RITORNO AL FEUDO
Dalla prima pagina del libro:
… Per gli abitanti della Sicilia Occidentale e Centrale il feudo era stato sempre un’immensa distesa di terre, coltivate a grano, ma spesso rampanti ed incolte, punteggiata da aspre colline e timponi alti dai trenta ai cento metri e oltre. Il colore, quello giallo del grano, delle spighe, di erba secca, soltanto nella primavera di un tempo spuntava un manto verde che presto scompariva per lasciare spazio ad una desertificazione avvolgente. Alla fine di maggio, al massimo, le prime trebbie meccaniche guidate da pionieri volenterosi cominciavano la mietitura. E questo fino al secondo dopoguerra, ma per secoli la falce e il braccio del contadino proletario avevano operato la coltivazione. Ma il feudo significava tante cose, spesso amare e crudeli. Significava lavoro faticoso, lunghi viaggi sul carro per raggiungere la meta del lavoro dal paese piÙ vicino, dai dieci ai venti chilometri ed oltre. E non sempre le donne, che dovevano accudire i figli, potevano seguire i mariti nei lunghi tragitti fino al feudo, spesso soltanto durante la mietitura, allorquando preparavano la “ghiotta”, l’agghia pistata, non sempre il “limiuni cunzatu”, e provvedevano ai servizi domestici. …
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