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 BUSSOLA: Trapani Nostra - Libri - Salvatore Mugno

Tito Marrone - TEATRO - a cura di Salvatore Mugno





Tito Marrone

TEATRO

a cura di Salvatore MUGNO



La statua del commendatore

Atto Unico

Personaggi


AGENTE X.Y.

L'AVVOCATO LORIS

EMMA

LA SIGNORA DOROTEA

UNA PITTRICE GIAPPONESE

UN GIOVANOTTO ELEGANTE

IL SINDACO


Un salottino borghese, con un'ampia finestra nel fondo e due porte nelle pareti laterali. È una bella sera d'autunno. Raccolti davanti alla finestra, l'avvocato Loris, sua moglie Emma, la vecchia signora Dorotea, una piccola pittrice giapponese e un giovanotto elegante. S'intravede una piazzetta illuminata con lampadine multicolori e brulicante di popolo. Sta per inaugurarsi il monumento del commendatore Carlandrea Baroffi. Una misera banda suona le ultime battute della Marcia Reale. Molti anni fa.

LA SIGNORA DOROTEA - Quest'inno è tutta la mia gioventù.
IL GIOVANOTTO - La signora Dorotea si commuove. Ma mi pare che la musica non si adatti alla circostanza.
LA PITTRICE - Non vi piace, la vostra marcia reale?
IL GIOVANOTTO - Non credo che piacesse troppo alla buonanima del commendatore, che oggi festeggiamo.
LA SIGNORA DOROTEA - Mio figlio aveva idee monarchiche.
IL GIOVANOTTO - Mi dicono che, da giovane, fosse iscritto al partito garibaldino. "Si scopron le tombe…". Ecco quello che ci voleva.
LA SIGNORA DOROTEA - Io so che, quando gli sonavo sul pianoforte la marcia reale, si metteva a piangere.
L'AVVOCATO - Effetto dell'interpretazione (giunge dalla piazzetta un brusio di voci)
LA SIGNORA DOROTEA - Voi… invece di parlare a sproposito… fareste bene a rispondere, in nome della famiglia.
L'AVVOCATO - Io!
EMMA - Sì, Gino; la mamma ha ragione. Non senti, che fanno il tuo nome?
VOCI - (dalla piazzetta) L'avvocato Loris! Parli l'avvocato Loris!
LA PITTRICE - (battendo le mani) Bene! Parli l'avvocato.
L'AVVOCATO - Ma la mia condizione… qui… è molto delicata…
(Nella piazzetta, il rumore delle voci cresce. Ondeggiano le bandiere. Da destra, entra in fretta il sindaco, tutto accaldato)
LA SIGNORA DOROTEA - Oh, mio caro sindaco! Lo aspettavamo. Si sieda vicino a me.
IL SINDACO - Grazie, signora Dorotea. (all'avvocato Loris) Non lo capisce, che vogliono il suo discorso?
L'AVVOCATO - Ma se ha già parlato lei!
IL SINDACO - Io ho detto qualche parola in nome della città. Lei risponda in nome della famiglia.
L'AVVOCATO - Di quale famiglia?
EMMA - Presto, Gino. Bada che finiranno col fischiare.
L'AVVOCATO - E fischino!
EMMA - Ma che cosa dici!
IL GIOVANOTTO - Per un avvocato, un discorso più, un discorso meno…
LA PITTRICE - Io mi diverto moltissimo.
L'AVVOCATO - (cedendo, e sporgendosi dalla finestra) Concittadini! L'onore che oggi tributate all'uomo insigne che qui ebbe i natali… è un onore che fate a voi stessi. Sì: perché il commendatore Carlandrea Baroffi fu l'espressione più genuina e più pura di questa nostra terra. (applausi dalla piazzetta: cenni di consenso nella stanza) Ed erigendo a lui un bronzeo ricordo, voi rendete visibile agli occhi del mondo quell'immagine che religiosamente custodite nei vostri cuori. (applausi: qualche dissenso) In questo momento solenne, voi date una smentita clamorosa a coloro che vanno insinuando che il nostro tempo, eminentemente scettico, è sordo… no, dirò meglio… è muto a ogni palpito di gratitudine. (applausi e proteste insieme) Sì; perché voi siete riconoscenti, o concittadini, all'uomo benefico, che, non curando sacrifizi d'ogni sorta, vi condusse in paese, derivandola da remote sorgenti, l'acqua risanatrice.
UNA VOCE - (dalla piazzetta) Ma se qui piove dieci mesi all'anno!
L'AVVOCATO - …l'acqua di cui avevate bisogno…
LA VOCE DI UN UBRIACO - Ci doveva mandare il vino delle sue vigne! (urli, strepiti: ma gli applausi finiscono col prevalere)
L'AVVOCATO - (che ha fretta di concludere) E poiché le mie parole sono povera cosa in confronto dei grandi fatti, non mi rimane che associarmi con voi, concittadini, nel plauso onde oggi avete onorato la sua sacra memoria. (si ritrae dalla finestra)
LA SIGNORA DOROTEA - Ma ringraziate dunque… ringraziate in nome della famiglia!
L'AVVOCATO - (riaffacciandosi per un attimo) E ringrazio… ringrazio, in nome della famiglia!
UNA VOCE STENTOREA - (dalla piazzetta) Ma lui che c'entra?
(Urli. Un'altra piccola banda intona in lontananza l'Inno di Garibaldi. La folla tumultuando comincia ad abbandonare la piazzetta)
IL SINDACO - La banda del partito contrario, che torna dalla festa di San Crisògono. Dovevamo affrettare questa cerimonia.
IL GIOVANOTTO - (ridendo) Meglio! "Si scopron le tombe…" ed escono i ricordi di gioventù.
LA PITTRICE - Bravo, avvocato. Lei è stato molto eloquente. Ma perché non si è messo la toga?
IL SINDACO - La toga, signorina, s'indossa in tribunale.
LA SIGNORA DOROTEA - Lei, caro sindaco, ha parlato come un angelo. Lo dovrebbero mandare in camera.
IL SINDACO - In camera! E perché?
EMMA - La mamma voleva dire alla Camera… al Parlamento.
IL SINDACO - (modestamente) Ho la voce debole.
IL GIOVANOTTO - (ridendo) Potrebbe fare una cura.
LA PITTRICE - Bravo. Dategli quelle brutte pastiglie che mi volevate regalare.
IL SINDACO - (punto) Fortunata lei, signorina, che non ha bisogno della voce, per dipingere i suoi piatti.
LA SIGNORA DOROTEA - Dipinge i piatti?
IL GIOVANOTTO - Meravigliosi acquerelli giapponesi su la maiolica.
LA SIGNORA DOROTEA - E lavandoli, quei piatti, la pittura non se ne va?
LA PITTRICE - Ma non si devono lavare.
LA SIGNORA DOROTEA - E come ci si mangia?
EMMA - Ma no, mamma. Tu non te ne intendi. Sono piatti, nei quali non si mangia.
LA SIGNORA DOROTEA - E allora perché sono piatti?
IL GIOVANOTTO - (alzandosi, alla pittrice) Signorina Ioto, noi potremmo togliere l'incomodo. (indicando la piazzetta oramai quasi deserta) La festa è finita.
LA PITTRICE - (alzandosi anche lei) Sì. Io ringrazio tutti. Molto cortesi con me, questi signori.
EMMA - Le pare? Fortunatissimi, d'aver avuto con noi un'artista del suo talento.
IL SINDACO - E questa festa… non potrà ispirarle qualche grazioso quadretto?
LA PITTRICE - (sorridendo) Molta musica… bei discorsi…
IL GIOVANOTTO - Tutte cose che non si possono dipingere.
LA SIGNORA DOROTEA - Ma abbiamo avuto anche una novità: le lanterne giapponesi. Per questo, si è fatta l'inaugurazione di sera.
IL GIOVANOTTO - Benissimo. Allora, la signorina manderà al Giappone le lanterne giapponesi.
(Si ride. La pittrice e il giovanotto si accomiatano ed escono, accompagnati da Emma, che rientrerà poco dopo)
IL SINDACO - Me ne vado anch'io.
LA SIGNORA DOROTEA - Come! Non vuol gustare un bicchierino di menta con noi?
IL SINDACO - Mi perdoni, signora Dorotea.Sono in un bagno di sudore e avrei bisogno…
L'AVVOCATO - …di andare in camera.
IL SINDACO - Ecco. Buona sera a tutti. (Anche il sindaco esce. Pausa)
LA SIGNORA DOROTEA - E ora… siamo rimasti in famiglia.
L'AVVOCATO - Già: in due famiglie.
LA SIGNORA DOROTEA - Che intendete dire?
L'AVVOCATO - La verità. Io e mia moglie, una famiglia: voi, un'altra famiglia.
LA SIGNORA DOROTEA - Siete insoffribile. Anche questa sera, dovete pungere mentre abbiamo una festa così bella!
L'AVVOCATO - E così cara! Vedrete, domani, come si faranno pagare, quelli che battevano le mani più forte!
EMMA - Qualche piccolo segno di riconoscenza, per tutta questa brava gente…
L'AVVOCATO - (additando la signora Dorotea) Paga tua suocera.La festa riguarda la sua famiglia.
LA SIGNORA DOROTEA - E anche la vostra, se volete saperlo. Emma è vostra moglie.
L'AVVOCATO - No: era la moglie del commendatore Carlandrea Baroffi.
LA SIGNORA DOROTEA - Ma ora siete voi, suo marito!
L'AVVOCATO - E perciò, ora, non deve più interessarsi dell'altro.
EMMA - Gino, tu ci avveleni questa bella serata.
L'AVVOCATO - È la bella serata che avvelena me.
LA SIGNORA DOROTEA - Avvocato, io me ne vado a letto, con i miei ricordi. Voi non capite niente delle convenienze mondane. (E dignitosamente esce. Una lunga pausa)
EMMA - Sei stato aspro con la mamma.
L'AVVOCATO - Con la mamma del commendatore.
EMMA - Non è colpa sua, se il paese ha voluto innalzargli un monumento.
L'AVVOCATO - Il monumento gliel'ha innalzato tua suocera.
EMMA - Ma se il sindaco stesso ha voluto presiedere il comitato...
L'AVVOCATO - Per guadagnarsi la riconoscenza della Signora Dorotea Baroffi.
EMMA - La tua, scusa è... un'insinuazione.
L'AVVOCATO - Ma se lo sanno tutti che il sindaco vuole sposare la vecchia! Le cartelle di rendita fanno gola.
EMMA - Noi non ci entriamo.
L'AVVOCATO - Anch'io vorrei non entrarci, e invece ci sono dentro fino ai capelli.
EMMA - Noi due viviamo a parte. Sono cose che non ci riguardano.
L'AVVOCATO - E allora perché ci avete tenuto tanto a erigergli il monumento proprio qui, davanti alla nostra casa?
EMMA - Era l'unica piazza del paese.
L'AVVOCATO - No. Per farmi un dispetto, lo avete messo qui, quel signore, davanti alla mia finestra.
EMMA - (con un sorriso) Non avertene a male, Gino: ma questa è la casa dei Baroffi.
L'AVVOCATO - E io sono l'ospite, è vero? L'ospite del tuo primo marito.
EMMA - Ma no. La signora Dorotea, che mi vuol tanto bene, ci lascia il godimento della casa: non dovresti lamentarti.
L'AVVOCATO - E non mi lamento. Anzi, sono riconoscentissimo. Credo di averlo provato questa sera stessa, col discorso di ringraziamento.
EMMA - Infatti, sei stato molto gentile.
L'AVVOCATO - E non voglio più esserlo. Questa commedia deve finire. Da domani, andremo a vivere altrove.
EMMA - (con dolcezza) Gino, tu lo sai che non è possibile.
L'AVVOCATO - Perché io non guadagno abbastanza, è vero? Questo mi volevi dire.
EMMA - No…
L'AVVOCATO - E allora?
EMMA - Vedi... Ci sono tante cose... che si sentono... e non si riesce ad esprimere. Tu non dovresti insistere...Pensa che in questa casa io sono entrata giovinetta, e qui sono i miei ricordi più cari...
L'AVVOCATO - I ricordi del commendatore! Non ti mancava che la statua: ora hai anche quella.
EMMA - Ma perché mi tormenti?
L'AVVOCATO - Sono io, il tormentato: io, che non ho ricordi, e che non sentivo affatto il bisogno, per rammentarmelo, di vedere ogni mattina il tuo defunto marito, appena spalanco la finestra.
EMMA - (impazientita) Ma se non c'era dove metterlo!
L'AVVOCATO - Al cimitero! Ci sta benissimo lui; ci poteva stare anche il suo monumento.
EMMA - Ti voglio bene, Gino: ma questa sera...
L'AVVOCATO - Non m'importa di quello che pensi: io devo tutelare la mia dignità.
EMMA - Ci potevi riflettere prima. Ma ti ha fatto comodo trasportare i tuoi codici in questa casa!
L'AVVOCATO - Emma!
EMMA - (alzandosi e avviandosi a sinistra) Vado a dormire. Domani, sarai più ragionevole.
L'AVVOCATO - Domani, avrò preso una decisione.
EMMA - Anch'io.
L'AVVOCATO - E ora dovrei rinchiudermi con te nella camera dove c'è la tappezzeria del commendatore!
EMMA - Puoi sdraiarti su l'ottomana dello studio. (Esce, e chiude la porta con violenza. L'avvocato Loris si mette a passeggiare nervosamente per la stanza, poi va a sedere davanti a una scrivania, prendendosi il capo tra le mani.Lunga pausa. Entra la domestica, da destra)
LA DOMESTICA - C'è un uomo, che vuol parlare con lei.
L'AVVOCATO - A quest'ora! Non ricevo nessuno.
LA DOMESTICA - Gliel'ho detto. Ma insiste... (porge un biglietto)
L'AVVOCATO - (leggendo) X.Y. agente della "Società per assicurazioni varie". Prego di ricevermi, nel suo interesse. (guardando la cameriera) Ma che tipo è?
LA DOMESTICA - Dev'essere in lutto. È vestito di nero.
L'AVVOCATO - (dopo un momento d'esitazione) Bene: fatelo entrare. (La domestica esce. Dopo un attimo, compare l'agente. Cinquant'anni, smilzo, calvo, con gli occhiali d'oro. Rassomiglia vagamente, nel modo di vestire, a un pastore evangelico. L'avvocato gli fa cenno d'avvicinarsi)
L'AGENTE - (sedendo, dopo aver deposto davanti a sé, sulla scrivania, una busta di cuoio rosso) Lei s'aspetta che io la ringrazi d'avermi voluto ricevere.
L'AVVOCATO - Io desidero solo che mi dica il suo nome.
L'AGENTE - Non la ringrazio, perché dovrà ringraziarmi lei, più tardi.
L'AVVOCATO - Vuol dirmi il suo nome?
L'AGENTE - Conosce l'algebra? X.Y. Due incognite, che possono rappresentare i valori più diversi. Metta al posto di quelle due lettere un nome e un cognome qualunque. O, se vuol seguire il mio consiglio, aspetti: alla fine del nostro colloquio, lei stesso avrà trovato le parole più adatte.
L'AVVOCATO - Non ho l'abitudine di parlare con chi non conosco.
L'AGENTE - E se le dicessi un nome e un cognome a caso - Lorenzo Roccia, per esempio - mi conoscerebbe meglio?
L'AVVOCATO - Gli usi del mondo.
L'AGENTE - Dimentichiamoli per un momento, signor avvocato, e ce ne troveremo meglio.
L'AVVOCATO - (dopo averlo fissato in silenzio) E sia. Dunque lei rappresenta un'agenzia di assicurazioni varie.
L'AGENTE - Lasciamo da parte anche l'agenzia.
L'AVVOCATO - (sorridendo) Ma allora... non ci rimane che parlare del più e del meno.
L'AGENTE - (inchinandosi) Precisamente.
L'AVVOCATO - Vuole una sigaretta?
L'AGENTE - Più tardi. Il fumo mi annebbia le idee.
L'AVVOCATO - Me le esponga, dunque.
L'AGENTE - (guardandosi attorno) Lei ha una bella casa.
L'AVVOCATO - Assicurata contro l'incendio e il terremoto. Da questa parte, non facciamo niente.
L'AGENTE - E chi le parla d'incendio? Ripeto che lei ha una bella casa, e ci potrebbe vivere bene.
L'AVVOCATO - Ci vivo bene, infatti.
L'AGENTE - Pochi gradini: una graziosa vista sulla piazza: un bel monumento.
L'AVVOCATO - Lasci stare il monumento.
L'AGENTE - Per l'inaugurazione del quale, ha pronunziato poco fa un magnifico discorso.
L'AVVOCATO - Ho capito. Lei era a capo di quelli che applaudivano. Si rivolga alla suocera di mia moglie: io non c'entro...
L'AGENTE - Ma io non ho applaudito affatto.
L'AVVOCATO - (fissandolo) No? Allora... ha conosciuto il commendatore Baroffi.
L'AGENTE - Soltanto attraverso le sue parole... che dicevano una cosa e ne significavano un'altra.
L'AVVOCATO - Come si permette!
L'AGENTE - Mi guardi bene, signor avvocato: le pare che io non deva conoscerli, gli uomini?
L'AVVOCATO - Dunque lei osa insinuare che il mio sentimento era in contrasto con le mie parole.
L'AGENTE - Scusi... Il monumento è il primo marito della sua signora, non è vero?
L'AVVOCATO - La nostra parentela non deve riguardarla. E badi che non le permetto di continuare su questo tono. (alzandosi) L'ho ascoltato finora perché m'è parso un individuo singolare, e ha destato un poco la mia curiosità. Ma ora oltrepassa i limiti.
L'AGENTE - E mi mette alla porta. Però le faccio osservare che io parlo esclusivamente nel suo interesse, e non ho nessuna voglia di scherzare.
L'AVVOCATO - (risedendosi) Allora si spieghi. Venga al fatto.
L'AGENTE - Non ci troviamo in tribunale, signor avvocato. Siamo nel suo tranquillo salotto, con la finestra spalancata, direi quasi sotto gli occhi del commendatore.
L'AVVOCATO - (animandosi) Lei sa, o crede di sapere, qualche cosa che riguarda il primo marito di mia moglie. Ed è venuto qui per... la parola la metta lei. Badi che a me non importa nulla. Agisca come vuole, e mi risparmi il piacere della sua presenza.
L'AGENTE - Ma nemmeno per sogno! Io sono venuto per lei.
L'AVVOCATO - Le confesso candidamente che non capisco.
L'AGENTE - Non mi meraviglio. Tutti quelli che trattano di affari con me cominciano col non comprendere, ma alla fine hanno inteso pienamente.La colpa è mia. Io ho un temperamento poetico. Quando mi reco in campagna, mi piace sempre di abbandonare la strada maestra... e di andare a cogliere i fiorellini perduti qua e là tra le siepi.
L'AVVOCATO - Mi pare che questa sera ne abbia già colti parecchi.
L'AGENTE - Può darsi. Ma è una sera così bella (volgendosi verso la finestra) Guardi che scintillio nel cielo, e che silenzio profondo nella piazzetta! Come ci si riposa dal tumulto di poco fa! E abbiamo anche una stupenda scenografia: bisogna convenire che gli architetti d'una volta avevano buon gusto. La chiesetta a sinistra, con la piccola campana che s'affaccia da una finestrina: un grazioso cancello, che chiude un giardino signorile... Peccato, quel monumento! Ma non ci pensiamo. Godiamoci in pace queste prime dolcezze dell'autunno... perché tra poco... Eh, bisognerà chiudere bene le finestre, ai primi freddi, che sono i più cattivi... e addio, lume di luna! In montagna, non si scherza. Sicuro... tra una quindicina di giorni... tra un mesetto... avremo i primi acquazzoni... qualche violenta grandinata... Quei temporali improvvisi d'ottobre con tuoni paurosi... (pausa) E pensare che un fulmine potrebbe cadere proprio lì, sul mezzo della piazza, e fondere il monumento... Che ne dice, lei? È accaduto, qualche volta. Oh, non sarebbe certo un gran male! Ormai... tutto il bene che poteva fare, quella statua, l'ha fatto... Sì: ha procurato una bella somma all'artista... ha dato da mangiare a tanti poveri operai... Il resto... non ha importanza. Che cosa ci perderebbe, il commendatore? Io penso sempre che le statue... se mai... bisognerebbe innalzarle ai vivi.
L'AVVOCATO - Ai vivi?
L'AGENTE - Certo. Sarebbero… come dire?… un esempio per la stessa persona. Eh, sì! Il vivo passa e ripassa davanti alla sua figura, piantata in un atteggiamento decoroso… e finisce, per amore o per forza, con l'uniformarsi a quella immobile dignità. Sa quanti diventerebbero galantuomini, per non fare arrossire la propria statua? Il morto invece… Domani, vien fuori un documento compromettente… Si scopre qualche marachella… La statua è lì, in tutta la sua feroce attitudine d'onestà… ma il morto, poveretto, come può rimediare?
L'AVVOCATO - Lei non è soltanto un poeta, ma anche un filosofo.
L'AGENTE - Come lei.
L'AVVOCATO - Come me?
L'AGENTE - Anche lei, per la poesia della famiglia, ha messo a tacere i suoi personali risentimenti e ha fatto un bel discorso: e, per amore della filosofia, cercherà di adattarsi a una condizione di cose che, ora, non le riesce molto piacevole.
L'AVVOCATO - Non mi conosce: le ripeto che non m'importa.
L'AGENTE - Si dice così, quando si crede, a torto, che non ci sia nessun rimedio.
L'AVVOCATO - (quasi senza volerlo) Rimedio?
L'AGENTE - Vede, avvocato: l'idea bizzarra di quel fulmine me ne suggerisce un'altra.
L'AVVOCATO - (inquieto) Ma che cosa vorrebbe fare?
L'AGENTE - Aiutare la natura. Correggerla, forse. La natura qualche volta, opera disordinatamente…L'uomo, che è un essere pieno d'intelligenza, agisce sempre con discernimento.
L'AVVOCATO - Si spieghi.
L'AGENTE - (sorridendo) M'accorgo che la mia conversazione comincia a interessarlo. Vede… L'agenzia che rappresento si occupa degli affari più diversi… Abbiamo molta gente al nostro servizio… Individui svelti e discreti. Se, in una delle prossime notti temporalesche, una statua viene buttata giù, fatta magari in pezzi… a chi se ne può attribuire ragionevolmente la colpa? Abbiamo tanti malevoli, nei nostri paesi, e ci sono troppi partiti in contrasto… Se ne è dovuto accorgere anche lei, poco fa, per le interruzioni al suo magnifico discorso.
L'AVVOCATO - (con voce aspra) Insomma… lei intenderebbe assumersi questa impresa.
L'AGENTE - Io? Ma personalmente non conto; è sempre l'agenzia che agisce. Noi uomini non esistiamo: si ricordi la Bibbia.
L'AVVOCATO - E le pare che io possa figurare in un contratto di tal genere? Se i miei nemici…
L'AGENTE - Ma lei non firmerà nessun contratto. Prenderà soltanto visione delle nostre condizioni. (estrae dalla busta un foglio e lo mette sotto gli occhi dell'altro) Guardi qui.
L'AVVOCATO - (sorpreso) Nessun anticipo?
L'AGENTE - (inchinandosi) Noi abbiamo la massima fiducia nella moralità dei nostri clienti.
L'AVVOCATO - La somma è forte.
L'AGENTE - (inchinandosi ancora) Noi conosciamo benissimo la solidità finanziaria dei nostri clienti.
L'AVVOCATO - Ma il mondo è pieno di sorprese. E se, dopo il fatto, il… cliente si rifiutasse di pagare?
L'AGENTE - Il paese sarebbe inondato da una miriade di farfallette di vario colore, che riferirebbero la parte più importante della nostra conversazione di quest'ora.
L'AVVOCATO - La nostra conversazione. Dunque, lei è proprio convinto che il cliente deva essere io.
L'AGENTE - Ora può anche offrirmi la sua sigaretta: credo di non avere altro da aggiungere.
L'AVVOCATO - (dandogliene una e accendendo anche la sua) Però… intendo che la mia persona… rimanga assolutamente estranea… Io non c'entro, capisce?
L'AGENTE - Il segreto, per la nostra agenzia, è la ragione stessa della sua esistenza.
L'AVVOCATO - Certo… quello che ci accingiamo a fare… che lei si accinge a fare…
L'AGENTE - È normalissimo, signor avvocato. Riconduciamo la pace in una rispettabile famiglia.
L'AVVOCATO - Già, ma il commendatore…
L'AGENTE - Lo salviamo da ogni preoccupazione per l'avvenire. (battendo con la mano su la busta di cuoio) Chi ci può assicurare che, domani, in questa borsa non capiti per caso uno di questi documentini… Oggi non sappiamo nulla: ma domani? Gli uomini sono sempre così incauti durante la loro vita… E lei non deve aver dimenticato… che i morti non possono più rimediare.
L'AVVOCATO - Perciò, non lavora solo nel mio interesse, ma anche in quello del commendatore.
L'AGENTE - Come sempre, nell'interesse di tutti.
L'AVVOCATO - (alzandosi) Mi pare che non ci sia altro da aggiungere.
L'AGENTE - (imitandolo) Fortunatissimo, d'aver fatto la sua conoscenza.
L'AVVOCATO - Fortunatissimo io, signor… Ma come devo chiamarlo? (ridendo) Ah, mio benefattore!
L'AGENTE - Ecco il nome e il cognome, scoperti proprio da lei. (s'inchina ed esce)
L'AVVOCATO - Bene, bene. (rimasto solo, si stropiccia allegramente le mani, poi, andando alla porta di sinistra) Emma, Emmuccia! Ma come? Ti sei chiusa dentro?
EMMA - (dall'interno) Non devi entrare. Qui c'è la tappezzeria dell'altro.
L'AVVOCATO - Domani, la faremo cambiare. Apri.
EMMA - Sei diventato ragionevole? (socchiude la porta)
L'AVVOCATO - Spalanca, e perdonami.
EMMA - Eccomi qui. (guardandolo affettuosamente) Ma forse non hai tutti i torti. Hai lavorato tanto, e non t'hanno fatto ancora commendatore…
L'AVVOCATO - (con raccapriccio) No, no.
EMMA - (ridendo) Pazienza, caro. Col tempo… avrai la statua anche tu.

pagina a cura di    Gigante Lorenzo Maurizio    per Salvatore Mugno

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