LE FIDE PESCATRICI

(commedia)

 

Attori

Pietro, vecchio pescatore

Agnese, figlia di Pietro

Dorina, figlia di Pietro

Gianni, amante di Agnese

Antonio, amante di Dorina

Narduccio, ragazzo scemo figlio di Pietro

Il conte Spiezia

Il barone del Ponte Rotto

Burrasca, servo del conte

Un portalettere

Birri

Comari e uomini che non parlano

 

La SCENA in Messina

 

ATTO I

SCENA I

Camera rustica con diversi utensili pescarecci

Agnese e Dorina sedute tessendo delle reti

 

Agnese: Ah, mia cara Dorina, mia cara sorella! Ah, noi dunque non li rivedremo mai più? Adorato mio Gianni... Ah, che ti ò perduto per sempre... Misera me! Ah, che non posso più... Due anni che sei schiavo, ò provato due anni d'inferno. Ahimè, forse in questo momento, carico di catene sotto il peso dei travagli... forse, ah, mio Gianni, di te che sarà? Giusto Dio, qual pensiero mi opprime! E poi, un anno senza averne più nuova!

Dorina: Ma sorella, sarà poi vero che tutto il giorno si à da piangere? Io pure ò un core come al tuo: il mio amante, il mio caro Antonio, soffre ancor da due anni la schiavitù, compagno del tuo Gianni; eppure la speranza di un giorno o l'altro rivederlo dà tregua, in qualche modo, al mio affanno e mi conserva in vita per abbracciarlo, per consolarlo. Tu lo sai: nostro padre soffrì pure l'istessa sventura, e poi tornò libero, in braccio della sua amata famiglia. Ah, mi rigordo che giornata fu quella per nostra madre, quando si vide innanzi, all'improvviso, lo sposo sospirato da dieci anni! Speriamo, cara Agnese, speriamo... L'avvilirci a che giova? Sì, il core mi dice che con queste reti ci pescheranno il mio Antonio e il tuo Gianni.

Agnese: Eh, il mio Gianni! Ah, ti rigordi Dorina, ti rigordi quando qui seduto, nel mentre che io tessea delle reti, egli cantommi quella canzone di spartenza e a tutti quanti noi spuntarono le lagrime? Ah, che il suo core era presago del destino che l'aspettava... Mai con più tenerezza si divise da me quella sera fatale! "Agnese", mi disse, me lo rigordo ancora, "Agnese, ogni volta che da te mi divido provo un palpito che mi opprime, né mai l'ò provato sì forte come in questo momento". Ah, che di allora non lo vidi mai più...

Agnese: Eh, sorella, veramente nelle disgrazie parla il core: anche il mio Antonio quella sera, perché si rovesciò l'ampolla dell'olio, mi disse: "Malaugurio". Dorina mia – “malaugurio” - e disse il vero! Intanto io voglio sperare che lo rivedrò presto. L'altra volta correva voce che tutti li schiavi siciliani tornerebbero in libertà. Sì sorella, sì: noi li rivedremo presto. Oh, come mi voglio rifare di tutti gli affanni sofferti! E poi, nostro padre, tu sai che è da due anni che mette da parte ogni giorno una piccola somma per ricomprare i nostri amanti. Oh, quanto egli li amava!

Agnese: Eh, Dorina, non vedi che la speranza ti accieca: un piccolo sopravanzo di un povero pescatore, anche in un secolo, non può mai ascendere ad una somma tale...

Agnese: Dice il motto: “Quattrino a quattrino si à il fiorino”. Chi sa...

Pietro: --di dentro--: Aprite, aprite, son io.

Dorina e Agnese: Oh, è nostro padre!

 

SCENA II

Pietro con un canestro di pesci

 

Pietro: Signor sì, signor sì, in casa mia, mai più in piazza. La robba mia voglio venderla come mi pare e piace. La sarebbe bella che io rischio la vita, rischio la libertà, un colpo di mare mi manda all'altro mondo, tutta la notte al freddo, ed uno, stato a dormire come un ghiro in un letto agiato sen viene: "Dammi quel pesce, questa è la meta", e con quattro baiocchi crede aver comprato tutti i miei sudori, tutti i rischi sofferti! Chi me le paga due settimane, che per la tempesta ò dovuto guardar la capa? Anno ragione che anno versato tutte le botteghe. Maledetta meta, non si trova più niente, caro a trovar!

Agnese: Caro padre, il buon giorno.

Dorina: Siate il ben venuto.

Pietro: Oh, ragazze mie... Bisogna che mi cambi questa camicia: son tutto bagnato, mi moro dal freddo. Abbiamo pur sofferta una bella burrasca: se non ero io che mettevo all'orza (1), poveri noi! E poi trovo in ricompensa la meta... Ah, maledetta meta! A rais Pietro, però, non ce la fanno: il mio pesce lo vendo in casa mia allora, a quanto mi pare e piace. Andiamo a cambiarci, che non posso più, e mi riposo un poco. Badate se viene qualche avventore... L'anguille a tarì (2) sei, il resto a tarì due, neppure un grano di meno.

Dorina: Lasciate fare a noi. L'avanzo servirà per i nostri poveri schiavi. Sì, grazie al cielo à fatto buona pesca!

Agnese: Io per me mi ritiro, non son buona a vendere: io li darei tutti a bon mercato, ò un core tale che il mio non è mio.

Dorina: No, cara sorella, è meglio che siamo in due.

 

SCENA III

Burrasca e dette

 

Burrasca: Ehi di casa! Rais (3) Pietro!

Dorina: Chi domandate, giovine?

Burrasca: Oh, che vedo mai! Oh, la bella coppia, altro che pesci! Due sirene incantatrici, ò trovato!. A ragione il conte mio padrone e il suo amico barone... Eh, quelli anno buon naso! Se riesco nella mia commissione mi faccio d'oro.

Dorina: Ma, finalmente, si può sapere, in grazia, che domandate?

Burrasca: Sì cara, vi compiacerò. Io ero venuto per comprare del pesce. --Fra sé--: Diavolo, sono bellissime!

Dorina: E così...

Burrasca: E così, perdonatemi. Io resto attonito, stupefatto come due ragazze di tanta beltà non anno sino ad ora trovato miglior fortuna di quella di vender del pesce.

Dorina: La nostra fortuna sarebbe ancora invidiabile in questo stato, se il cielo non ci privasse di quanto avevamo di più caro.

Agnese: Oh, Dio, chi più di me sarebbe felice!

Burrasca: --fra sé--: Anno degli amoretti, ò capito: i loro amanti saranno lontani. Buon principio, buon principio da vero!

Agnese: Che à costui che ci guarda con tanti d'occhi e parla fra sé?

Burrasca: --fra sé--: Si trovan tanti mezzi per riuscire nei miei progetti, che se non riesce l'uno riesce l'altro. Sì, si prendano con assalto. Io, le cose mie le faccio alla prima: non voglio brodi lunghi. Sì, io farò la vostra fortuna. Sì, io voglio impegnarmi per voi!

Dorina: E come?!

Burrasca: Due bellezze di questa sorta non debbono restare oscure in un tugurio di pescatore.

Dorina: Che intendereste mai dire?

Burrasca: Sì, sì: io vi voglio arricchire. Sì, vi voglio far guadagnare tesori.

 

SCENA IV

Narduccio e detti

 

Narduccio: Le mie sorelle arricchire?! Guadagnar tesori?! E chi è costui?

Burrasca: Vedrete che abiti, che gioie...

Narduccio: Tu dici da vero? Le mie sorelle diventeranno signore?

Burrasca: Sì: carrozze, festini...

Narduccio: Carrozze! Festini! Tu dici da vero?

Burrasca: Purché incontrassero il genio del conte mio padrone e del barone suo amico, io vi prometto...

Agnese: Ah, infame, scellerato mezzano! E a chi credi tu di parlare? Siamo povere, è vero, ma conosciamo meglio di ogni altro l'onore, la fede. Io tradire il mio Gianni?!

Dorina: Io mancar di fede ad Antonio?! Più tosto morire! Vanne, arrossisci della tua sfrontatezza, né ci comparire mai più. Sorella, andiamo! La presenza di costui mi fa orrore. Tu, Nardo, bada al pesce. Andiamo! --Partono--.

Agnese: Vile!

Dorina: Scellerato!

 

SCENA V

Narduccio e Burrasca

 

Burrasca: Obbligatissimo. --Fra sé--: Il primo colpo è andato in fallo, ma niente paura. Non mi perdo di animo per queste cose. Ahu, Nardo, Nardo, diverresti signore se ti bastasse l'animo di persuadere le tue sorelle... --Fra sé--: Voglio tentar costui: questo sciocco mi potrebbe giovare.

Narduccio: Ma tu dici da vero?

Burrasca: Te lo giuro, diventeresti signore: tutto il giorno in carrozza, abiti, teatri, pranzi digiuné (4)...

Narduccio: Oh, questo poi, no! Digiunare non me la sento.

Burrasca: Digiuné vuol dire colazione.

Narduccio: Colazione: bene, bene, perché io credea diversamente, in verità. Eppure io di tutte queste cose non voglio niente. Io non voglio altro che una bella berretta rossa, una bella fascia di seta, un paio di fibbioni grossi, un paio di calzoni bianchi, un gilecco (5) rosso tutto con bottoni di argento, e mangiare e bere quanto ne voglio, e non dormir più in barca: quel maledetto dormire in barca non lo posso soffrire.

Burrasca: Tutto quello che vuoi; diventeresti padrone di milioni, di ori.

Narduccio: Ma tu dici da vero?

Burrasca: Ecco la mano. Fa che le tue sorelle acconsentano e vedrai se io ti dico da vero.

Narduccio: Ahu, compare Cola lo diceva sempre a mio padre: tuo figlio un giorno diventerà cosa grossa, sarà re di corona.

Burrasca: Il tutto sta a persuaderle... Già, s'intende, una sarà baronessa, l'altra contessa. Ah, Nardo, che piacere!

Narduccio: Queste due sorelle però non mi temon affatto: chi mi dice scemo, chi mi dice asino, e spesso, spesso, quando non voglio andare a dormire in barca, mi fanno delle brutte carezze... Non saprei ora come principiare a persuaderle.

Burrasca: --fra sé--: Sì, è meglio così. Senti, da te non voglio altro: questa notte, al segno di una battuta di mano, apri pian piano la porta. --Fra sé--: Al mio padrone non manchi spirito!

Narduccio: Oh, quando è per questo, poi! Lascia fare a me.

Burrasca: Ma ti raccomando: segretezza. Non lo confidare a nessuno.

Narduccio: Ohibò, solamente a mio padre.

Burrasca: Che diavolo dici! La sarebbe bella! Anzi, tuo padre non voglio che affatto lo sappia.

Narduccio: Bene, lo dirò alle mie sorelle e le avvertirò che non devono dirlo a mio padre.

Burrasca: Oh, in che mani son capitato! No, asino, non lo devi dire a nessuno, a nessunissimo!

Narduccio: Oh tu, come ti chiami, non facciamo niente!

Burrasca: Perché?

Narduccio: Incominci a darmi dell'asino e ancora non siamo a niente... Sappi che questa brutta parola non la posso soffrire, e l'altro giorno alla marina mi azzuffai perché un ragazzo disse: “Passa l'asino”.

Burrasca: Non lo dirò più, ma avverti: manterrai il segreto!

Narduccio: Bene, ma la berretta rossa voglio, e ci voglio la rivolta nera.

Burrasca: Sì, tutto quello che vuoi: berretta, fascia, fibbioni grossi.

Narduccio: Ma tu dici da vero?

Burrasca: Da vero, da vero, da vero!

Narduccio: Sai perché ne dubito? La tua faccia non promette niente di buono.

Burrasca: Eh, via, te l'ò giurato... Ma dimmi, dimmi, questa notte tuo padre va a pescare?

Narduccio: Certo, abbiamo preparato l'esca ed io andrò pure.

Burrasca: Tu pure? E come facciamo per aprire la porta?

Narduccio: Questo è quello che pensavo ancor io. Come facciamo?

Burrasca: Fingiti ammalato: ti fingi un dolore, così tuo padre non ti porterà seco.

Narduccio: Buono... Ma ecco mio padre. Mi fingo!

 

SCENA VI

Pietro e detti

 

Burrasca: No, no, zitto! La discorreremo poi. Bongiorno Pietro.

Narduccio: Il prezzo di questi pesci...

Pietro: Le anguille, a tarì sei.

Burrasca: Bene, ma io le prenderò tutte... Fatemi qualche buon passaggio! Questa maledetta meta ce li fa pagare più cari e, quel che è più, dobbiamo stentare a trovarli.

Pietro: Oh, come l'intende bene costui! Sia, purché li prendete tutti. Fate voi, mi rimetto! Badate, abbiamo avuto una notte orribile. Bisogni che si consideri il povero pescatore...

Burrasca: Sì, Pietro, è giusto. Poveretti, arrischiate la vita! --Fra sé--: Bisogna raddolcirlo costui! Questo a uno scudo (6): va bene?

Pietro: Va benissimo! Oh, questa è la prima volta che ò veduto un servidore generoso a comprarne tutti! Per lo più cercano poterci scorticare, per poi rubare più a' loro padroni nel conto ed il prezzo parer discreto. Bisogna che costui sia un galantuomo...

Narduccio: Se sapreste caro padre: vuol far diventar signore le nostre sorelle, ed io poi con la berretta rossa!

Pietro: Come?! Come?!

Burrasca: Sì, Pietro: ò veduto le vostre figliole: sono bellissime. Mi fa meraviglia come non anno ancor trovato fortuna! Sono negli anni della discrezione e anno dei meriti tali che potrebbero diventar signore...

Pietro: Ah, se sapreste! Quanto sono belle, altrettanto sono disgraziate! Io avea lor procurato uno stato che forse non invidierebbero le più gran signore: noi altri non abbiamo questa idea grandiosa! Le avea promesse a due bravi marinari, più confacenti al loro stato che due gran signori... Ma il cielo, il cielo, sul più bello, mi à attraversato ogni mio disegno: sono stati predati tutti e due e chi sa se ritorneranno mai più...

Burrasca: Basta, basta, che mi vien da piangere! Son così fatto, non posso sentire un'afflizione. Già m'immagino che non vi è modo per il riscatto...

Pietro: A qual modo, se appena abbiamo da vivere? --Fra sé--: Eppure... ma che mi cade in mente? Se potrebbe riuscire...

Burrasca: Se il mio padrone si volesse impegnare... E' generosissimo! Forse potrebbe... Voglio tentare, chi sa, l'altra volta liberò un giovane dal patibolo a costo di una gran somma.

Pietro: Ah, che dite mai, giusto cielo! Quale speranza è? Sarebbe possibile? Ah, sì, io andrei a gettarmi ai suoi piedi: forse questo mio bianco crine, queste lagrime...

Burrasca: Sì Pietro, speriamo, chi sa!

Narduccio: Ehi, fingo il dolore!

Burrasca: Che dolore?!

Pietro: Non abbadategli... Fra le altre disgrazie mi tocca a soffrire un figlio, un figlio sì scimunito. Vanne subito alla marina, subito: bada alla barca!

Narduccio: Mai più in barca, è vero?! La berretta rossa, è vero?

Pietro: Va’ subito, ti ho detto, altrimenti...

Narduccio: Vado, ma per questa volta sola. Poi la berretta, la fascia... Laralaralara... --E parte allegro--.

 

SCENA VII

Pietro e Burrasca

 

Pietro: Poveretto, mi fa pietà! Ma pure... che à detto di berretta, di fascia?

Burrasca: Mi à chiesto una berretta rossa, ed io per contentarlo gli e l'ò promessa.

Pietro: Compatitelo! Ma torniamo a noi, caro: il vostro nome?

Burrasca: Burrasca.

Pietro: Burrasca! Brutto nome... Spero però che i fatti non corrisponderanno.

Burrasca: Lo vedrete, lo vedrete!

Pietro: E così, caro Burrasca, ora che mi avete fatto venire questo pensiero non sto cheto se non ci do dentro. Ah, vi sarei debitore della mia vita! Vedete quando si dice le combinazioni... Venite per comprare del pesce e forse forse con questo mezzo sarà sollevata una famiglia dalla più terribile afflizione. Che piacere! Gianni, Antonio, sì, vi rivedrò, vi abbraccerò! Sì, ma... oh Dio, io mi trasporto come se il tutto sarebbe facile... Oh, come la speranza mi fa travedere, caro amico! Vi sarà dunque quest'anima sensibile?! Andiamo! Mi getterò a' suoi piedi!

Burrasca: Piano, piano Pietro, siete troppo caldo... Questo ancora non è che un mio pensiero.

Pietro: Sì, ma non à liberato quel giovine? Il suo cuore è capace di pietà...

Burrasca: Sentite, Pietro: egli à un amico, questi è il barone del Ponte Rotto, un bravo signore. E' un fior di virtù. --Fra sé--: Ma che fiore! Questo barone può molto sul core del mio padrone. --Fra sé--: Tanto che l'à portato a rovinare... Si potrebbe dunque prima pregare il barone e implorare la sua protezione... Sapete, egli si diverte a pescare! V'introduco io in sua casa: siccome io sono servidore del suo amico, egli fa molto conto su di me. Si potrebbe così...

Pietro: Oh, che consolazione!

Burrasca: Poi questo barone - un signore alla mano! - tratta tutti, tratta tutti con confidenza. Io ci scommetto che dopo un giorno che vi siete introdotto ve lo vedrete comparire a casa a darvi conversazione. Che bravo signore!

Pietro: Ma, aspettate... mi nasce un sospetto. Questo signore si chiama il barone di Ponte Rotto e si diverte a pescare! Sì! Egli, per l'appunto... Questo signore, l'altra volta tentò sedurre la nipote di mio compare Cola.

Burrasca: --fra sé--: Diavolo, costui lo conosce! Che dite! E' impossibile. Voi lo conoscete di vista?

Pietro: Io no, ma l'ò sentito nominare.

Burrasca: Ah, ah! Sì, sì... Adesso capisco. Si, è vero. Fu suo fratello, quell'indegno... Che sorta di scellerato è colui! Quanto questo è buono altrettanto quello è cattivo. Anzi, sono divisi di casa. Sono nimicissimi... Gli e ne à fatto ignottire de' gran bocconi amari! Poi quello fu esiliato, rapì la figlia del suo fattore e ne à fatte tante. E' un poco di buono! Sì, quegli è il fratello minore. Lo so ancor io, sì, ma colui è molto tempo che non si diverte più, al presente pesca in altri mari.

Pietro: Vedete! E sono figli tutti di un padre, uno così bravo, l'altro cattivo! E' che tante delle volte non dipende dai padri la buona o la cattiva riuscita di un figlio.

Burrasca: Noi altri siamo sette fratelli: non fo per dirlo, tutti e sette, tutti che ognuno bada al fatto suo, tutti servidori, tutti onorati.

Pietro: Intanto non ci perdiamo in discorsi inutili, caro Burrasca: che conchiuderemo? Mi getterò ai piedi di questo signore.

Burrasca: No, facciamo che la cosa corra da sé: questa sera... tutte le sere l'accompagno io a casa dopo la conversazione dal mio padrone, ché non sarebbe capace solo, di notte, a dar due passi. --Fra sé--: vuole sempre la compagnia... Vedete bene, io farò cadere il discorso riguardo a pesca, parlerò di voi. Dimani son sicuro che sarete chiamato; poi, forte che vi sarete introdotto, non manca a voi.

Pietro: Ah, caro amico, lasciate che io vi abbracci; il cielo vi ci à condotto questa mattina a comprare il pesce da me! Riprendetevi il vostro scudo, i' ve lo regalo, quel pesce.

Burrasca: Oh, questo poi no!

Pietro: Sì, sì, amato Burrasca, ricevete questo piccolo testimonio di gratitudine da chi vi dovrà forse la vita. Non lo ricusate. Egli è tutto quello che io posso offerirvi. Se mi vedreste il core! Compiacetemi, ve ne scongiuro.

Burrasca: Quando poi volete, non so che dire: l'accetto e ve ne ringrazio.

Pietro: Anzi, verrò io stesso a portarvi il pesce.

Burrasca: Non occorre, no.

Pietro: Sì, sì, lo porterò io. Con questa occasione forse potrò conoscere il vostro padrone.

Burrasca: --fra sé--: Se sì, conoscerai il lupo sotto veste di agnello. Quando è così, andiamo pure. --Fra sé--: è fatto il colpo. Vi avverto, però: non ne parlate alle vostre figlie.

Pietro: Perché non dar questa consolazione alle mie creature?

Burrasca: Ancora non è che una lusinga. La potranno spargere nel vicinato.

Pietro: Una lusinga? Io per me l'ò per bella e fatta.

Burrasca: No, Pietro: possono esservi degli ostacoli. La somma poi del riscatto di due persone non è indifferente.

Pietro: Sì, ma egli à liberato quel giovane dal patibolo... Sì, sì, lo farà. Andiamo, lo farà, lo farà.

Burrasca: --fra sé--: Povero diavolo, come è credulo. La speranza lo inebria. Ed io così riesco a meraviglia nella mia commissione, introducendo il barone a confidenza con costui. S'introduce anche il padrone, purché que' due galantuomi parlino una volta alle ragazze e la cosa è fatta: anno un'arte di persuadere, e poi l'oro...

Pietro: Burrasca! --Torna--.

Burrasca: Eccomi.

Pietro: Andate avanti, che vengo tosto. Ragazze!

Burrasca: Vado subito. Vi attendo in istrada. --Fra sé--: Se mi vedono, povero me!

Pietro: Ragazze!

 

SCENA VIII

Pietro, Dorina ed Agnese

 

Dorina: Eccoci.

Pietro: Serrate bene la porta, vado a portar questo pesce. Ragazze mie! Che avventura! Forse, forse, Gianni... Antonio... Che consolazione!

Agnese: Che dite di Gianni?

Dorina: Antonio?! Parlate!

Pietro: Non posso. Saprete, saprete tutto...

Agnese: Ah! Per pietà caro padre!

Pietro: Lasciatemi, poi vi dirò tutto.

Dorina: Non partirete se prima...

Pietro: Sì, sì, forse avranno il riscatto.

Agnese: Quando?!

Pietro: Lasciatemi, non posso dire di più. Burrasca, eccomi!

 

SCENA IX

Agnese e Dorina

 

Agnese: Oh Dio, egli è partito. Dorina, che à detto egli di riscatto?! Era fuori di sé...

Dorina: Sorella, non te l'ò detto io? Vi saranno delle buone nuove.

Agnese: Sì, ma egli era allegro in modo che sembrava sicuro che fossero in libertà. Oh Dio, perché lasciarci in questa incertezza?

Dorina: Non lo sai, egli è così fatto: si trasporta subito; ti rigordi, per una semplice nuova senza alcun fondamento, l'altra volta ci voleva condurre per così dire ad incontrarli? Ciò che si desidera sembra sempre facile... Molto più al suo carattere credulo e di buon cuore. Si sarà verificata la nuova che per mezzo degli Inglesi gli schiavi siciliani saranno restituiti. Non te l'ò detto? Il core dice che li rivedremo presto.

Agnese: Sì, ancor io, questo giorno fuor dell'usato, ò un certo presentimento. E tutto mi sembra di veder comparirmi d'innanzi. Il mio Gianni anche questa notte sognai. Oh, che bel sogno, sorella, mi sembrava veder nostro padre che presentava Gianni e Antonio in libertà. A quella vista io mi slanciava per abbracciarlo... Egli piangendo mi mostrava i piedi rosi dai ferri e le non ancora rimarginate piaghe, marche terribili della tirannia e della schiavitù. Noi piangevamo insieme, e così piangendo mi risvegliai. Ah, non mi avessi risvegliata mai più!

Dorina: Se sapessi quanti ne ò avuti di questi sogni!

 

SCENA X

Narduccio e dette

 

Narduccio: Sorelle, sorelle, è venuto nessuno a portarmi una berretta rossa?

Dorina: Che berretta, che ti vai sognando! Felice costui: per lui sempre è un tempo.

Narduccio: Bene bene, verrà. Oh, addio contessa, addio baronessa! No, no: tu contessa e tu baronessa. No, tu baronessa e tu contessa. E' meglio tu contessa e tu contessa... No, no, meglio giocatelo a paro e sparo! Oh, che bella berretta, ma vi sarà poi la fascia di seta? Mai più dormire in barca, mai più. Senti baronessa: tu avrai un abito, ma che abito! E tu, tu contessa, oh che piacere, contessa, io tra voi... Sì, questa sera aprirò la porta. Il conte, il Barone: zaffate dentro! Sì, tu baronessa, tu contessa, io la berretta rossa.

Dorina: Che porta, che porta, che barone, che conte, miseri noi! Che porta sarà quella che aprirai? Oh cielo, sorella, qui c'è dell'intrigo. I detti di costui mi fanno tremare.

Agnese: Oh Dio! Di' pure, disgraziato, parla, oh, che altrimenti...

Narduccio: E non parlo, no, non mi fate paura. Mai più dormire in barca! Fingo la malattia, il dolore, aiai: tu contessa, tu baronessa, io con la berretta rossa. Questa notte, tre colpi di mano, apro la porta... zaffate dentro! Il barone, il conte, il servidore. Oh, che piacere, fascia, berretta rossa...

Agnese: Oh Dio, Dorina, nella confusione dei suoi detti si nasconde la più terribile trama: sovvienti di quel servidore.

Dorina: Zitto, zitto. Ora scoprirò tutto. Narduccio, caro fratello...

Narduccio: Che vuoi, sorella baronessa?

Dorina: Dimmi, quando io sarò baronessa tu avrai una bella berretta rossa?

Narduccio: Sì.

Dorina: E chi te la darà?

Narduccio: Il servidore del conte.

Dorina: No, che non te la darà!

Narduccio: Bene, ed io, se non me la darà, non fingerò il dolore per non andare in barca. Neppure aprirò la porta questa notte, di nascosto di tutti voi, ed il barone ed il conte resteranno con un palmo di naso, né tu sarai più baronessa, né Agnese contessa. Prima voglio la berretta rossa, sì, prima la voglio!

Dorina: Agnese!

Agnese: Dorina! Ai sentito?

Dorina: Io sono di gelo.

Narduccio: Che! Vi dispiace perdere la baronia, la contessia? Fatemi prima dare la berretta almeno, la mia berretta!

Dorina: E va’ via, disgraziato!

Narduccio: Fatemi dare la berretta.

Agnese: Si può sentire di più?

Narduccio: Io la berretta rossa voglio... --Piange--.

Agnese: Oh Dio, io tremo solo al pensiero del nostro pericolo!

Dorina: Sorella, consoliamoci, però: il cielo à protetto l'onore. La trama è scoperta, avviseremo di tutto nostro padre, ricorreremo ai tribunali. Grazie al cielo siamo in una città dove il rigor delle leggi sa proteggere l'innocenza.

Agnese: Io però non scoprirei nulla a nostro padre. Egli ne morrebbe di terrore.

Dorina: Ma, pure, è forza che egli lo sappia.

 

 

SCENA XI

Pietro e detti

 

Pietro: Care figlie, ragazze mie, son fuor di me dalla consolazione. --Fra sé--: Dica ciò che vuole Burrasca, io crepo se non parlo. Sì, oh che signore amabile! Gianni, Antonio, sì, saranno liberi.

Agnese: Come!

Dorina: E sia vero!

Pietro: Lasciatemi respirare! Oh, che signore amabile... Sento che il piacere mi opprime. Sì, avranno il riscatto.

Dorina: Ma spiegatevi.

Narduccio: Avrò la berretta rossa?

Pietro: Sì, tutto quel che vuoi.

Agnese: Oh, che piacere!

Pietro: Sentite, figlie care, abbracciatemi. Sì, Gianni e Antonio avranno il riscatto: un signore, il più amabile, in questo momento me ne à data la sua parola. E’ un giovanotto, il più vezzoso che mai, la sua fisonomia addimostra bene il generoso core che chiude in petto.

Dorina: Ma, caro padre, come vi siete introdotto?

Pietro: Il cielo, figlie mie, il cielo che mai non abbandona i miseri, questa mattina ha condotto in questa casa un angelo tutelare: è venuto un servidore per comprare de' pesci, vi à vedute...

Agnese: Un servidore! Questa mattina! Ci à vedute! Ah, padre mio, ah, che voi siete tradito.

Dorina: Sì, caro padre, siete tradito.

Pietro: Che dici, siete pazze? Quello è il più buon uomo di questo mondo! Che tradito?!

Dorina: Così non fosse, mi perda l'anima, è vero: darvi questo colpo... ma pure conviene disingannarvi: quell'angelo tutelare, quel servidore è l'uomo il più vile, il più perfido, il più infame, scellerato.

Pietro: Zitta, tu che dici, non può essere!

Dorina: Per pietà, ascoltatemi e stupirete nell'udirmi: quel traditore, questa mattina, sotto pretesto di comprar del pesce, cercò di sedurci con mille offerte perché noi condiscendessimo alle perfide brame del conte padrone e del barone di lui amico.

Pietro: Oh Dio, io tremo!

Dorina: Figuratevi alla proposta infame qual si fosse il nostro risentimento. Ci scagliammo come due tigri sul perfido e, ricoprendolo di mille ingiurie, c'involammo entrambe dall'odiosa presenza di quel vile. Eppure,vedendo deluse le sue mire, tentò sedurre il semplice Narduccio, che questa notte doveva aprire la porta e darci vittime dell'orgoglio e della dissolutezza.

Narduccio: Sì, ma mi dava la berretta rossa...

Pietro: Giusto Dio, che intesi mai! Ora comprendo come ad un menomo detto del furbo servidor si mostrò cotanto compiacente. Scellerati, erano d'accordo! Sì, ma il cielo difenderà l'innocenza... Il cielo mi vendicherà. Venite al mio seno, care figlie, non dubitate: finché avrò vita difenderò l'onor vostro a costo del sangue mio.

 

FINE ATTO I

 

 

ATTO II

SCENA I

Cortile con diverse porte di case povere. In fondo una porta più grande. Accanto, diversi arnesi pescarecci per dimostrare esser quella la casa di Pietro.

Pietro, seduto davanti la sua porta pensieroso. Di quando in quando si vedono dall'interno della casa Agnese e Dorina, accudendo ad affari domestici. Ogni tanto l'una o l'altra darà un'occhiata di compassione verso il vecchio, sospirando.

Pietro: Più che ci penso, più resto sorpreso. Bisogna dirlo: questi signori ricchi non hanno core. Chi non si avrebbe commosso a quelle lagrime di consolazione che io versai a' piedi suoi! Chi non avrebbe arrossito di farmeli spargere, dovendo poi farmeli pagare a lagrime di sangue! Come si può ingannare un povero vecchio, lusingarmi in tal guisa! Ah, no, non può inventarsi azione più scellerata, più crudele. Barbaro, come potevi fingere quella calma, quella serenità di fronte, quando il tuo core era gravido della più orrenda tempesta... Che ti vagliono le ricchezze, gli onori, se le tue azioni ti degradano e ti avviliscono! Ma no, no, tu non riuscirai nel tuo vile progetto. Un povero pescatore che credi debole e vile, sì, un povero pescatore ti affonderà, assistito dalla ragione e dal cielo... Sì, così farò: andrò dal nostro procuratore. Egli è savio, prudente. Egli mi saprà regolare. Andiamo pure, non si perda più tempo. Oh Dio, appena mi reggo in piedi... Pazienza, mi sforzerò. Ad una tempesta di mare, mi è succeduta quella di terra. Non a caso quell'infame servidore si chiama Burrasca... Sì, la sua faccia non poteva mentire. Agnese, Dorina!

 

SCENA II

Agnese, Dorina e detto

 

Agnese: Eccoci, amato padre.

Dorina: Che domandate?

Pietro: Io vado dal nostro procuratore a consultarlo. Bisogna che trovi un asilo alla vostra sicurezza. Serrate bene la porta, non aprite a nissuno. Se mai alcuno ardisse, gridate, sollevate il vicinato, chiamate commare Brigida, la nostra vicina. Chiamatela, ella chiamerà suo fratello il calzolaio. Non abbiate timore, no: io tra poco sarò da voi. Serrate bene, mettete la stanga. Addio ragazze mie, non vi avvilite, no, il cielo ci proteggerà. --Parte--.

 

SCENA III

Agnese e Dorina

 

Agnese: Dorina, oh Dio, egli appena potea sostenersi! Oh, nume protettore de' miseri, assisti il povero padre mio.

Dorina: Sorella, ma se noi gli mostriamo tutta questa afflizione, il povero vecchio si muore di pena. Bisogna fingere almeno una certa ilarità. Da noi stesse facciamoci coraggio! Finalmente, poi, se sarà sul punto di usare una violenza, cospetto ti farai vedere! Ma sento gente... Poveri noi, ritiriamoci. Presto, presto! --Entrano e chiudono--.

 

 

SCENA IV

Il conte, il barone e Burrasca

 

Burrasca: Zitto, zitto, non fate tanto strepito che non sentano i vicini!

Barone: Che importa a noi, quando il padre acconsente? Anzi, Pietro morrà dalla consolazione al vedervi. Caro conte, la cosa non poteva andare meglio.

Conte: Se avreste veduto! Quel vecchio moriva dalla consolazione. Abbracciava le mie ginocchia, quasi quasi mi aveva commosso: voleva condurmi le figlie a ringraziarmi. Io però, affettando disinvoltura, non lo permisi.

Barone: Brava, conte, brava. Ne ài fatta una di buono. Sto formando un buono scolare... Col tempo riuscirà.

Burrasca: Zitto, parlate piano. Ma dite il vero, se non era Burrasca... Ehi, ci voglio io per queste cose! Già conobbi alla prima il carattere del vecchio. L'attacco nel suo debole...

Barone: Eh, caro Burrasca, sei un gran capetto d'opera!

Burrasca: Dal mio signor barone ò sempre appreso! Intanto non è giusto che io stia qui: se si affaccia qualche d'una delle amiche mi conoscerà subito per quello con cui anno questa mattina sostenuta la parte di due fedeli andromache (7) e potrebbe sconcertar tutto, se lo permettete.

Barone: Sì, sì, sei un eccellente politico amoroso. Ritirati, ma non ti allontanare.

Burrasca: Con permesso. Se mai, che buon pro vi faccia! --Entra--.

Barone: Gran cabalone (8) è costui! Avete un servidore che vale a peso d'oro, e sappiate che nella nostra carriera è la prima e la più difficil cosa a trovarsi.

Conte: No, non tanto difficile poi: io, per quanti servidori ò avuto, in tal mestiere mi anno tutti riuscito bene, ma questo poi...

Barone: Siete ben fortunato, tutto al contrario di me: non mi è stato possibile rinvenirne alcuno. Per lo più tutti mancanti di segretezza. L'altra volta uno l'ò quasi fatto morire sotto il bastone, perché l'ò scoperto: accettate le mie commissioni, poi andava a raccontar tutto a mia moglie.

Conte: Buono!

Barone: Ma non lo dimenticherà più, in nome del barone di Ponte Rotto.

Conte: Intanto, caro amico, cosa facciamo? Già, s'intende, prima di tutto io l'Agnese, voi la Dorina.

Barone: E che, fra noi ci accomoderemo!

Conte: No, no. Prima di tutto questo deve proceder di patto; io l'amo, sapete, e forse e forse farei una bestialità.

Barone: Via, ditela, la sposereste? --Con ironia--.

Conte: Perché no? Quando non sarebbe per certi riguardi, forse potrebbe formare la mia felicità. Voi non sposaste la figlia di un fattor di campagna? Tutta la differenza sta che questi è povero e quegli è ricco. E' più di un anno che io l'ò veduta e che l'ò amata.

Barone: Or si che mi fareste rider davero! Bellissimo scolare, poco fa io me ne gloriava! Evviva l'eroe da romanzo! Diavolo, diavolo! Se io fossi stato nelle vostre circostanze, se non era per la maledettissima dote... E poi voi stesso lo vedete qual conto io fo di mia moglie. Potrebbe formare la mia felicità: bellissima parola, caro amico. Comincio a perder la buona opinione che avea di voi concepita.

Conte: E via, lo dissi per ischerzo, non la portate tanto a lungo! Però comunque si sia, Agnese deve esser la mia bella.

Barone: Ma siete pur curioso. Voi volete vender la pelle prima di aver preso l'orso.

Conte: E' vero, ma se mai...

Barone: Fate come volete. Io mi degno di tutto.

--Agnese e Dorina di nascosto dietro la fenestra--.

Dorina: Sì, io dubito che saranno déssi. Scellerati!

Agnese: Miseri noi!

Barone: Zitto! Se non m'inganno, ò sentito sussurrare dietro quella fenestra. Secondatemi amico.

--Il barone e il conte si fanno più sotto alla fenestra e parlano più forte, perché intendano quelle--.

Barone: Sì, è certo. Qui abita Pietro, pover'uomo. Qual consolazione avrà nel vederci. Sì, sì, amico, fate un'azione veramente degna di voi. Le sue figlie vi saranno tenute della vita. Debbono esser grate a' vostri benefizi: finalmente ci recuperate i mariti. Io pure voglio esser testimonio di questa bella azione.

Conte: Che non farei per veder consolata la bella Agnese! Incontrerei anche la morte.

Barone --ride e dice piano--: Ah ah! Se lo dico: siete montato sul romanzesco!

Conte: Però non si vede nessuno...

Barone: Zitto, batterò, e se non vi è Pietro e son sole sarà meglio. Ehi, di casa!

 

SCENA V

Narduccio e detti

 

Narduccio: Ah ah! Eccoli, eccoli. A' pie' voscellenza, schiavoscellenza.

Barone: Chi sei, che domandi?

Narduccio: Io sono il fratello. Sì signore, io sono il fratello delle sorelle... dico... la berretta rossa, la fascia.

Conte: Ah, sì, sì: egli sarà... sarà quell'asino di cui mi parlò Burrasca.

Narduccio: Tu, che asino! Io son Narduccio, figlio di mio padre Pietro, nipote di mio nanno.

Barone: Ti accheta, ragazzo. --Fra sé--: A costui bisogna allettarlo. Ti accosta carino, quanto sei grazioso...

Narduccio: Ah, ah, così va bene. Ma la berretta rossa...

Conte: Non dubitare che l'avrai un'eccellente berretta.

Narduccio: E viva e viva! Lara lara lara... --Canta e balla--. So cantare, io so ballare, sapete.

Barone: Bravo, ma dimmi, le tue sorelle saranno poi a casa?

Narduccio: Certo, aspettate, ora le chiamo. --Fa il fischio--. Contessa, baronessa! --Chiama forte--.

Barone: Contessa! Baronessa! Tu, che diavolo dici?

Narduccio: Sicuro. Una avrà il barone, l'altra il conte.

Barone: Oh, à fatto pur male Burrasca a fidarsi di costui.

Narduccio: Sì, io aprirò la porta.

Conte: No, ascolta: non fa più bisogno di nulla di tutto quello che ti disse Burrasca, quel servidore.

Narduccio: Così non avrò più la berretta?

Conte: La berretta anzi l'avrai, purché non parli, e se parli, guai a te.

Narduccio: Bene, starò zitto, intanto posso chiamare le mie sorelle. Agnese, Dorina! Agnesuccia, Dorinuccia... Saranno a lavare giù, che io non la posso vedere l'acqua. Esse ci scialano come le vacche marine. Sorelle, aprite, son io!

Dorina --dall'interno veduta poco, dalla fenestra--: Canta, canta...

Narduccio: Diavolo, ora sì che mi farebbero imbestialire. Aprite, porto con me due triglie! --Fra sé--: Lo faccio apposta: se sentono che porto pesci aprono subito. Porto due granchi, ma che granchi! Aprite, bella creanza! --Siegue a fischiare ed a battere forte la porta--. Ora farò io. Bisogna che le chiami dall'altra parte. Saranno a cucinare... Aspettatemi che torno. --Parte--.

Conte: Che ne dici, barone? Io credo che non vogliono aprire al fratello perché ci anno veduto. Se così è, principiamo bene...

Barone: Io poi non ci vedo del male, ancorché fosse così: questa sorta di gente sono sempre così ritrosette, ma poi cascano più facilmente. Però se aprivano il colpo era eccellente, poiché il padre non vi sarà al certo: chi sa, può darsi che saranno anch'esse fuori di casa.

Narduccio: --di dentro--: Lasciate che vada ad aprirci: Quelli sono due signori. --Nardo affaccia-- Signori miei, qui le mie sorelle non vogliono che io apra la porta.

--Di dentro, Nardo: Ah, lasciate che io apra, altrimenti perdo la berretta--. --Affaccia di nuovo--: Scusatemi, non vogliono affatto, dicono che siete due birbanti.

Barone: Oh, questa si che è bella: costui ci rovina tutta la macchina!

Conte: In verità che la nostra venuta fu un poco affrettata e imprudente.

Barone: E' che in queste cose non ci ò flemma...

Conte: Quella bestia avrà svelato tutto. Questa volta Burrasca, l'à sbagliato di grosso... Barone, è meglio che partiamo!

Barone: Sì, dite bene, andiamo e si penserà qualche altro mezzo ad ogni costo. Siamo nell'impegno e il retrocedere sarebbe il massimo avvilimento.

Narduccio: Non mi serrate la bocca, no, voglio parlare, lasciatemi... --Nardo dirà questa parola in modo che sembrerà che alcuno gli turi per forza la bocca--.

 

SCENA VI

Pietro e detti

 

Pietro: Sì, dice bene, bisogna usar prudenza. Oh Dio, ma eccolo... Oh, come mi rimescola il sangue!

Conte: Oh, appunto! Barone, eccolo, eccolo quel buon uomo di cui vi avea parlato...

Barone: Ah sì, assistetelo, poveretto, voi che potete, non v'à miglior piacere al mondo che quello della beneficenza. Che piacere il poter sollevare i miseri! Il miglior uso che possa farsi della ricchezza è questo: qual compiacenza il poter dire “Io ò fatto felice quell'uomo!”.

Pietro: --fra sé--: Oh Dio, come si può parlare in tal guisa ed operare il contrario? Oh, eccesso di scelleratezza, io non posso occultare la mia confusione!

Conte: Che vuol dire, Pietro? Voi mi sembrate un poco agitato... Parlate, io ero venuto per consolarvi, per assistervi.

Pietro: --da sé--: Pietro, prudenza, bisogna fingere... Vi dirò, signore: l'allegrezza che mi avete recato coll'esaudire le mie preghiere mi à talmente stonato che non so più dove mi sia. Un povero padre che vede, per così dire, rivivere due care figlie, che vedrà ritornar liberi due amati generi, non volete che sia fuor di sé dalla consolazione? Da un'altra parte l’agita un certo timore... Poiché mi sembra quasi impossibile che un uomo ricco sia capace di accordare un così gran benefizio senza altre mire che quelle di fare una buona azione e che sia così disinteressato.

Conte: Dubitereste forse?

Pietro: Signore! Che volete che io dica, mi sembra una cosa tanto strana che, perdonate, io ne dubito. Al giorno d'oggi se ne danno pochi di questi esempi... Poi mi fo coraggio, però, ché non può nemmeno trovarsi un'anima così barbara, così scellerata che voglia lusingare in tal guisa un povero vecchio che, fuor di sé dal piacere, sparge un mare di lagrime, lagrime di gratitudine e di tenerezza, a' piedi del suo benefattore. No, che non può trovarsi una fiera così crudele e se anche vi fosse, questo pianto che io verso abbracciando le sue ginocchia, dovrebbe scuoterlo, intenerirlo. --S'inginocchia--.

Conte: Che, Pietro, che fate, alzatevi, qual trasporto!

Pietro: Perdonate, signore. Non ve lo dissi che son fuori di me? Non so in che mondo mi sia.

Conte: Oh Dio, costui comincia a commovermi...

Pietro:--fra sé--: E pure i miei detti l'anno colpito... chi sa, cielo aiutami!

Barone: --fra sé--: Eppure l'amico vacilla... Oh, dite, buon uomo. Avete fatto menzione alle vostre figlie di quanto è della promessa del conte?

Pietro: Non ancora. Perdonatemi, lo replico, perdonatemi. Siccome ancora ne dubitava, non volli lusingarle, che se poi si verificava il mio dubbio morivano entrambe dal dolore.

Barone: Ditemi, questa è la vostra casa?

Pietro: Per l'appunto.

Barone: Avete voi un ragazzo un po' scioccarello?

Pietro: Pur troppo signore, per mia disgrazia.

Barone: Quel ragazzo, un momento fa, voleva per forza che le sue sorelle ci aprissero la porta, ci parlava di certa berretta rossa, poi entrò, e affacciato a quella fenestra, mormorava delle parole interrotte... Io credo che ci abbia scambiati...

Pietro: Sarà così signore. --Fra sé--: Oh, che furbo è costui! Ma niente, coraggio: bisogna volpeggiar con le volpi. Sì, mi figuro la causa del suo equivoco, bisogna che vi racconti un accidente che vi farà inorridire, che anzi imploro la vostra protezione. Questa mattina, o prima o dopo che è venuto il vostro servidore - me lo anno rapportato le mie figliole, che sono incapaci a mentire - è venuto in mia casa un altro servidore a comprar pure del pesce. Io fremo nel pensarvi.

Barone: --fra sé--: Oh, questa sì ch'è bella, amico! L'equivoco non può andar meglio.

Pietro: Questo vile infame ebbe l'ardire di tentar sedurre, con offerte le più grandi, le mie povere creature, fidando, l'incauto, nella debolezza che la povertà nostra à nell'opporvisi, purché condiscendessero alle turpi brame di due scellerati dissoluti. Elle no però, con quel coraggio che ispira l'onore, che, malgrado l'indigenza, sanno difendere col sangue: sprezzarono generose gli orribili doni, armandosi contro l'iniquo del più giusto risentimento. Pure, quel perfido, vedendo deluse per questo mezzo le sue speranze, profitta della semplicità di mio figlio e persuade a ciò che questa notte apra la porta, onde, col più orribile tradimento, trionfassero dell'innocenza e dell'onestà. Ma no, scellerati no, crudeli, voi v'ingannate: con queste mani stesse che il nume pietoso avvalora, io voglio trarvi quel core! Ah, se li conoscessi! Così vecchio qual sono, se li conoscessi! Questa fu la cagione dell'equivoco. Il semplice ragazzo vi avrà scambiati per que' due bravi galantuomi: sì, fu egli, quel ragazzo istesso che scoprì tutta la trama. Il cielo per salvarci accecò l'imprudente servidore a fidarsi di colui. Perdonate perciò, oh signori, perdonate il mio ragazzo dall'abbaglio. Poveretto, è facile ad ingannarsi! Mi spiace anzi che avrebbe potuto far credere ancora alle mie figliole... Aspettatemi un momento, torno subito. --Fra sé--: Prudenza, piano, prudenza... --Si accosta alla porta--.

Conte: Io sono stordito!

Barone: Zitto, che non può andar meglio!

Pietro: Agnese, Dorina, aprite son io. --Chiama verso la porta--.

Narduccio: --di dentro--: Sono déssi, si, sono déssi.

Pietro: --di dentro--: Vanne di là, disgraziato, né mi comparire! Esci di quella porta, ti dico.

Narduccio: --di dentro--: Almeno quanto la domando: la berretta...

Pietro: --di dentro--: Temerario, ti do un remo in testa!

 

SCENA VII

Esce Pietro conducendo per mano Dorina ed Agnese, dicendo piano a tutti e due:

 

Pietro: Non temete, secondatemi. Fingete di non averli mai conosciuti.

Agnese: --da sé--: Io tremo tutta...

Dorina: --da sé--: Che sarà mai!

Pietro: Sì, care figlie, voi sarete consolate; gettatevi a' piedi di quel signore. --Additando il conte--. Egli è il padre de' miseri! Egli è il vostro conforto, egli viene ad asciugare le vostre lagrime, a rendervi i vostri sposi. Sì, romperà i loro ferri. Pregate ancora quell'altro signore che anco si coopera in vostro favore! Oh, quanto questi due sono diversi da coloro che questa mattina attentarono al vostro onore: quelli tanto perfidi, questi tanto buoni. Sì, abbracciate le loro ginocchia, inondateli del vostro pianto!

Agnese: Ah, signori! --S'inginocchia--.

Dorina: La nostra riconoscenza. --Fa l'istesso--.

Pietro: Questo povero vecchio!

Conte: Alzatevi. --Fra sé--: Qual confusione, io mi sento intenerire.

Pietro: --fra sé--: L'anima sua è commossa. Cielo, secondami.

Barone: Sì, buona gente, sarete consolati. --Fra sé--: Eccolo lì, piange ancora, lui; si vede che è un ragazzo di primo pelo; ma niente, son qua io. --Il Barone a Pietro, sottovoce--: Pietro, sentite, il conte non ama tutte queste formalità.

Pietro: Bene, mi regolerò. --Fra sé--: Eh, furbo, ti conosco; con costui non facciamo niente! Care figlie, baciate la mano al vostro protettore, ringraziatelo e ritiratevi.

Agnese: E quali espressioni potrebbero esprimere quei sentimenti di gratitudine, onde abbiamo ripieno il core, se egli veramente si degnasse...

Conte: Sì, cara, farò tutto per voi, statene pur sicura! I vostri amanti, i vostri sposi ritorneranno: chi potrebbe resistere a quel pianto?

Pietro: --fra sé--: Pare che dica davero, ma non mi fido.

Dorina: Il cielo ve lo rimuneri! Con vostra permissione, signori.

Agnese: Ci raccomandiamo. --Entrano--.

Pietro: Che siate benedette! Vedete, signori, che gioia che sono le mie figlie, che core che anno? Eppure vi fu chi ardì oltraggiarle. Perché non si apre la terra per ignottirli?

Barone: Ormai sono stanco di più soffrire. Conte, per quell'affare l'ora mi sembra opportuna. Andiamo pure, non vorrei...

Conte --da sé--: Sì, ò risoluto. Pietro, più tardi portatevi al mio palazzo. --Fra sé--: Si dia retta a questi rimorsi! Quei rimproveri mi anno penetrato nel più vivo del core. Addio, buon vecchio! Barone, andiamo.

Barone --fra sé--: Conte, conte, me ne rido della tua debolezza: non sono chi sono se in due parole non lo cambio di nuovo.

 

SCENA VIII

Pietro solo

 

Pietro: Oh, sì che io mi son portato a meraviglia! Disse giusto il nostro savio procuratore: in queste cose la prudenza è la prima. Sì, egli mi sembra commosso; il suo core poi parmi capace di pietà: quel barone però, quegli è un cane, quegli è un mostro, non avrà né umanità né religione. Quegli temo che me lo guasta: son certo che l'amicizia di costui lo porta a rovinare quel povero signore. E' pur troppo vero quello che si dice, che i cattivi amici portano a perire gli uomini del più buon cuore. Io ci scommetto che il conte sarebbe il più buon signore di questo mondo. Poveretto, egli sembrava intenerito, quasi piangeva! Colui però era più duro di uno scoglio: oh come mi guardava! Però bisogna che io ci vada al palazzo del Conte: qualche cosa sarà. Egli assicurò mia figlia con un tono fermo e risoluto, ma pure è ancor troppo giovine, ha quel brutto demonio vicino. Eh, nasca quel che sa nascere! E' giusto che io ci vada finalmente: poi, sarà ciò che può essere, basta che non venghi in mia casa; che io vada in casa sua non importa. Mancherà alla sua promessa: ebbene, il cielo provvederà altrimenti! Le mie ragazze da qui a pochi giorni saranno in sicuro: sì il mio procuratore à dell'abilità, ci riuscirà a farle entrare in quel ritiro che la pubblica pietà à dato per ricovero delle povere orfane. Allora dormirò quieto, patirò un poco più, dovrò. Non ò più chi mi assista; e bene, pazienza! Basta che sia in salvo l'onore che io stimo sovra a ogni altra cosa, e non mi curo del resto. Care figlie, aprite...

 

SCENA IX

Agnese e detto

 

Pietro: Oh, Agnese, che ti è sembrato di quel signore, eh?

Agnese: Che volete che io dica, io resto attonita. Io dubito che non sia egli il padrone di quel birbante.

Pietro: Oh, per questo io non mi posso ingannare, se mi ci ha condotto lui stesso.

Agnese: Ma come dunque poteva dissimulare in tal guisa?

Pietro: Eppure, figlia mia, io spero che le nostre lagrime l'abbiano intenerito da vero.

Agnese: Ancor io spero l'istesso: quando me lo sono accostata a baciargli la mano egli tremava, era freddo freddo. E mi guardò in modo che sembrava non poter trattenere le lagrime. Al contrario l'altro, che brutta ciera aveva colui.

Pietro: E appunto di quella buona lana io temo di molto. Dimmi, Dorina che fa?

Agnese: Sta cucinando un poco di menestra per voi: tutto il giorno, poveretto, senza cibarvi di nulla, tutto per causa nostra!

Pietro: Non vi affannate per me, non importa: son avvezzo a resistere. Chiama un momento Dorina.

Agnese: Subito. --Entra--.

Pietro: Voglio interrogarle, se mai fosse di loro piacere il ritiro. Non vorrei poi sagrificarle.

 

SCENA X

Dorina e detti

 

Dorina: Eccomi, caro padre. Che domandate?

Pietro: Sentite, ragazze mie: il nostro procuratore mi à consigliato di mettervi al sicuro in un ritiro, ed egli stesso s'impegnerà di riuscirci. Io però non lo farò mai, se prima non sento il vostro piacere. Parlatemi dunque, sincere e senza riguardi, perché io troverei anche un altro modo per la vostra sicurezza: vi manderei dalla zia.

Agnese: Amato padre, non avete che a comandarci. Eccoci pronte a tutto quello che voi volete. Solo ci affanna che se noi andiamo nel ritiro, chi à cura di voi? Chi più vi guida? Chi più vi asciuga, quando venite tutto bagnato? Chi vi ristora?

Pietro: Sì, è vero: sarebbe troppo penosa la mia situazione. Io che mi sentiva rianimare al solo vedervi... Oh, come mi passava la stanchezza nell'abbracciarvi! Poi verrò lasso, rifinito dal travaglio, e non troverò che la casa muta, vi andrò cercando con gli occhi, ma... sì, mi ristorerò col poter dire: esse sono in salvo, il loro onore è sicuro. Sì, mi basta, mi basta. Sarà la più gran consolazione per me; questo è tutto per un padre. Mi basta. Se voi siete contente non vi curate di me, io non potrò trovar maggior soddisfazione.

Dorina: Ebbene, non ve l'à pur detto la sorella? La disponete di noi come più vi aggrada. Chi dovrebbe non rassegnarsi con piacere ai voleri di un padre così amoroso?

Pietro: Ah, venite al mio seno, io sento che in mezzo agli affanni la vostra virtù mi consola e mi fa provare de' piaceri che non so spiegare.

Agnese: Il vostro amore, padre mio, anco a noi fa parer meno penosa la nostra disgrazia. Ah, che questo core non da altri è occupato che dal mio Gianni e da voi. Ah, crudel destino, perché me l'ai tu strappato, oh Dio!

Dorina: Sorella mia, torniamo da capo: in verità io sempre mi fo coraggio, ma poi sento che posso appena trattenere le lagrime...

Pietro: Via via, non vi affliggete tanto; no, care figlie, chissà... Io vado per l'ultima volta da quel signore per tentare la mia fortuna.

Dorina: Sì, sì, andate pure: non parlate del conte? A me pare che il conte sia un bravo ragazzo. Ah, l'altro però ha un viso da Marfurio...

Pietro: Addio, care figlie, non state di mal animo, spero di tornar presto e con delle nuove. Addio. --Con sospiro e parte--.

Dorina: Giungano lassù i voti suoi! Si avveri una volta il felice augurio.

 

SCENA XI

Narduccio e dette

 

Narduccio: Sì, sì, crepate, crepate: le mie sorelle saranno una baronessa e l'altra contessa. Ah, ora non mi fate più paura, sono in casa mia.

Dorina: Ma che dici, con chi parli?

Narduccio: Io non dormirò più in barca, e voi altri sì, crepate! Sorelle, sorelle, no, non anno voluto credere i miei compagni alla marina che voi diventerete signore, quantunque io gridassi a tutto fiato. Si è raccolta tanta gente intorno a me. Tutti ridevano: volevano raccontata l'istoria, poi incominciarono a strapazzarmi, a tirarmi delle pietre e mi accompagnaro sin qui tutti i ragazzi della marina, gridandomi dietro tutti allegri.

Agnese: Oh Dio, Dorina, il nostro onore in bocca di costui, la nostra riputazione! Io mi sento morire...

Narduccio: Uno mi si accostò all'orecchio e mi gridò, e mi disse: "Tu ai poco di quello che il bue à troppo". Che cosa intendevano dire, ah?

Dorina: E dissero bene, mi vien voglia di scannarlo con le mani... Va’ dentro in casa e guai a te se tu esci più! Sorella mia, non ti avvilire, i detti di costui non hanno credito, lo conoscono tutti.

Agnese: Ah, che da quei detti i maligni sanno ritrarne il loro pabulo (9): noi saremo la favola del paese... Chi sa quante ne inventeranno, e se poi queste dicerie arrivano, arrivano alle orecchie di nostro padre, ne morirà di dolore: tu sai quanto egli è delicato nell'onore.

Dorina: Ma al fatto non vi è rimedio. Chi ci conosce, chi sa la nostra maniera di vivere, non presterà ascolto, e chi non ci conosce gracchi pure quanto vuole: l'oro non prende macchia.

Agnese: Anche a chi ci conosce metterà in sospetto, noi saremo segnate a dito.

Dorina: Sì, è vero, ma un giorno o l'altro si scoprirà, e la nostra innocenza sarà più chiara della luce del giorno.

Agnese: Felice te che ti sai confortare da te stessa! Io per me confesso la mia debolezza, tutto mi spaventa e mi scoragisce. Quanti pensieri funesti agitano la mia mente! Ah, mio Gianni, quali conseguenze funeste sieguono la tua sciagura. Ah, se tu veder potessi lo stato della tua misera Agnese... Tu però non sarai meno infelice di me, tu mi amavi, il tuo cuore tutto si appalesava ai sguardi miei: la semplicità de' tuoi costumi, la tua naturale schiettezza era incapace di finzione. Sì, tu mi amavi. Come ài potuto vivere lontano della tua Agnese, tu che non sapevi staccarti un momento dal fianco mio? Ah, egli non vivrà più...

Dorina: Ma sorella, sorella, mi faresti dire delle bestialità... perché tormentarci di avvantaggio (10), figurandoci tutto quello che non è? Forse i nostri amanti saranno ben trattati, forse... Ah, chi sa se pensano più a noi, forse!

Agnese: Come! Crudele! Tu pensi consolarmi e mi trafiggi nel più vivo del core! La sola gelosia mancava a quest'anima desolata, che dunque, egli potrebbe dimenticarsi... Avrebbe, potrebbe tradirmi... Un'altra, forse... Oh, smania, ora sì che sento tutto l'orrore della sua lontananza! Ohimè, non posso più...

Dorina: Forse non è bella cosa toccar questo tasto, ma io credo di far bene... ma chi è colui?

 

SCENA XII

Un portalettere e detti

 

Portalettere: Rais Pietro! Oh, bellissima ragazza... Ecco una lettera da consegnarvi...

Dorina: Una lettera! Mio padre non à corrispondenza. --Ne viene proprio una a lui--.

Portalettere: Questo è l'indirizzo: alle riverite mani di rais Pietro Allippa. Abita al borgo Padre, a Messina, numero 42.

Dorina: Viene a lui senz'altro. Datela.

Portalettere: E' affumicata. Bisogna che venghi da parti sospette. --La porge a Dorina--.

Dorina: Fosse una lettera de' nostri sposi! Chi sa, chi sa... Mi palpita il core. --L'apre--.

Agnese: Per carità, buon uomo, volete favorirci di leggerla?

Portalettere: Perché no! Ora vi servo.

Dorina: Prima di tutto vedete chi scrive e donde viene.

Portalettere: Badate, è di Algeri: vostro compare che vi ama Bernardo Rapa.

Dorina: Sì, è il nostro compare Bernardo, il marito di comare Brigida. Poveretto, ancor egli fu fatto schiavo nell'istessa barca di Gianni ed Antonio!

Agnese: Oh, stelle, qual interno tremore: perché non scrive egli, direttamente?!

Dorina: E sentiamo prima!

Portalettere: --legge--: Questa lettera bagnata dalle mie lagrime, vi darà la trista nuova che i vostri generi Antonio e Gianni, unitamente ad altri schiavi siciliani, sono morti dal travaglio.

Agnese: Oh Dio! --Cade svenuta--.

Dorina: Ohimè, ora sì che il coraggio mi abbandona! Io vacillo... Ohimè, io non ci vedo più, io moro! --Cade anch'essa--.

Portalettere: Oh, poverette, mi fanno compassione! Non saprei come fare a farle rinvenire. Chi sa, qui dentro vi sarà nessuno? Ehi, ehi di casa...

Narduccio: --di dentro--: Chi va là?

Portalettere: Accorrete: alle vostre parenti son accidente. Portate un poco di acqua.

Narduccio: Non posso sortire, altrimenti le mie sorelle mi bastonano.

Portalettere: Ma pure il caso è urgente.

Narduccio: Che sergente... si può sapere chi diavolo è?

Portalettere: Guardate un poco!

Narduccio: --Esce, vede le due sorelle svenute--: Oh, sono morte! Le mie sorelle sono morte... Quando moiono i parenti so che si piange. Ah, ah, sorellucce mie! --Piange--.

Portalettere: Costui è uno stolido. Bisogni che vada per un poco d'acqua io... ma no, se mi vedono, non vorrei nascesse qualche imbroglio. Vado dal calzolaio qui vicino.

Narduccio: Io solo, ò paura con questi mostri. --Entra in casa correndo e serra--.

 

SCENA XIII

Pietro e dette ancora svenute

 

Pietro: Ve lo diceva io che si sarebbe commosso, ad onta di quel perfido. Buono che lo lasciò solo, non credeva forse che io sarei andato così presto. Ora sì, non dubito più... --Si volge--. Ma giusto Dio, che vedo io mai! Agnese, Dorina. Sono désse! Io non mi reggo... Sì, sono morte... Figlie mie!

 

SCENA XIV

Portalettere con dell'acqua e detti

 

Portalettere: Eccomi. Oh, Pietro!

Pietro: E voi chi siete... Le mie figlie... Come! Oh Dio!

Portalettere: Vi dirò, ò portato questa lettera alle vostre figlie: in essa si annunzia la morte di Gianni e di Antonio.

Pietro: Giusto Dio, tutto per me è finito!

 

 

 FINE ATTO II

 

ATTO III

SCENA I

La porta e la fenestra della casa di Pietro sono serrate. Burrasca solo, avvolto in un mantello.

 

Burrasca: Son curioso di sapere se anno ricevuto quella lettera. Perduta che avranno la speranza dei loro amanti, finalmente si rincuoreranno, e poi l'oro... oh, allo scroscio di questo bel metallo, come vi cascano! L'oro è la forza, tutto vince! Son piaciuto, debbo riuscirvi... Ma... parmi di sentir gente, esce alcuno dalla casa di Pietro.

Mi nascondo: vuo' tentar di scoprir qualche cosa. In questo mantello posso aggirarmi qui intorno con più facilità. Una volta sola mi hanno veduto, non mi conosceranno. Oh, quella lettera sarà stato un fulmine per le ragazze... Ci ò gusto: almeno mi rifò delle ingiurie che anno contro di me vomitato questa mattina. Il barone à pensato bene: fingerò quella lettera; quando non anno più quella speranza di ritornare i loro amanti, è più facile il persuaderle. Però il mio consiglio è l'unico da doversi mettere in pratica: questa notte, attrapparle con la forza, attrappare anche il vecchio, serrarli in un galesse da posta. Lo conosco un galessiere mio amico, adattissimo al nostro bisogno. A queste galoppate al casino del barone, grideranno un poco, piangeranno, strilleranno, ma poi si debbono acquetare. C'è quel bel rimedio dell'oro... Oh, quante ne ò vedute cascare con questo bel mezzo! Si suol dire: non v'è virtù che l'oro non guasti. Quantunque non anno altro in bocca che quelle parolacce: onore, virtù... poi allo scroscio di quel bel metallo... Eh, oro, oro, sei pur la gran cosa! Però quel mio padrone è di molto pusillo animo, non lo credea così: per due parole del vecchio si è intenerito e vuole assolutamente beneficiarli. Con quella lettera però tutto è finito. Non m'importa. Faccia ciò che vuole il padrone! O il barone, che vale un tesoro. Son certo che appena gli dichiaro questo mio nuovo progetto, non esiterà un momento a metterlo in esecuzione: ne à fatte tante! Anzi, il padrone non deve penetrar cosa alcuna, potrebbe distoglierci dall'impresa. Del resto, si consulti il barone, così può darsi che della preda ne avrò ancor io la mia parte. Cospetto! Son piccato, non ò trovato tante difficoltà in delle signore di rango, quanto in queste vili pedine... Ma parmi, se non m'inganno, uscir alcuno dalla casa di Pietro. Mi nascondo qui dietro, vuo' tentar di scoprir qualche cosa.

 

SCENA II

Nardo esce pian piano. Burrasca si nasconde

 

Narduccio: Oh, non ne posso più, sono scappato, finalmente! Una piange, l'altra sospira. Mio padre è messo lì come un palo. Che diavolo! Se non ero io che mi adattavo alla meglio per mangiare non se ne parlava più. Per me però meglio così: ò fatto per quattro! Oh! Come era saporita quella menestra, mi sento la pancia piena piena. Eppure ne avrei mangiato di più... Quando è che moiono di nuovo i miei cognati? E’ pur la bella cosa mangiar tutto. Io voglio andare alla marina a prendere un poco di aria. --E parte--.

Burrasca: Ho sentito quanto che basta. La lettera l'anno di già capitata. Oh, ma ecco il mio padrone; vorrei nascondermi, ma non è più tempo, mi à di già veduto.

 

SCENA III

Conte e detto

 

Conte: Che fai tu qui?

Burrasca: Signore, ò perduto la chiave della mia porta. Siccome questa mattina fui in questo loco, veniva con la speranza di poter rinvenirla. E pure ci scommetto, signor padrone, che fingete col Barone: voi volete far da voi solo per la preda esser tutta vostra. E bene, col vecchio, se così è...

Conte: Taci, e da questo momento sappi che ti licenzio dal mio servizio. Vanne pure, infame ministro delle mie debolezze, e dì al barone che avete finito d'ingannare entrambi. Sì, ò aperti a tempo gli occhi sul precipizio dove le vostre vili seduzioni stavano per precipitarmi. Parti, né mi comparire innanti mai più!

Burrasca: Ma signore...

Conte: Parti, se non vuoi provare la giusta ira mia, né in questo luogo devi azzardar di metter più né piede né passo.

Burrasca: --fra sé--: Non m'importa, mi accetterà il barone; ci vendicherà entrambi da sé. --Parte--.

Conte: Si è squarciata la benda che mi accecava: io stesso non so comprendere l'improvvisa rivoluzione che successe nell'anima mia. Quelle, però, quelle lagrime, oh, come mi piombarono sul core! Oh, come tutto or sento: l'onta del delitto; il piacere della vera beneficenza... Oh, quanto egli è soave! Questi sono i veri piaceri... Oh, quanto sono diversi da quelli che, accompagnati dal delitto, vi straziano coi più atroci rimorsi! Grazie al cielo sono ancora in tempo per provarli, sono ancora in tempo per ritrarre il piede da quella strada dove un falso amico mi conducea a rovinare.

Secondiamo i moti del mio core: egli non era fatto per il delitto, io non lo sentivo dentro di me, si appalesava co' suoi palpiti nel momento che era sul punto di commettere un qualche eccesso. La voce della seduzione, era quella... Ah, si chiami quel vecchio, si disinganni, si confessi che io ero lo scellerato che osò attentare al suo onore! Queste lagrime di pentimento lo inteneriranno. Egli è buono, mi saprà perdonare quel denaro che io l'offrirò per il riscatto de' suoi congiunti, asciugherà il suo pianto ed espierà in parte i miei delitti. Ma non è désso?! Oh, come è egli mesto! Pure non lo dovrà più essere! La mia promessa! Pietro! Egli piange!

 

SCENA IV

Pietro, Agnese, Dorina e detto

 

Pietro: Ah, signore, ah: essi sono morti entrambi!

Conte: Chi! Come! Parlate! Sarebbero forse morti i due schiavi?

Pietro: Sì, mio signore, e le mie povere creature li seguiranno ben presto. Ah, perché la mia tarda età mi à riserbato un tal colpo! Signore, io vi ringrazio del vostro favore, il cielo non à voluto che io profittassi de' vostri benefici.

Conte: Anzi, io ero venuto per implorare il vostro perdono, a confessarvi che io ero uno di quelli che aveano insidiato le sue figlie. Ah, perdonatemi: per questa mano che io stringo e che io bagno delle mie lagrime. Perdonatemi, un nume parlò allora per bocca vostra, un nume benefico, per additarmi la strada della virtù.

Pietro: Ah, signore, io sono stordito...

Conte: Ah, perché non poss'io più rendervi felici! Questo, questo è il castigo dovuto alle mie scellerataggini: il privarmi del più caro di tutti i piaceri. Pure in quel che posso, eccomi pronto. Le mie ricchezze... Perché esse non anno la virtù di richiamare i morti dal loro sepolcro? Ma ditemi, donde aveste la fatal nuova?

Pietro: Questa lettera, signore, questa lettera, leggetela, inasprite le mie piaghe, ch'io spiri sotto il peso del mio dolore. La vita, oh quanto mi è odiosa!

Conte: Ma che vedo! Non è questi il carattere del barone? Io non m'inganno! Ora comprendo: chi ve l'à portata quella lettera?

Pietro: Giacomo il passa lettere.

Conte: Oh, non vi à più dubbio: questa mattina parlavano con Burrasca. Anzi quel vile mi rigordo che, accortosi di me, si divise subito, imbarazzato. Buon vecchio, consolatevi, consolatevi. Quella lettera è finta.

Pietro: Ah, che dite! E sia vero!

Conte: Sì Pietro, consolatevi: quella lettera è tutta inventata dal perfido compagno delle mie dissolutezze, dal barone. Io non m'inganno, conosco purtroppo quel carattere, e poi non mi resta luogo a dubitare: questa mattina ò veduto io stesso il mio indegno servidore parlare con Giacomo portalettere.

Pietro: E potrò io sperare, sarebbe forse per lusingarmi?

Conte: Ah no, statene pur sicuro che quella lettera è falsa. Ne impegno la mia parola.

Pietro: Ah, dunque io! Voi! Le mie figlie! Ah, lasciate ch'io vada a risuscitarle. La consolazione mi opprime, io non ho forza. Agnese, Dorina, ohimè, il pianto mi soffoca la voce...

Conte: Aspettate, preparate prima le ragazze alla lieta novella. Il passare da un eccesso all'altro potrebbe apportare del male. Lasciate che io le chiami. Buone figliole, venite a vostro padre che vi domanda!

Dorina: Gli è avvenuto qualche accidente?

Agnese: Oh Dio, che accade a mio padre?

Dorina: Ma che miro, m'inganno!

Conte: No, non v'ingannate. Quello che scorre dalle sue guance non è il pianto del dolore, egli piange per un estremo contento.

Agnese: E si può essere più contenti per noi!

Conte: Sì, sperate...

Dorina: Ah, voi non sapete, signore...

Conte: Sì, so tutto... ma quella lettera forse, chi sa?

Pietro: Sì, quella lettera, --signozzando-- quella lettera è falsa.

Agnese: Ma chi lo dice?

Conte: Io ve l'assicuro, virtuosissime ragazze: è tutta un'invenzione di quel mostro che questa mattina innanzi a voi affettava modestia, ne ò le più sicure prove.

Agnese: Dorina!

Dorina: Sorella!

Agnese: Il mio Gianni, ah, dunque egli vive ancora!

Dorina: Si, amata sorella, noi li abbracceremo.

Agnese: Oh, soave speranza! Eppure io, nell'eccesso del mio dolore, sempre dubitava di quella lettera, perché nell'aprirla mi parve che fosse stata suggellata di fresco.

Pietro: Ah, quanto vi dobbiamo, signore! Care figlie, ecco il nostro sostegno. Sì, da lui solo dipende la nostra felicità. Egli è pentito del suo attentato; era quell'indegno barone che lo seducea. Ora però egli l'aborre. Ringraziate la provvidenza...

 

SCENA V

Il barone e detti

 

Barone: Conte, di voi andavo in traccia! Se siete un cabaliere di onore, rendetemi conto colla spada delle ingiurie che avete villanamente vomitate contro di me. Il vostro servidore tutto mi à svelato, giovine imbecille ed incauto!

Conte: Non tanto foco, signore, non tanto foco: forse perché mi vedete disarmato parlate così, altrimenti quelle parole vi costavano care. Andiamo, io non ò paura di voi! Andiamo pure... Lasciate che ancor mi provvedo di un ferro e sarò con voi in qualunque luogo vi aggrada.

Barone: Andiamo pure, vi pentirete di avermi insultato!

Conte: Non tanto fuoco, no, non tanto fuoco! L'ammorzerò ben io quel caldo.

Pietro: Ah, signore, voi che fate, dove andate! La vostra vita è in periglio!

Conte: Il mio onore lo esige. Il cielo guiderà il mio braccio! Forse immolerò una vittima all'innocenza... --Partono--.

Pietro: Oh, questa sì che non me l'aspettava!

Agnese: Ma se siamo veramente sfortunate!

Pietro: Ma aspettate... Or ora farò io: corro dal mio procuratore. Egli farà, ricorrerà, impedirà. Subito subito, non si perda più tempo! --Fra sé--: Vorrei avere l'ali alle piante. Oh, che giornata! Oh, che giornata! --Parte--.

Dorina: Povero vecchio, io non so come à fatto a resistere...

Agnese: Oh Dio! Ci restava ancora a dover tremare per la vita del nostro benefattore... Dorina mia, se egli perisce le nostre speranze sono svanite.

Dorina: Ora sì che non ne posso più. Quanti palpiti, quanti timori! Quello che ò provato in un giorno, non l'ò provato in tutto il tempo di vita mia.

Agnese: E chi sa come andrà a finire! Povero signore, chi sa se in questo momento...

Dorina: Oh, non pensare a sciagure! Poi sei fatta apposta! Perché non ti figuri che il duello è stato impedito, come spesso suol succedere? Perché non ti figuri che il conte avesse vinto il barone, e così ci avesse liberati da quella mala spina? La morte del lupo è la sanità delle pecore.

Agnese: Sì, ma poi la giustizia...

Dorina: Che giustizia, sorella mia! Si suol dire: “la forca non è fatta per i ricchi”.

Agnese: Pur troppo è vero...

Dorina: Oh, il brutto fare che anno questi signori ricchi: per una parola subito la spada in mano. Fanno buono i nostri uomini, quattro pugni che servono più tosto per mettere in moto il sangue, e tutto è finito.

Agnese: Non mi rigordo mai che il mio Gianni abbia avuto un che dir con nessuno; tutti l'amavano, tutti lo stimavano. Ah, era pur troppo buono!

Dorina: Ancora il mio Antonio non si è giammai rissato quantunque avea del gran coraggio. Quella sera solamente non so come lo trattenni: ti rigordi quando il figlio di rais Leonardo venne a cantare sotto la nostra fenestra quella canzone amorosa, ti rigordi?

Agnese: Se me ne rigordo! Quella sera il mio Gianni si facea il viso di mille colori, ch'egli pure credea che quella canzone era a noi diretta; intanto, poverino, non avea coraggio di rimproverarmene.

Dorina: Il mio Antonio, al contrario, in queste cose non era affatto sofferente, e se quella sera non si appurava che la canzone era fatta per Celia, la figlia di compare Bernardo, quella sera nasceva un precipizio. Chi l'avrebbe detto? Celia ora è bella e maritata e noi altre fra le angustie e i travagli!

Agnese: E pure ancor ella à le sue: suo padre non è ancor egli schiavo? E' che in questo mondo non si dà vera felicità.

Dorina: Sì, ma quella vive con disinvoltura. Io credo che nemmeno ci passa per testa la schiavitù di suo padre: in tutti i festini di nozze delle nostre pari sempre mi dicono che è la prima.

Agnese: Bisogna che non abbia core...

Dorina: Sì, tu sola ài core? Tu poi, sorella mia, eccedi nel contrario.

Agnese: Sarebbe mai la sensibilità un vizio?

Dorina: Non dico questo, ma nella nostra condizione è un'affettazione: ci chiamerebbero smorfiose.

Agnese: Dunque chi è povero non può essere sensibile?

Dorina: Non dico che non può esserlo, ma se avesse la disgrazia di esserlo, bisogna moderarsi quanto è possibile.

Agnese: Ma dimmi, dimmi, tu che fai la maestra di prudenze, questa mattina, alla nuova fatale, perché sei rimasta di gelo? E quello svenimento?

Dorina: A quel colpo, finalmente...

Agnese: Eh, sorella, no sta a noi... ma sento un calpestio.

Dorina: Qualch'uno si appressa. Ritiriamoci.

Agnese: Qualche altra disgrazia...

Dorina: Tu mi fai arrabbiare. Perché non dici qualche buona nuova? --Entrano e chiudono--.

 

SCENA VI

Burrasca con altri due uomini, tutti e tre avvolti in tabarro

 

Burrasca: Piano, piano, senza strepito, che non ci senta alcuno. Questo è il cortile di cui vi ò parlato: è giusto che ne siate informati, così questa notte non potete abbagliare. Ma già ci sarò io. Quella è la fenestra dove dobbiamo dar la scalata. Il luogo non può esser più atto al nostro bisogno: fuori mano, qui, di notte, non si ci vede a passare un cane. --Fra sé--: Per questi assalti sono un bravo generale. Vedete quella fenestra, pur è bassa. Chi sa che non la lasciano aperta: con una piccola scala... Altrimenti, con un pugno, è a terra. Prima di tutto vi avverto: una mano in bocca acciò non gridino. Tu afferri il vecchio, io una delle giovani e tu l'altra. La chiave del casino l'ò in tasca, il galessiere è avvisato. Ma che furbo è colui: non poteva trovare il più adatto; era allegro come se l'avessi invitato ad un festino! Io e colui siamo da barcaiolo a marinaio, ma non ci facciamo veder più a lungo in questi contorni, non vorrei fossimo scoperti. Temo sempre di quel diavolo del mio padrone... Buona gente, ci siamo: all'imbrunire sarà il momento propizio, ma non dir altro. A notte avanzata sarebbe meglio: in questa maledetta piazza d'armi le porte si serrano a buon ora. Però il luogo è adatto a qualunque ora... Che si faccia tutto appuntino! Non dubitate, il mio padrone è generoso, saprà bene ricompensare le vostre onorate fatiche. Andiamo! Sì, alla fine mi vendicherò. Vendicarsi e godere è la più bella cosa del mondo. --Parte--.

 

SCENA VII

Pietro, Agnese e Dorina

 

Pietro: Oh, che bel colpo! Oh, che bel colpo! Non potea sperare di più. Care figlie aprite, buone nuove, aprite!

Dorina: Come è andata?

Agnese: E' restato ferito nessuno?

Pietro: Che ferito, non poteva andar meglio! Ma lasciatemi sedere che non ne posso più veramente. Oh, così va bene, sentite dunque: al sortire di qui, appena esco la stradella, ecco subito il procuratore che veniva alla volta della nostra casa per darmi delle buone speranze circa l'affare della vostra situazione nel ritiro; ma vedete, quando il cielo vuole aiutarci, portava seco lui il giudice e se ne venivano così discorrendo. Allora vo avanti e racconto loro tutto l'occorso; mi fo accanto, il giudice ben tosto mostrò il possibile impegno, ma si disperava di ritrovarli. Pure mi vanno gli occhi verso il vicolo che conduce al piano e vedo molta gente che correva verso là. Accorsimo allora noi pure, e trovammo che il conte e il barone si battevano alla disperata. Subito il giudice gridò, si frappose in mezzo a loro, e fe’ valere la sua autorità. Intimò al momento al barone l'arresto per aver fatto la provocazione, ed io accompagnai il nostro buono protettore sano e salvo sino al suo palazzo.

Dorina: Ma egli era senza spada!

Pietro: Sì, ma che so io, chi sa dove diavolo l'à trovata, aveva una spada che luceva come un'aguglia! Il conte poi è ricorso contro quel birbante servidore, ed il giudice diede ordine di farlo acchiappare, e a quest'ora sarà anch'egli in gabbia.

Agnese: Il cielo lo volesse, caro padre! Egli non si agitava qui con altri due? Abbiamo visto tutto dal buco della chiave. Sorella, non v'à dubbio ch'era désso, eh?

Dorina: Oh, senz'altro! Oh, io l'ò visto ben bene in faccia.

Pietro: E' così?

Dorina: Io dubito di qualche tradimento per questa notte. Essi guardavano tutti e tre la fenestra, e poi quel birbante à detto agli altri "Ci siamo intesi, all'imbrunire della sera. Non vi dimenticate la scala", questo è quello che abbiamo possuto sentire. Parlavano sommessi, erano tutti e tre avvolti in mantello, e il loro contegno era molto sospettoso.

Pietro: E pure questa notizia non mi turba affatto, anzi io spero con più facilità darlo nelle mani della giustizia. Il tutto sta se mi reggo a far questi quattro passi per andare a trovare il giudice, però la sua casa non è lontana. Se lo trovo, oh, la sarebbe bella: chi viene per la lana andrebbe toso, si vada pure! Oh, se lo trovassi! Mi farò dare birri, soldati. Non si perda tempo! Ragazze mie, io vado. Spero di tornar presto. Ritiratevi, chiudete bene, vorrei chiamare commare Brigida, vi ci raccomanderei. Voglio batter: ehi di casa, commare... Non si sente a rispondere. Ehi di casa... sarà fuori. Questo giorno non si è veduta affatto. Non importa, parlerò col calzolaio qui vicino. L'avviserò di tutto. Se occorre gridate. Non avete paura, no, io tornerò subito. --Fra sé--: Mi tremano le ginocchia, ma bisogna fare quest'ultimo sforzo, e poi riposarmi due giorni almeno.

Agnese: Caro padre, tornate presto, io mi moro dallo spavento...

Dorina: E che spavento! Non dubitate, padre mio. Andate tranquillo, ci son io, non temo di nulla, cospetto! In un'occasione ti farei vedere quello che saprei fare.

Pietro: Brava, brava, vado pure. Sì, sì, Dorina mia, fa coraggio alla tua sorella. Agnese, non temere, no, figlia mia, io torno presto! Addio. --Parte--.

Agnese: Presto, presto, ritiriamoci: accendiamo il lume e stiamo in attenzione.

 

SCENA VIII

Narduccio e le sue sorelle dalla fenestra

 

Narduccio: Sorelle, sorelle, oh, che c'è stato alla marina! Quanta gente, quanta gente: commare Brigida, Celia, Bettuccia, la scartellata, Angela, la rigattiera; po' che gridi che facevano, chi rideva, chi piangeva...

Dorina: Ma perché tutto questo?

Narduccio: Io non lo so. Una folla grande, tutti i miei compagni ballavano: il figlio di commare Brigida ballava, mi diceva: “Narduccio, è venuto mio padre!”.

Agnese: Che dici, che dici?

Narduccio: Tutti dicevano: “E viva, e viva, sono venuti gli schiavi, sono venuti liberi!”. E io, intanto, gridava senza sapere il perché.

Agnese: Sorella mia, Dorina mia, non mi reggo in piedi. E sia possibile, dobbiamo credere a costui?

Dorina: Agnese mia, i suoi sono bei detti. Sì cara, non c'è dubbio che sono venuti gli schiavi.

Agnese: Ah, Narduccio mio, va’ dal giudice, va’ da nostro padre! No, no, va’ alla marina. No, no. Oh Dio, io sono confusa.

Dorina: Sì, subito, va’. Chiama nostro padre, presto! Egli sarà poco distante. Avvìati, presto, per la stradella. Subito, Narduccio mio, subito!

Narduccio: Pu, pu, siete pazze! Io non ò capito una maledetta di tutto quello che volete. Il giudice, la marina, nostro padre... Ah, ah, sì, sì: adesso capisco: il giudice è andato alla marina per catturar nostro padre e volete che io vada. Oh, no, no, e se poi catturano a me? Non me la sento, no, e poi a quest'ora io non cammino più all'oscuro: ò paura.

Agnese: Apri, apri! Sorella, fallo entrare. Sentiremo meglio. --Apre--.

Dorina: Entra pure. --Nardo entra, Agnese, serrando la fenestra--. Oh Dio, sarà mai vero, sarebbero essi tornati?

 

SCENA IX

Gianni ed Antonio vestiti alla turca con li baffi

 

Gianni: Caro Antonio, lode al cielo, rivediamo pure questi luoghi adorati... Ah, beate mura che chiudete l'anima mia! Io voglio baciarvi, voglio bagnarvi di lagrime di contento. Agnese, vita mia, qual sarà la tua sorpresa!

Antonio: Oh, è certo, Dorina mia impazzirà dal contento! Ma io direi poi di cambiarci di questi abiti. Chi sa che impressione potrebbero farci...

Gianni: Eh, chi ama da vero non bada a queste cose! Antonio mio, che diranno quando sapranno la nostra fortuna, e che di poveri marinai siamo già diventati mercanti? Che piacere il poterla abbracciare in tal modo!

Antonio: Sì, caro Gianni, e qual maggior prova di questa! Altri, forse, nel nostro stato non si degnerebbe più di abbassarsi; ma no, no, l'onestà, la fede lo esigono...

Gianni: E poi qual delizia poter sollevare dall'indigenza l'oggetto amato e poterle far gustare i piaceri di uno stato comodo! Caro amico, intanto io non vedo l'ora di rivederla, di abbracciarla, di porgerle questa mano. Ma come fare: non vorrei che l'improvvisa allegrezza, però... In tal maniera vestiti, non ci conosceranno alla prima. Oh, come mi palpita il core! Oh, è Narduccio! Zitto, sentiremo da lui qualche cosa.

 

SCENA X

Narduccio esce dalla sua casa con un picciolo fanaletto e sarà subito serrata la porta

 

Narduccio: Andrò dal giudice, dirò a mio padre che le mie sorelle vogliono li sbirri in casa. Sta a vedere che di baronesse, di contesse diventeranno sbirresse... Li sbirri me la daranno certo la berretta rossa! Poi dirò che alla marina, no, che dico... che alla marina, io non mi rigordo più niente. Agnese, Dorina, sorelle! Oh, non sentono. Bisogna che vada dall'altra parte... Io però muoio dalla paura.

Gianni: Narduccio!

Narduccio: Ah, misericordia, turchi! Scappa, scappa! --Si lascia scappare il fanale--.

Antonio: Ferma!

Gianni: Chi vuoi fermare! Egli corre come un disperato: ma pure Antonio, che à detto egli, di sbirri, di contesse, baronesse? Nei detti di quello sciocco si nasconde qualche mistero... Oh Dio, qual pensiero! Che ne dici, Antonio?

Antonio: Che vuoi ch'io dica, certamente qualche cosa sarà. Eh, amico, son donne! Chi sa, in due anni della nostra assenza...

Gianni: Giusto Dio, e sarebbe possibile? La mia Agnese, no, no: è incapace.

Antonio: Ma zitto: parmi di sentir gente.

Gianni: Sì, si sente un calpestio. Nascondiamoci dietro quel cantone... Stiamo ad osservare, forse scopriremo. Oh Dio, mi trema il core!

 

SCENA XI

Burrasca e due o tre uomini armati verranno dalla quinta opposta a quella dove scappò Narduccio

 

Burrasca: --sotto voce--: Attenti cammerata, attenti! Avete pur fatto male a non portare armi da fuoco. Io la mia non la lascio mai, ma spero che il tutto riuscirà pacificamente. Prima di tutto turatele bene la bocca, acciò non gridino. Diavolo, la fenestra è serrata, ma non m'importa, abbiamo de' ferri, abbiamo tutto a proposito. Appoggia piano piano quella scala, saglirò io prima: son già più pratico della casa. Dammi quello scalpello, scioccarello! Farà la forza quello che non anno fatto le promesse e i raggiri. --Escono Gianni ed Antonio--.

Gianni: Ti inganni traditore, sei morto! --Si scaglia contro di Burrasca--.

Burrasca: A voi dico, a voi uomini...

Antonio: Non vi avanzate un passo che vi farò saltar le cervella.

 

 

SCENA XII

Pietro con sbirraglia.

Egli terrà una fiaccola accesa in mano.

 

Pietro: Animo, figlioli, animo... Ma che vedo! Arrestateli, arrestateli subito! Egli è désso: ma chi sono coloro?

--In questo mentre si vede aprir la fenestra e si udrà...--.

Agnese: No, non m'inganno, fu la sua voce. Egli è désso!

--Si vede aprir la porta--.

--Dopo aver guardato un pezzo i due turchi Agnese e Dorina si slanciano ognuna verso il suo amante, e si abbracciano--.

Agnese: Ah, mio Gianni!

Dorina: Adorato mio Antonio!

Gianni: Ah, mia vita!

Antonio: Ah, Dorina mia!

Pietro: Come? Voi! Gianni! Antonio! Sostenetemi che io non mi reggo...--Gli casca di man la fiaccola che riprenderà uno delli sbirri--.--In questaSCENA resteranno situate così le due donne: sostengono con un braccio il vecchio che resterà in mezzo. Con l'altro terrà ognuna abbracciato il suo amante. Dopo qualche pausa--.

Pietro: E sia vero, e non è un sogno!

Gianni: Ah padre mio!

Antonio: Ah, rispettabile amico!

Dorina: Agnese mia, non te lo dissi io?! Il core mi parlava...

Agnese: Gianni!

Gianni: Cara!

Pietro: A voi dico, toglieteci dinnanti quello scellerato. L'orribile vista di quel traditore e dei suoi perfidi complici non amareggino questi preziosi momenti.

Burrasca: Maledetto destino! --La sbirraglia prende Burrasca e gli altri due--.

Gianni: Ma colui, quel traditore...

Agnese: Se sapreste, mio caro Gianni, quanti palpiti, quante angustie...

Dorina: Sorella mia, non è più tempo di pensare ai guai... Poi gli racconteremo tutto. Dimmi Antonio, e come siete scappati?

Antonio: Ma chi è mai quel signore che si avvia verso di noi?

Pietro: Oh, venite, venite, signore, venite a godere delle mie consolazioni!

 

SCENA XIII

Il conte e detti

 

Conte: Oh Pietro, dunque è vero quanto mi anno narrato?

Pietro: Sì, mio signore: questi che io vi presento sono i miei amici, cari figli, che tanto ò sospirato.

Conte: Oh, quanto io godo nel vedervi finalmente felici!

Pietro: Sì, cari figli, riconoscete in questo signore il più generoso, il più amabile giovine.

Conte: No, buona gente, disingannatevi: se lo sarò, in appresso, ma fino ad ora sono stato il più vile, il più scellerato, sedotto da un perfido amico e da un infame servidore. Ve lo confesso: io attentai all'onore di queste due virtuosissime figlie, tentai di vincerle con insidie, con promesse e, finalmente, coll'offerta del vostro riscatto, che per loro era la cosa più cara, m'introdussi a confidenza col padre, sperando poi tutto facile il resto... quando il cielo pietoso, che volle salva l'innocenza e volle ricondurmi al cammino della virtù, mi parla per bocca di questo venerabile vecchio, le sue lagrime scuotono l'intorpidito mio core, mi si squarcia quel velo che mi celava il vero carattere del finto amico e dell'indegno servidore...

Dorina: Oh signore, se sapreste: quel servidore avea tentato l'ultimo colpo. Volea rapirci!

Conte: Ah, crudele, se lo trovo!

Pietro: E lo potete trovare quando volete: in gabbia! L'ò trovato sul fatto e l'ò fatto attrappare.

Conte: Avrà la pena dovuta alle sue scellerataggini. Intanto, Pietro, quel denaro del riscatto che io, pentito, avea con tutto il core promesso, voglio che lo godete per amor mio.

Gianni: Vi ringraziamo, signore, della generosa esibizione che ci fate; ma, grazie al cielo, uno di quegli avvenimenti coi quali la provvidenza manifesta i suoi portenti ci à messo in istato di non aver più bisogno di alcuno. Scusate, no, né è questo un rifiuto, ma potete impiegar meglio quella somma sovvenendo qualche altro infelice.

Agnese: Ma come: noi dunque saremo ricchi?

Gianni: Se non saremo ricchi, saremo in uno stato da non desiderare i comodi della vita.

Agnese: E in questo stato, vi abbassate...

Gianni: Sì, mia cara, anzi, il maggior contento della nostra fortuna è il poterla dividere con voi.

Agnese: Oh, fedeltà senza pari!

Dorina: Oh, consolazione! Ma come avete fatto?

Antonio: Poi vi narreremo l'istoria.

 

SCENA ULTIMA

Narduccio e detti

Narduccio: --di dentro--: Caro padre, vorrei uscire ma ò paura: ci sono turchi... Oh diavolo: mio padre che tanto li temeva ora ha fatto confidenza coi turchi!

Pietro: Vieni pure, non aver timore!

 

FINE

 

NOTE

 

1. Orza. Il lato della nave posto sopravvento, in contrapposizione alla poggia.

2. Tarì. Moneta aurea araba, emessa per la prima volta in Turchia intorno all'anno Mille. Con lo stesso nome venivano indicati i soldi coniati dai sovrani normanni e aragonesi e il doppio carlino del Regno di Napoli.

3. Ràis. Addetto alla direzione della pesca in tonnara.

4. Digiuné. Dal verbo francese déjeuner, nel significato di fare colazione.

5. Gilecco. Dal siciliano gileccu o cileccu, indumento senza maniche da indossare sotto la giacca. Sinonimo di corpetto, panciotto, gilè.

6. Scudo. Nome attribuito a numerose monete d'oro o d'argento, coniate soprattutto a Firenze e a Venezia dal 1500 in poi. Genericamente, grossa moneta in argento o d'oro.

7. Andromaca. Figlia di Misia, re di Tebe. Sposa di Ettore, madre di Astianatte. Dopo la morte del marito e la caduta di Troia, sposò il figlio di Achille, Neottolemo, e poi Eneo.

8. Cabalone. Colui che ordisce cabale, raggiri: imbroglione.

9.Pabulo. Foraggio, pascolo per i greggi; alimento.

10. Avvantaggio. Termine, oggi in disuso, equivalente di vantaggio.