civile perché ero troppo vicina al palco. Giuseppe Giacalone, in arte JAKA, è una persona speciale, un vero artista. Ho la sensazione che la sua voce arrivi da lontano, da un passato fatto di ricordi d’infanzia, di canzoni in dialetto siciliano ascoltate sulle gambe di zia Maria, un passato misto di note lontane che provenivano dallo stereo della stanza accanto alla mia. Mia sorella stava tutti i pomeriggi ad ascoltare Bob, il re gamaicano. Inizia il concerto. Tutte le braccia del parterre sono verso il cielo. La voce di JAKA attraversa il suo cuore e arriva al cuore di noi tutti. La piazza gremita di gente comincia a scaldarsi. JAKA, affiancato da artisti eccezionali quali la Michelangelo Buonarroti Band, le coriste Queen Mary e Prestijhiacomo Sisters, interpreta ogni canzone con uno charme diverso.
Ogni parola nasconde una storia dietro. Le sue canzoni sono matrioske colorate di sentimenti intensi. Come le matrioske, esse si compongono di parole/pezzi di intensità emotiva con dimensioni variegate. “Vivere” la musica di JAKA con il cuore è spontaneo. Con l’ascolto di ogni sua canzone si trova inconsapevolmente il pezzo/parola sostanziale come la bambolina seme della matrioska, che è il pezzo più piccolo e nascosto.
JAKA non si risparmia sul palco. Un leone. Salta, balla, canta. Le note vibranti e seducenti della sua musica attraversano pure i muri della chiesa. Accanto a me le ragazzine mi spingono. JAKA è acclamato. Dietro di me un uomo baffuto mi chiede di spostarmi, non riesce a vedere. Il pubblico è composto da persone di ogni età. La musica di JAKA unisce tutti e non ha cancelli. E’ una Sicilia giamaicana stasera, mista di atmosfere intense. Ascolto i testi delle canzoni di JAKA. Sono storie intrecciate di emigrati nostalgici della propria terra, di madri di figli inghiottiti dal disagio sociale, di guerre silenti, di scelte di politici beceri, di padri che subiscono la crisi economica, di luce interiore che rafforza l’essere. Mai volgarità o violenza nelle sue parole, come è comune nell’hip hop. Le canzoni di JAKA sono avvolte da un’eleganza di stile come un velo dai colori siciliani. JAKA sventola sul palco la bandiera della Trinacria e canta Benvenuti in Sicilia. Alle note di Spiritual R-evolution mi commuovo e insieme a me anche la ragazzina che mi pesta il piede da un’ora perché salta entusiasta.
Sento che ognuno di noi si identifica con le storie che emergono dai testi di JAKA. La sua forza è nel parlare al cuore di tutti. A Erice arriva. La morale di una società piccolo borghese impedisce di vivere un amore sincero. L’abbiamo subìto tutti… e tutti acchianamo nella montagna sacra per ritrovarci.
La musica di JAKA è un mosaico ricco di stili reggae, ska, hip-hop… Chiudo gli occhi. La piazza sfida il ritmo della discoteca più calda di Parigi, La chapelle de Lombard. Paceco è infondo una piccola Parigi… Osservo i lunghissimi dreadlocks del bassista della band e rivedo i meravigliosi rastamans della metropoli parigina. Dopo due ore e mezza di concerto il pubblico non si arrende. Si spengono le luci sul palco. Si placa la folla scatenata. Non importa chi siamo, da dove veniamo, importa cosa lasciamo.

Patrizia Lo Sciuto

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