La costruzione per motivi militari, viene attribuita ad Amilcare Barca durante la prima guerra punica.
Il cartaginese difatti, conquistò quella che allora poteva essere un villaggio sicano (Trapani), trasformandolo poi in città con delle fortificazioni e circondandolo di mura.
Per popolarla, sembra abbia fatto emigrare molti ericini a valle. (Fardella Giuseppe, Parroco – Annali della Città di Trapani – Ms. 193 – Biblioteca Fardelliana).
Così su quella isoletta o scoglio sorse la prima fortificazione con torre. Il suo nome fu Peliade.
Questa precisazione sul villaggio sicano, fa supporre che Trapani sia nata solo come porto, a valle di Erice, ma comunque postumo a quello sul litorale di Pizzolungo, dove approdò e fu sepolto Anchise, padre di Enea. Oggi anche gli archeologi concordano che la nascita del la città sia avvenuta durante il periodo punico, appunto attorno al porto naturale che serviva ai cartaginesi come base delle loro battaglie.
“Nel principio che i Greci e Cartaginesi incominciarono a perseguirsi con armate a vicenda, et [...] che allora i Cartaginesi, vedendo che così «andavano» per tutto l ‘occidental mare dell’ Isola trascorrendo, com’ essi facevano per l’ orientale dì quella, edificassero in su i più meridionale dì quei scogli, che alla città di Trapani ci hanno mostrato esser vicini, quell ‘antichissima torre che poi [...] fu Colombaia chiamata: affin che ella, col fuoco allumiliatovi sopra, avesse a quelli lor legni, coi quali sovente nel porto di questa città per i loro affari venivano, potuto quasi addetare da lunge i suoi vicinissimi scogli che da schivare vi avessero, et il porto insieme, dove, vedendo, ìntrar e sorgere agiatamente potessero”.
Questa la descrizione fatta dal Pugnatore (Ms. 256 – Bibl. Fard. TP) dell’origini della Colombaia e aggiunge
“E forse anco allora fu fatta da loro tra’ scogli dei suoi fundamenti quella grande e cupa cisterna che oggi (nel XVI sec.) tuttavia dentro all’istessa torre si vede; accio che, mentre l’armate loro in porto ivi stessero, elle avessero quindi potuto provvedere di bon’acque da bere, se non per tutte la gente almeno per le più onorevoli tavole: [...]“. Poiché “Non have Trapani altre acque per questo bisogno più prossime, essendo quelle delle private cisterne poco per avventura [...] e basterevoli”.
Da ciò traspare chiaramente che fin da tempi remotissimi la città aveva penuria d’acqua e la conoscenza di questa grossa cisterna nella Torre della Colombaia è sicuramente un dato di l’alto che sta a significare la sua origine militare.
Ma il Pugnatore aggiunge che alcuni per accrescere l’antichità della Torre, dicano ch’essa fu costruita ancor prima della venuta dei Cartaginesi, “Ma ancora nell’ istesso primo principio di Trapani, tanto per poter quei pochi abitatori, che prima vi venissero, aver quindi vedetta di vasselli nimici, che da lontano venissero, quanto potervisi ancor retirar dentro sicuri da’ nitmici di terra”. (Ms.256 -Blbl.Fard.TP.).
Ma lo stesso Pugnatore continua questa argomentazione, che comunque afferma, essere opera costruita «Forse più duemila anni». Affermazione fatta verso la fine del XVI sec. in quanto il manoscritto del Pugnatore è datato 1595.
Altre fonti e secondo alcune tradizioni, sarebbe stata costruita dai Troiani fuggitivi i Villabianca, Torri), ma di ciò non si ha alcuno avallo storico plausibile.
Da queste fonti si può quindi azzardare approssimativamente una data che fa risalire la Torre attorno a XXIV secoli fa, anche se nulla di quel tempo rimane.
Successivamente l’ isoletta cadde sotto l’assedio romano. Fu il console Numerio Fabio che assediò la città e conquistò Peliade (la Colombaia) in una sola notte, sterminando il presidio cartaginese. Abbandonata, la Torre fu ridotta a nido di colombe.
E dalle colombe trae origine il suo nome attuale. Sembra infatti che secondo alcune fonti, un mito pagano faceva considerare sacre queste colombe alla dea Venere, avente culto per l’appunto sulla vetta ericìna. «Plejades… des colombes du moni Erix, qui se rasseur, blaient sur ce rocher, au moment deleur de part pur l’Afrique» (Gigault pag. 21).
L’ isoletta, come si legge nel testo francese, serviva con molta probabilità alle colombe come ponte di appoggio prima di spiccare il volo verso l’Africa.
La cosa è confermata anche da una antichissima tradizione orale. In onore della Venere ericina a Trapani il 23 aprile si festeggiava il katagoghia cioè l’inizio della bella stagione, detta «a staciuni», liberando una moltitudine di colombi che si alzavano in volo. La stessa cosa avveniva sul Monte il 25 ottobre con l’ anagoghia, con l’entrata cioè dell’autunno. Le due fasi dividevano l’anno in due parti: la primavera-estate e l’ autunno-inverno, le quali ci danno il significato di come le stagioni intermedie nella Sicilia occidentale siano quasi indistinguibili.
Dopo questa ricostruzione leggendaria, vi è un lasso di tempo più o meno ampio in cui non si sa più nulla. L’ unica cosa certa è che gli Orientali rifabbricarono la Torre che servì a uso di faro.
Secondo il Polizzi e il Marco Augugliaro, storici trapanesi, fu allora che prese la forma ottagonale (meglio ellittica) che tutt’ora conserva.
«Ottagonale, rotonda, anzi ellittica, alta venti canne con otto di diametro, chiusa in quel tempo con mura informa ovale, che distindevasi per lo circuito di canne ottanta».
Così lo descrive il Massa (V. II,pag.430) per cui le successive trasformazioni non influiranno più sulle sue dimensioni esterne.
Così si salta al 1360, quando si hanno notizie che la Colombaia servì per tre giorni come prigione (o anche semplicemente come domicilio) della regina Costanza che doveva andare in sposa a Federico III. Per ordine di Guido da Ventimiglia che temeva che Costanza togliesse a lui la Prefettura di Trapani e al fratello l’ amministrazione del Regno, la Regina non fu fatta sbarcare in città.
Successivamente nel 1408 la Colombaia subì modifiche e fu ampliata da Re Martino che fece costruire un pontile per l’arrivo della sua sposa Maria.
Altre modifiche subì su ordine di Carlo V, “Don Ferrante Gonzaga, l’ imperial comandante eseguendo, incominciò a seguire fra le fortificazioni di Trapani. [...]” (Pugnatore, Ìbidem). “Particolarmente vìgile e provvido, anche nei confronti delle fortificazioni della Sicilia, fu Don Ferrante Gonzaga, divenuto viceré di Sicilia all’indomani dell ‘impresa di Tunisi, quando si attendeva da un momento all’altro, come si è detto, un rabbioso contrattacco da parte del Barbarossa sulle coste occidentali dell’ Isola, specialmente di Trapani, da cui partivano rifornimenti per le forze cristiane operanti in Tunisia” (F.L. Oddo – La Sicilia sotto gli attacchi Barbareschi e Turchi p. 102).
Il quattrocento comunque, aveva visto un crescendo della pirateria barbaresca fino a divenire un fatto endemico. “Ma le caratteristiche di questi attacchi – scrive Rodolfo Santoro -{Fortificazioni bastionate in Sicilia in Archivio Storico Siciliano Serie IV; voi. IV pag. 188) per la loro limitatezza di obiettivi e per l’impegno di naviglio piccolo e veloce vedevano l’uso di artiglieria estremamente leggera costituita da pezzi montati su affusti verticali facilmente smontabili e trasportabili a spalla da un solo uomo. Armi quindi non adatte agli assedi delle fortezze ed i cui effetti distruttivi potevano essere tranquillamente sopportati dalle stesse mura medievali realizzate nel XIV secolo per resistere alle macchine d’assedio della lunga «guerra del Vespro».
Fu comunque necessaria un’opera di bastionamento delle città siciliane. S’ avvalsero così di ingegneri militari esperti nella tecnica d’assedio dei Turchi, della Repubblica Veneta e dei cavalieri di san Giovanni. Ma com’era un assedio turco? “Il blocco marittimo – scrive Santoro – aveva lo scopo dì impedire qualsiasi comunicazione di una città munita dì porto con l’estero. Per impedire che dal suo porto uscissero navi per dare battaglia e cercare aiuti in vettovaglie e rinforzi, se ne sbarrava l’accesso con catene o affondando navi di poco conto sui bassi fondali. Contemporaneamente le navi sbarravano numerosi armati sulla terra ferma in corrispondenza di sito più adatto a rifornirsi d’ acqua e a piazzare le bocche da fuoco in batterìa. Questo sito doveva essere vicino il più possibile alla costa per non costringere la truppa ad allontanarsi troppo dall’ancoraggio del naviglio sul quale erano custoditi i vettovagliamenti e le munizioni e per permette re il rapido reimbarco dell’ armata in caso di necessità. Proprio queste esigenze facevano sì che i baluardi più prossimi al mare fossero i più importanti nelle progettazioni di un sistema bastionato”. Per fortuna questo non fu mai attuato a Trapani ma in modo parziale messo in opera a Lipari, Augusta e Licata.
Così fu scavato un fossato tutt’ intorno e così pure fu fatto intorno alle mura della città, in modo tale da far restare la stessa e il Castello isolali. L’opera comunque fu portata a termine dal Viceré Giovanni Vega, poiché nel frattempo il Gonzaga aveva avuto mandato governativo per Milano.
“Aggiunse anco alla torre della Colombaia quella parte che all’ oriente iemale risguarda, la quale, se ben è dì essa torre più bassa, pur è assai ampia e forte, così perché fosse cotal accrescimento come un securo propugnacolo della stessa torre incontra a coloro che stando in porto batterla con l’artiglieria volessero [...] quindi quei vasselll inimici che perdanno della città avesser tentato fermare: avendovi posti diversi pezzi di artiglierie e deputatovi gente per la sua guardia bastevole [...]” (Pugnatore, ibidem).
Una guarnigione tipo prevedeva 28 soldati, due bombardieri, due porteri, castellano, vicecastellano e cappellano.
Ma Trapani all’inizio del XVI secolo era ancora priva di artiglierie e le sue mura, diroccate non erano sicuramente presidiate. F.C. Carrieri riportando brani di una lettera scritta dal Gonzaga ( Relazione delle cose di Sicilia fatta da D. Ferdinando Gonzaga all’imperatore Carlo V, 1546 stampata nel 1896 a Palermo ) a pagina 7 scrive:
“Trapani è stata riparata dalla parte del mare talmente, che da quella banda ella è fortissima, bene è vero che su la bocca del porto ha un Castello che lo chiamano Columbara, il quale a mio giudizio, nuoce più tosto, che giovi, perciò ch ‘egli è piccolissimo, non ha fianchi ne vi si puonno fare, et se venisse preso verrebbe ad essere cavaliere ad un bastione, che si haveva a cominciare nominato Santo Francesco, ma se venisse spianato, il detto bastione, farebbe il medesimo effetto del guardare la bocca del porto, che fa Columbara, ne passerebbe il pericolo d’essere preso, come può esso Castello, perché non si può battere se non con extrema difficoltà, né per mare, né per terra, come ben facilmente si battere la Columbara, almeno per via mare”.
A questo punto è da chiedersi come mai il famigerato capo barbaresco Kayr-ed-din, detto Ariadeno Barbarossa che nel 1533 si fermò a Favignana a rifornirsi d’acqua non abbia pensato di impossessarsi della città di Trapani. Le risposte possono essere due. La prima che non volesse impegnarsi in una battaglia in cui avrebbe potuto perdere parte della flotta prima di riunirsi con l’alleato francese. La seconda per la difficoltà della difesa in caso di un contrattacco siciliano.
I Giurati a Trapani non avevano denari a sufficienza per apportare e rinforzare le fortezze e l ‘ unico modo per ottenerli era quello di chiederli a Carlo V. Ma fu solo per snidare il Barbarossa da Tunisi ed impedirgli di puntare la flotta su Trapani che furono stanziati sessantaseimila fiorini per la fortificazione della città.
Ciò nonostante nel 1534 i Giurati, visto che i lavori languivano, scrivevano all’Imperatore: “in chità altra difensione che l’ animi di tutti chitadini intenti cono fideli vassali di serviri per muraglia et moriri in servicio di sua imperiale corona” (V. Vitale – Trapani nelle guerre di Carlo Vin Africa e contro i Turchi, in «A.S.S.» voi. XXIX, p. 280). Ma il Gonzaga tornato in Sicilia nel 1537, scriveva il contrario all’Imperatore: “Tutti i lavori proseguono alacramente”.
Le continue lamentazioni dei Giurati furono comunque ascoltate e nel 1543 il Consiglio Generale erogava cinquemila scudi per le fortificazioni trapanesi, anche se per far ciò venne istituita una nuova gabella. «La lentezza dei lavori di Trapani è anche indicativa delle minor considerazioni militari che da parte del Viceré si aveva per le squadre navali barbaresche rispetto a quelle turche. Le prime erano abili nella veloce guerra di corsa ma forse incapaci di condurre delle vere e proprie operazioni d’assedio con batterie di artiglieria e fanterìe «da sbarco» come erano invece in grado di fare i Turchi». (Santoro Archivio Storico Siciliano – Fortificazioni Bastionate in Sicilia -1978, Serie IV voi. IV p. 218).
Successivamente però le cose cambiarono in quanto Trapani divenne base di collegamento con le guarnigioni imperiali italo-spagnole che presiediavano La Goletta, sede nordafricana di un ospedale, e Mahadia, per cui, a questo punto andava protetta. Ed ecco quindi che le opere di fortificazioni cominciarono ad essere portate a termine.
Nel 1570 cadde Cipro, e il pericolo per la Sicilia fu quello dell’Islam. Si rese necessario così un nuovo rafforzamento di Trapani. L’ allora viceré Albadelista provvise così al rifacimento del fosso di levante che negli ultimi anni si era riempito di fango paludoso e ne restaurò i bastioni rovinati dalla salsedine.
Nel 1586, il Castello, subì ancora ingrandimenti e trasformazioni. Questa volta su progetto dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, sotto il regno di Filippo d’Austria (I di Sicilia e II di Spagna).
Le ultime trasformazioni le subì nel XVII sec, quando essendo la Sicilia in pericolo per una invasione turca, il Castello fu rafforzato da parte del viceré, Don Claudio Lamoraldo, Principe Ligné o secondo alcuni di Ligny, che né avevano ricevuto l’ordine da parte del Parlamento siciliano ( 1670). Il Principe era un mestierante della guerra “poteva, con l’ esperienza e virtù propria, dargli ordini più opportuni e necessari alle fortificazioni delle Piazze di Sicilia, esposte a tempo di invasione del nemico, e prevenirlo con l’arte militare né suoi disegni, innalzando i dovuti ripari nelle città e luoghi di sospetto” (V. Di Giovanni, Palermo restaurato, in Biblioteca di G. Di Marzo).
Sul muro esterno della Colombaia si può leggere ancora la lapide fatta affiggere nel 1671 dal Principe Ligné, ed identica a quella posta nella vicina torre fatta edificare dallo stesso principe e di cui tuttora porta il nome.
La lapide ricorda i motivi per cui la Colombaia subì quelle modifiche. Ragioni che furono di sicurezza e di difesa dall’ invasioni turche, ma che poi, in realtà, non servirono a nulla, in quanto finite le fortificazioni, le invasioni erano cessate.
Ma ecco cosa dice la lapide:
Auspicis Caroli Secundi
Hispaniarum et Siciliae Regis
Mariae Anna e Reginae Gubernatricis
Claudius La Moraldus Princeps de Ligné
Damblize
Et Sacri Romani Imperii Soveronus De Fagnolles
Siciliae Prore Vigilantissimus
Istius Regni securitati hoc propugnaculum
Anno MDCLXXI
All’interno sono affissi anche gli stemmi del viceré Pacheco e quello di Filippo II di Sicilia e III di Spagna, e tra essi vi sono alcune lapidi precedenti al 1607.
Dagli archivi spagnoli di Simancas (vedi Guidoni Marino «Urbanistica e Disegni» e Giuffrè «Castelli»), nel XVI secolo la rifondazione delle piazzaforte fu affidata agli architetti Fratino, Brancazio, Scipione Campi e Antonio del Nobile, e nel XVII secolo a Carlo De Grunembergh. Si deve proprio a quest’ultimo il progetto della fortificazione dalla parte di terra in aggiunta alla cinta bastionata cinque-seicentesca.
“Il Castello (immeritatamente da Salmon «tenuto per una delle principali fortezze di questo regno», ma per il tecnico Campi degno invece di essere demolito) nello stesso manoscritto spagnolo sopra citato risulta avere avuto quattro altissimi torrioni, che ritroviamo nella pianta disegnata da Francesco Negro e che oggi rimangono solo in parte.Sono invece del tutto scomparsi i poderosi baluardi che cingevano d’intorno il monumento”.
Così si trova scritto a pagina 204 de «II Libro delle Torri» di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca, studiosi di fortezze e castelli.
Nell’ ultimo secolo la Colombaia, fu adibita a carcere e solo da alcuni decenni definitivamente abbandonata.
Da ricordare che tra il 1849 e il’ 60 al castello furono rinchiusi alcuni dei più noti patrioti del Risorgimento, quali Michele Fardella di Mokarta, che successivamente prese parte alla battaglia di Calatafimi.
Da alcuni decenni ha cessato di essere un penitenziario ed è stata abbandonato al destino di tutti i monumenti della città che hanno segnato e lasciato una traccia di storia di essa, cioè allo sfacelo. Negli ultimi anni tuttavia, ne è stata restaurata la Torre, che stava dando cenni di cedimento, soprattutto nella parte centrale, dove il peso della costruzione del faro era diventato insopportabile.
Sotto la guida degli architetti Filippo Terranova e Giovanni Vultaggio, almeno questa parte del Castello è tornato a splendere, ma adesso il pericolo sono i vandali, in quanto la struttura non ha custode e l’ accesso, per quanto diviso dal mare, è raggiungibilissimo.
SITO
Coordinate geografiche:
38°00′.65 nord (latitudine) 12°29′.75 est (longitudine)
FONDALI
In testa al molo della Colombaia sono di 10 m., nelle vicinanze del Castello vi sono circa 4 m. a decrescere fino a 5 m. dalla battigia.
CONFORMAZIONE DEL TERRENO
La roccia, e non poteva essere diversamente, trattandosi di uno scoglio emerso dall’acqua, è costituita da biocalcareniti ricchi di lamellibranchi (molluschi Bivalvi con conchiglia). Altri componenti sono:
- Echiniti, noti come fossili del Miocene, muniti di aculei piuttosto brevi;
- Nummuliti, genere di protozoi Sarcodici Foraminiferi, rappresentate da forme di fossili dell’ Eocene. I loro gusci prendono parte alla costituzione di molte rocce calcaree, formatesi come nel nostro caso nel mare e poi emerse. Avevano forma di dischi costituiti da una densa spirale lungo la quale si susseguivano varie centinaia di piccoli concamerazioni;
- Alghe;
- Frammenti di corallo;
- Assillina e myogipsina (foraminiferi), classe di protozoi sarcodici Rizopodi rappresentate da forme in gran prevalenza marine che conducono vita libera.
Il tutto compone una roccia detta localmente «mischio». Un calcare ben conosciuto a Trapani per le sue tonalità cromatiche che vanno dal grigio al verde, e ricco di «lingue», cioè di resti fossili di denti di squalo. Questo tipo di pietra un tempo non solo si estendeva lungo la parte che adesso è il molo della Colombaia, ma anche nella vicina Torre di Ligné da dove si estraeva la cosiddetta «pietra palazzo» chiamata così perché situata nel quartiere, appunto, Palazzo. Anche la cava di Torre Lignè comunque nel XIX secolo fu chiusa ad opera del cavaliere Micheraux e tramutata in quella via tronca che finisce improvvisamente sul mare e che si chiama Carolina.
ARCHITETTURA
Così la descrive il Massa (v. II, p. 43): “ottagonale, rotonda, alta canne 20 con 8 di diametro, chiusa in quel tempo con mura di forma ovale, che distendevasi per lo circuito di canne ottanta … (ampliato dal viceré Vega) accrescendo di nuove mura, e di validi baluardi l’antica torre, la ridusse in forte, e ben fornito Castello”‘.
Da ciò ne deriva la doppia classificazione di torre e castello che ne fanno parecchi testi tra cui quello del Giuffré nel suo libro Castelli e del Portolano del 1844 di Luigi Lamberti.
Della lunga storia di questo Castello, e ch’è racchiusa nel detto «chiù vecchiu di la Culummara» e supportata da vari storici, tra cui alcuni autori di classici latini e greci, restano visibili solamente alcuni elementi, ma non certo databili a quell’epoca.
La parte più antica è sicuramente quella rivolta verso l’imboccatura del porto dove è sita una piccola torre poligonale la cui attribuzione è dubbia, anche se alcuni architetti, la collocano nel periodo arabo-normanno. Questa torre si trova agganciata all’ellittica cinta muraria del castello.
Entrando nel vano terra, il visitatore ha un segnale di meraviglia: “le bocche di ventilazione nelle vele della copertura e una lacuna pavimentale forse riconducibile ad una fontanella, rivelerebbero l’ esistenza di un sistema di microclimatizzazione, che riporta alle stanze dello scirocco, e ambienti orientali, date anche le forme del bastione marcapiana a becco di civetta, la finestra ad arco acuto collocata sopra la porta di ingresso e i profili delle volte interne” (Descrizione fatta dall’arch. G. Vultaggio).
L’elemento centrale è la grossa Torre che tutti vediamo e ammiriamo.
Di forma ottagonale, attribuita dai più al periodo svevo, è stata costruita presumibilmente tra la metà del duecento e la metà del trecento. Non mancano comunque elementi che possano spostare la data di costruzione al periodo del conflitto tra gli Aragonesi e gli Angioini (tra il 1284-86).
Costruita nel punto più alto dello scoglio (m. 3,50 slm), la torre, a cui non si può negare un notevole influsso svevo, è alta 32 m., ed è stata edificata in un unica fase. Notevoli le assomiglianze delle torri del Castel del Monte (Puglia) alla torre del «Castel di Federico» ad Enna e al più vicino castello di Salemi, nonché alle torri campanarie trecentesche catalane.
Nella seconda metà del trecento la fortezza, con la costruzione della cinta ellittica delle mura, assunse forma di Castello. Esse si possono accostare, per tecnica alla realizzazione del castello di Alcamo (Conti Modica). La cinta delle mura infatti coinvogliarono in un unico plesso tutte le strutture preesistenti con un grande cortile centrale e un gran mastio ottagonale.
E’ invece del XVII secolo ( 1671-72 ) la piattaforma orientale, fortificata per ordine del principe Ligné, da De Grunembergh, al fine di proteggere, porto e canale. Tuttavia c’è da osservare come questo bastione abbia stravolto la fisionomia del Castello, in quanto fu solo un’opera di difesa per un temuto assalto dei Turchi. “Trapani era molto importante, perché vicina alla Barberia, e, di fronte ad essa, stava l’isola di Favignana, che debolmente fortificata, poteva diventare facilmente turca”‘. (F. L. Oddo – La Sicilia sotto gli assalti Barbareschi e Turchi p. 108).
A sua volta dalla nota del libro si desume essere tratta da S. V. Bozzo, Corrispondenza particolare p. 40, doc. XLVII, 27 settembre 1574.
Per questa eventualità fu costruita la vicina Torre Ligné, ancora intatta, anche se priva delle postazioni d’artiglieria. L’ultimo progetto, quello della trasformazione da lanterna (essa risale al 1700) a faro risale al 1853, e sono stati anche la causa del cedimento della Torre e per cui si è dovuto intervenire recentemente con l’alleggerimento e lo smantellamento dello stesso faro.
La torre è in muratura con quattro elevazioni inframezzate in travi di legno e la liberazione della lanterna le ha tolto un peso di settanta tonnellate. Il successivo adattamento a carcere con conseguente ricavo di celle e cellette (piccolissime quelle d’isolamento, tanto da non permettere di stare in piedi) ha certamente deturpato tutto l’interno del castello, e il grande cortile centrale ne diventò lo spazio d’aria dei detenuti. Ancora oggi tutto ciò è ben visibile, con le stanze del direttore, la cappella (ormai distrutta) e i lunghissimi capannoni che hanno ospitato le armerie delle due guerre mondiali.
CARTOGRAFIA
La Sicilia è sempre stata una terra di conquista ma anche ammirata per le sue bellezze. E per questo molti viaggiatori nei secoli, né hanno lasciato delle bellissime descrizioni, con disegni e carte. Cosicché oggi ci rimangono delle bellissime immagini della nostra terra corredate da cartografie delle città.
La studiosa Liliane Dufour, ha intrapreso la raccolta di carte manoscritte che riguardano la Sicilia e precisamente le città. “L’ idea di un thesaurus di piante relative alla Sicilia non è soltanto importante a livello storico, ma singolare a livello cartografico dato che, a differenza dei paesi continentali, la cui entità territoriale è soggetta a continue variazioni, la Sicilia rimane sempre nella sua invariata realtà insulare al centro di un mare come il Mediterraneo”. (Liliane Dufour – Atlante storico della Sicilia – p. 28).
Di questo thesaurus sono state catalogati circa settecento carte provenienti da vari archivi tra cui quello della Biblioteca nazionale e degli Uffizi di Firenze (quelle del cinquecento) e della Biblioteca Nazionale di Berlino.
Nessuna delle due ha tuttavia collegamenti stretti con la Sicilia “Una plausibile spiegazione per il primo caso potrebbe essere riferita alle origini toscane di alcuni degli ingegneri militari impiegati in Sicilia dalla corona spagnola, mentre all ‘altro si deve attribuire allo Schmettau il passaggio delle piante siciliane dall’ Austria alla Prussia con il successivo arricchimento della collezione cartografica dovuto ali ‘acquisto del fondo Furstenhojf”. (Dufour – op. cit.).
Il più ricco fondo di documenti e di carte rimane comunque l’archivio spagnolo di Simancas, cui però si conoscono bene le ragioni. Tra le più preziose tutte le piante del Ferramolino e del Conte disegnate nella seconda metà del cinquecento. E infatti è auspicabile che prima o poi dall’archivio Simancas, gli studiosi possano trarre fuori l’immenso materiale storico riguardante la nostra terra.
Storia tratta dal libro
La Colombaia – Una storia bimillenaria: Immagini e cartografie di Alberto Costantino
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