Salvatore Costanza


la copertina del libro

la copertina


© Copyright 1989
Arti Grafiche Corrao



via Valenza, 31
Trapani
Finito di stampare
nel settembre 1989



Ringrazio l'amico
Vito Accardo
per avermi portato
alla conoscenza
di questo libro



Questa ricerca storica riproduce, con ampliamenti e integrazioni, l'omonimo studio pubblicato nel fascicolo speciale dei «Nuovi quaderni del meridione» dedicato alla rivoluzione palermitana del settembre 1866 (n. 16, ottobre/dicembre 1966, pp. 419-38).





Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA PATRIA ARMATA di Salvatore Costanza


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PROSPETTI RIASSUNTIVI DEL CATASTO DI CASTELLAMMARE (1842-44)


I FERRANTELLI


Atto di società tra li Signori Antonio. Vincenzo e Gioachino Ferrantelli (n° 1. Giuseppe Mangiarotti, 28 agosto 1839: AST, 1109, ff. 3llr-3l5v).
Nel di ventotto Agosto del mille ottocento trentanove
Innanzi a me Notaro Giuseppe Mangiarotti, figlio del difonto Don Gaetano, residente in questo Comune di Castellamare del Golfo, Valle di Trapani, con studio notarile nella casa di propria abitazione sita via maestra, vicino la piazza quattro cantoni numero duecento sette, ed in presenza delli sottoscritti testimonj per effetto di rogare il presente contratto, per cui ne fui adibito, e di conservarlo originalmente nelle mie minute a mente della legge si sono personalmente presentati
li Signori Antonio e Vincenzo Ferrantelli, fratelli, figli dell'estinto Gioa­chino, e Gioachino Ferrantelli, figlio di detto Antonio, tutti e tre borgesi possidenti, e domiciliati in questo medesimo Comune colle rispettive case d'abitazione il detto Antonio via Barone, Vincenzo in quella chiamata di Ferrantello, il detto Gioachino via della macina da me notaro e testimonj conosciuti.
Esse parti comparenti mercé il presente vengono a dichiarare ed a stabilire quanto siegue, di cui ne promettono l'esatto adempimento.

Articolo primo

Per li due anni di rispetto continuati che correre dovranno dal primo giorno mese di Settembre dell'anno mille ottocento quarantuno, che sono le terre nominate della Noce, Pecoraria, e l'intiera montagna chiamata d'Inici, giusta li rispettivi confini, terre tra loro ben sapute, come egualmente di detta montagna, parte di due anni di rispetto come sopra stabiliti, restare in società per tutti e tre, con goderne ognuno della società terza parte, ed il tutto la società godere, ed approntare in terza parte, tanto per le semine di qualunque sorta di genere, pascoli, erbaggi, ed altro alla società ben visti, con pratticare il tutto con intelligenza, e col reciproco consenso della società, goderne il lucro, e soffrirne la perdita, sempre in terza parte nel modo di sopra stabilito. Ognuno si obbliga corrispondere a chi di dritto la terza parte della gabella rispettivamente dovuta sopra le nominate terre, e montagna, carnaggi, semenza, ed altro necessario che per tale società sarà necessario. Di tutto portarne esatto e fedele conto, senza nessuno mancare; chi mancherà sente assoggettirsi a tutte le spese, danni, ed interessi giudiziarii, ed estra nella generale forma, lucri cessanti e danni emer­genti, stante cosi tra loro avere convenuto.

Articolo secondo

Nella locazione degl'uomini per uso della società, ed ognuno nel rispettivo mestiere, il tutto dovrà pratticarsi col reciproco consenso, ed ognuno giusta la pattuita mercede corrispondere la terza parte, senza nemmeno mancare, chi mancherà sente assoggettirsi alle spese, ed altro come sopra fu convenuto.

Articolo terzo

Le dette terre e montagna devono stare per nome e conto di detti tre socii, senza potervesi associare ad altri individui, nella generale forma siano parenti, né esteri, ma il tutto restare per essi Ferrantelli; ma chi contro verrà a questa convenzione, e verificata nei modi legali, il controventore sente assoggettirsi alla multa di onze cento in denari, quali dovranno restare acquistate a chi non controverrà a questo patto, mentre il netto per le terre e montagna dovrà sempre restare per conto delli detti tre socii. Verificata la controvenzione come sopra, le onze cento di multa il contro vento re promette e si obbliga pagarie a chi di dritto, qui in Castellamare in buona moneta corrente fuori offerta reale, o deposito subito verificato il caso di sopra previsto, e senza contradizione alcuna, e mancando sente assoggettirsi alle spese tutte nella generale forma.

Articolo quarto

Chi delli tre socii nella società avrà bestiame sia grosso sia minuto, all'infuori della terza parte per ognuno dovrà pagare la Fida distinta cosi:
Baccha ad onze tre per una genizza, e genchi osia strippa maglia ad onze due per ognuno, capre ad onze dieci otto al centinaio e questo per il dippiu per lo bestiame che porteranno fuori di quello della società, e pagarne la pattuita Fida giusta l'usanza, e chi mancherà sente assoggettirsi alle spese ed altro come sopra.
Nel farsi la gente per la fatiga d'uso necessario alla società, oltre di faria di consenso, tutti dovranno essere soggetti, subordinati ed ubbidienti a tutti li tre socii nell'adempire il loro rispettivo dovere e senza contradizione alcuna riconoscere li socii in ciò che occorrerà e nelli servizii di società leciti ed onesti, stabilirà i soldi e pagamenti col consenso di tutti e tre, ed il tutto per detti due anni di rispetto pratticare di consenso.

Articolo quinto

Con patto espresso che il detto Vincenzo Ferrantello non potrà assistere nella campagna aggregata alla presente società, in questo caso li altri due socii non possono molestarlo, ma in sua vece sostituire sia suo figlio Gioachino, o altro individuo, che sia capo casa d'assistere in ciò che si conviene. Ma nei tempi delli raccolti lo stesso signor Vincenzo Ferrantello promette assistere nell'aja, e raccolta delli seminati.
Chi sarà sopra luogo delli detti tre socii, o sia padroni dovrà godere la spesa del pane e vino giusta l'usanza, e tutti e tre badare all'interessi sociali con tutta la fedeltà, risparmio ed altro che si conviene.
Il detto Signor Antonio Ferrantelli in virtli del presente sulla richiesta del detto Signor Vincenzo Ferrantelli suo fratello, per dilucidazione della verità e discarico di sua coscienza dichiara essere stato pagato e soddisfatto a tutto il cadente mese di agosto della gabella di talune terre tra loro ben sapute, giusta la forma delle loro scritture, e perciò su tale particolare sentono quietanzarsi nella pili ampia e generale forma, anzi lo stesso Antonio in favore del Vincenzo gliene rilascia valida quietanza.
Aggionta per postilla: In quanto al frumento per la semina in due terze parti spettanti al Padre e Figlio Ferrantelli, dovrà consegnarsi nell'ex Feudo d'lnici, e valutarsi alli prezzi medii che si faranno in questa nelli primi giorni del mese di gennajo mille ottocento quarantuno (giusta la convenzione). Fuori al prezzo, come al passato anno, basta che sia mercantibile, e recettibile, e qualora cosi non sarà, comprarla ognuno per rata di buona qualità.

***

Contratto di fida (not. Giuseppe Mangiarotti, 21 agosto 1845: AST, 1117, ff. 817r-822r).
Nel di ventuno Agosto del mille ottocento quarantacinque
Innanzi a me Notajo sottoscritto con studio notarile nella casa di propria abitazione, sita via maestra, numero duecentotredeci, assistito dai nominandi Testimonj personalmente compareno
Il Signor Gioachino Ferrantelli figlio di Antonio, borgese possidente, domiciliato in questa Comune di Castellamare via Macina
E li Signori Alberto Colomba del fu Antonino, Antonino Valente del fu Paolo, Giovanni Sgrò di Giovanne, pure qui in Castellamare domiciliati, tutti e tre crapaj, cioè il primo via Ferrantelli, il secondo via Schiavo, il terzo via Cascio.
Ed il Signor Salvatore Cancelosi del fu Melchiorre, pure crapajo, domiciliato in Alcamo via Cappuccini, ed oggi per proprj affari trovatosi in questo Comune di Castellamare ove per l'esecuzione del presente elegge il suo domicilio, e propriamente in questa Cancellaria Comunale, nella via Maestra.
Tutti a me Notajo e testimonj noti.
Esse parti dichiarano di aver tra loro stabilito quanto siegue, di cui ne promettono l'esatto adempimento.

Articolo primo

Il detto Signor Ferrantelli mercé il presente sotto la garenzia voluta dalla legge concede per esso e suoi alli sopranominati Colomba, Valente, Sgrò e Cancelosi qui presenti che ad uso di fida si ricevono uniti assieme principalmen­te ed in solido, e colla renuncia d'ogni legale favore, che affida, osi a ad uso di pascolo si ricevono la menza montagna d'lnici che al Ferrantelli fu gabbellata dal Signor Marchese Cardillo giusta la forma delle sue scritture, mezza monta­gna tra essi loro designata, e ben saputa, e ciò ad effetto di farvi pascolare numero trecentocinquanta circa crape dal primo settembre entrante sino a tutto il di trentuno agosto dell'anno entrante milleottocento quarantasei; qual tempo durando detti Colomba e compagni non possono ricusarla.

Articolo secondo

Dichiarano esse parti comparenti che la fida di dette crape fu stabilita tra loro alla raggione di onze sedeci per ogni cento crape. Quale fida li sopranomi­nati Colomba, Valente, Sgrò e Cancelosi in virtu del presente uniti assieme principalmente ed in solido e colla renuncia come sopra anzi ognuno per lo tutto come di dritto per essi, e suoi dare e pagare han promesso, e s'obligano al detto signor Ferrantelli, o a persona per esso legittima qui in Castellamare nel di lui domicilio in buona moneta corrente, fuori offerta reale, o deposito nel di quindeci agosto del detto anno mille ottocento quarantasei, ed anche prima a libertà delli stessi Colomba e compagni, senza potere uscire il bestiame dalli dette terre se non prima avran pagato l'intiera fida, in caso d'inadempimento insolidati come sopra sentono assoggettirsi non solo alle pene volute dalla legge, ma pure a tutte le spese, danni ed interessi giudiziari ed estra pella generale forma che il Ferrantelli o il suo rappresentante sarà per fare e soffrire, comprese quelle di una prima copia in forma esecutiva del presente contratto cosi di convenzione tra loro.

Articolo terzo

Si fece di patto espresso tra esse parti che casomai le crape saranno nel caso di necessità per mancanza di pascolo, e d'uscire dalla detta menza monta­gna le crape lattare e pregne delli Colomba e compagni possono pratticarlo per lo spazio di mesi due e Ferrantello compensarli la rata della fida per qualli animali o sia crape che saranno per uscire. Restano facoltati detti Colomba e soci i di tenere in detta menza montagna due giumente franche di fida, ma qualora le dette giumente faranno allievi promettono e s'obligano pagare al Ferrantelli la rata della fida, ma se porteranno altra giumenta si obligano pure pagame la fida come Ferrantello farà come gli altri.

Articolo quarto

Che caso mai il Ferrantello penserà di costudire il piano cosi detto della Torricella cosi come lo farà custodire Ferrantelli lo dovranno custodire Colom­ba e compagni, ma pascolandolo pascolare tutti, e ciò senza la menoma contradizione. Con questo però che prendendo la via che porta al màrcato del Cric­ci aro in linea retta detti Colomba e compagni possono fare il marcàto in detto Cricciaro. Terminato però il racolto milleottocentoquarantasei e levate le gregne nelle terre da seminarsi in questo caso detti Colomba e socj restano dal Ferrantelli facoltati a poter pascolare non solo nelle dette terre quantunque restassero ristoppie e nuglie per conto del Ferrantello, il quale pure si obliga dare al Colomba e socj l'uso dell'acqua per dare a bere le dette crape e giumente nella Beviratoja dei Parchi.
Finalmente si è convenuto tra Ferrantelli e Cancelosi che se quest'ultimo penserà di uscire di detta menza montagna numero trenta crape possa pratticar­lo senza però Ferrantello fame compenso alcuno; ma qualora Cancelosi porterà in dette terre altre numero trenta crape sempre resta obbligato a pagare la fida. Le dette crape permettono detti Colomba e compagni tenerle tutti assieme, o sia in unica partita, ed ognuno pagare la rata degli uomini.
Tali sono le convenzioni delle parti le quali per l'esecuzione del presente eleggono il loro domicilio nel modo di sopra espressato.

***

«Società per l'affitto della niviera d'lnici» (not. Andrea Di Blasi, 23 marzo 1856: AST, 1018, ff. 424r-435v).
Nel di ventitré marzo milleottocentocinquantasei Ferdinando Secondo Regnante ecc.
lnnanti di me sottoscritto Notaro assistito dai sottonominandi Testimonì sono personalmente comparsi:
Il Signor Gioachino Ferrantelli di Vincenzo, possidente, domiciliato in questo Comune di Castellammare con casa nella via Guzzari;
Il Signor Don Giacomo Ferrantelli di Vincenzo, possidente, ivi domicilia­to con casa nella via Ferrantelli;
Ed il Signor Salvatore Domingo di Salvatore, contadino possidente, domi­ciliato pure in questo Comune con casa nella via Capraro;
A me notaro essi comparenti noti.
L'anzidetto Signor Gioachino Ferrantelli in dilucidazione della verità dichiara che l'affitto delle Niviere esistenti nella montagna d'lnici di pertinenza del Signor marchese Don Antonio Cardillo da quest'ultimo datogli per l'atto del cinque Gennajo ultimo rogato da Don Alvaro Iinnari notajo in Parco, registrato in Morreale al numero duecentotredici progressivo li undici detto Gennajo nel Libro primo, volume centocinquantuno, foglio primo, retro casella terza, ricevu­ti grana ottanta, Archivio grana cinquanta, Il Ricevitore Capuzzo, per la durata di anni quattro di fermo decorrendo dal primo Settembre prossimo, e per l'estaglio di ducati duecentocinquantacinque annui, coi patti in esso contratto espressi, si appartiene in metà ad esso Gioachino, e nell'altra metà al divisato Don Giacomo Ferrantelli; e che li ducati duecentocinquantacinque al locatore Signor Marchese Cardillo soddisfatti per lo estaglio della prima annata di tale affitto sono stati pagati per denari proprì metà dallo stesso Gioachino e l'altra metà dal ripetuto Don Giacomo Ferrantelli; e che finalmente l'affitto di cui si tratta dai ridetti fratelli Ferrantelli è stato preso con intenzione di associare nello stesso il comparente Signor Domingo.
E l'anzidetto Don Giacomo Ferrantelli, accettando la suddetta dichiara­zione si obliga verso l'anzi scritto Signor Gioachino Ferrantelli allo esatto e puntuale adempimento, di unita al memorato Gioachino, di tutti gli oblighi da quest'ultimo assunti verso il locatore anzi scritto pel sovracalendato atto, del di cui tenore se ne dichiara bene istruito ed informato mediante lettura da me notaro fattagli in presenza degli altri comparenti, e dei sottoscritti Testimonì della spedizione in forma esecutiva del replicato contratto di affitto, registrato in Morreale al numero duecentosedici progressivo di undici Gennajo milleottocentocinquantasei, nel Libro primo, volume centocinquantuno, foglio primo retro, casella sesta, ricevuti grana venti dal Ricevitore Capuzzo, a me notaro all'uopo esibita, ed immediatamente al Signor Gioachino Ferrantelli restituita.
In pari tempo, «i» suddetti Signori Ferrantelli associano nell'affitto delle suddette Niviere il surriferito Signor Domingo, accettante, per tutta la sudde­scritta durata di anni quattro.
Quale società è tra i Signori Ferrantelli e il divisato Signor Domingo conclusa e stabilita pei seguenti patti:
Primo: Le spese tutte che saranno necessarie per l'attivazione della sud­detta Neviera, e lo estaglio annuale dovuto come sopra al proprietario Signor Marchese Cardillo saranno interamente antecipate e pagate dai Signori Ferran­telli, i quali della terza parte dovuta dal socio Signor Domingo dovranno in ogni anno rivalersi e soddisfarsi sulla terza parte del prezzo e dei nievi che saranno per ricavarsi dalla vendita della neve che in ciascun anno medesimo sarà raccolta; cosicché però se in qualche anno non sarà fatta raccolta di neve, o pure questa eseguita il prezzo della terza parte della medesima non sarà suffettura per soddisfarsi i Signori Ferrantelli della terza parte di tali spese ed estaglio dal Signor Domingo dovute, questi in ciascuno di tai casi sarà tenuto, come si obliga, pagare ai memorati Ferrantelli al di costoro domicilio in questo Comu­ne, in monete effettive di argento nel di trentuno agosto di ciascun anno della durata di detto affitto, la suddetta intera terza parte, od il supplimento della stessa terza parte delle spese ed estaglio piu volte detti, sulla semplice esibizione di un conto amichevole che i Signori Ferrantelli saranno per rendere al Domingo pria di venire e cedere lo stabilito termine del trentuno agosto.
Secondo: Se dal risultato del conto suddetto risulterà che, dedotte le spese tutte, e lo estaglio anzi scritto, vi sarà lucro, questo dovrà dividersi in terza parte per uno tra i contraenti, obligandosi i suddetti Ferrantelli pagare al Signor Domingo la terza parte, di spettanza del medesimo, del lucro ora detto, nel giorno trentuno agosto di ogni anno, in monete metalliche di valore legale.
Terzo: L'amministrazione di questa società resta confidata ai Signori Ferrantelli, i quali faranno le vendite della neve, introiteranno il prezzo della stessa, e faranno l'acquisto di tutti gli oggetti ed utenzili necessarì per l'attiva­zione della neviera, e raccolta della neve, come ancora tutte le spese, come sopra si è detto, e maneggeranno gli affari tutti che la società ripetuta avranno di mira.
Quarto: Il Signor Domingo dal canto suo metterà la di lui opera e perso­nale assistenza tanto nella custodia della Neviera, quanto nella raccolta della neve, e nelle consegne della medesima ai compratori facendola da montagnere con tutta l'assiduità ed accuratezza necessaria senza poter pretendere compen­so, o mercede alcuna.
Quinto: Resta vietato al suddetto Domingo di poter permettere alcun passaggio di persone con carico di neve o di paglia per servizio di altre neviere nelle terre e strada della suddetta Neviera d'lnici.
Sesto: Tutti i soci promettono a vicenda lo esatto e puntuale adempimento dei patti ed obblighi contenuti nel sovracitato contratto di affitto.
Settimo: Mancando il socio Domingo anche ad una delle obligazioni assunte per questo atto resterà incorso nella mora pel solo fatto dello adempimento, e per la scadenza dei termini senza la necessità di altro fatto per parte dei Signori Ferrantelli né di alcuna intimazione, per espressa convenzione tra i contraenti; ed in tale caso la presente società resterà immediatamente sciolta, rimanendo l'affitto interamente per conto dei Signori Ferrantelli senza poter il Domingo pretendere alcuna porzione della neve che potrà esistere nella Nevie­fa, né di lucro alcuno, né tampoco la restituzione di quelle somme che potrà trovarsi di aver pagate per conto della sua terza parte dello estaglio, e delle spese suddetti, i quali rimarranno acquistati ai Signori Ferrantelli in compenso dei danni ed interessi, ed il Domingo ne soffrirà la 'perdita a titolo di penale, per come i comparenti hanno espressamente pattovito.
Ottavo: Essi soci liquidano le spese fatte ai Signori Ferrantelli e pagate di loro proprio denaro per l'anzidetto atto di affitto, per la copia e spedizione in forma estensiva del medesimo, per l'accesso del Signor Gioachino Ferrantelli in Palermo onde conchiudere l'affitto suddetto, ed altro, in tutto in ducati ventuno, la di cui terza parte dovuta dal socio Domingo si è in ducati sette, dei quali i Signori Ferrantelli si rivaleranno sugl'introiti della prima annata di questa società conforme è stato stabilito e convenuto per la terza parte dello estaglio e delle spese della stessa prima annualità.
E per cautela dei convenuti pagamenti ai quali il comparente Signor Domingo si è obligato per quest'atto verso i Signori Ferrantelli, egli il Domingo istesso sottopone a speciale ipoteca in favor di quest'ultimi, accettanti, un fondo con numero tre mille circa viti di vigne, e con tutt'altro ivi esistente senza nulla eccettuarne, sito in questo territorio nella contrada Pilato «...»
E convengono i Signori Ferrantelli da una parte e il divisato Domingo dall'altra, che mancando quest'ultimo in tutto od in parte al pagamento delle somme ai primi dovute per quest'atto, nei termini avanti stabiliti, resterà in corso nella mora alla sola scadenza dei termini stessi senza la necessità di alcun patto per parte dei suddetti creditori né di alcuna intimazione, ed in tale caso d'ora per allora con garanzia di dritto e di fatto alla qual'espressamente si obliga, esso Domingo cede in pagamento e vende ai sunnominati Signori Ferrantelli, per essi i di loro rispettivi Eredi ed aventi causa accettanti, l'anzidetto fondo rustico come sopra ipotecato; sogetto e sottoposto nei pesi ed ipoteca legale avanti detti «...»





SCIOGLIMENTO DELLE PROMISCUITÀ E DIRITTI SIGNORILI «Ordinanze emesse dall'Intendente della Provincia di Trapani su' progetti del Funzionario Aggiunto per promiscuità e diritti signorili». Supplemento al Giornale dell'Intendenza della Provincia di Trapani nell'anno 1845, I, pp. 73-79; II, pp. 32-36. L'INTENDENTE DELLA PROVINCIA DI TRAPANI Vista la deliberazione del decurionato di Castellammare del Golfo del di 7 Agosto 1842 che tratta, tra l'altro, l'esercizio dell'uso civico di legnare sulla Montagna Gagliardetta. Visti gli atti compilati dal Funzionario Aggiunto Sig. D. Nicolò Dommar­co, non che il suo progetto di ordinanza del tenor seguente: «Veduta la deliberazione del Decurionato di Castellammare del 7 Agosto 1842, e lo stato a quella annesso, dond'emerge, tra l'altro, la deduzione dell'uso civico di legnare sulla Montagna di Gagliardetta. Veduto il verbale di pruova testimoniale compilato in Castellammare nel giorno 5 Giugno 1844. Veduti i verbali compilati alI', 20 e 27 Agosto, e 25 Novembre 1844 per la pruova contraria del mentovato uso. Veduti alcuni documenti prodotti per parte del Conte di Gallitano e della Sig.- D.- Laura Naselli Duchessa di Gela possessori della Montagna di Gagliar­detta, e le carte tutte. Ha elevata la seguente quistione: Sussiste o pur no l'uso civico di legnare sulla Montagna Gagliardetta, dedotto dal comune di Castellammare; e nel caso di si quale sarà il compensa­mento da tribuirsi al Comune medesimo? Ha considerato che l'uso civico di cui è parola costituisce un fatto notorio, il quale viene attestato dalle deposizioni di tutt'i testimoni, scelti tra le piu probe persone del Comune, uditi per la pruova; di talché lo stesso testimone D. 242 r i Giuseppe Marcantonio Occhipinti comunque antico dipendente di quell'ex feudatario, padre dell'attuale procuratore del Conte di Gallitano, e prevenuto a segno d'insistere nella sua deposizione ripetutamente nel diritto, mentr'era interrogato unicamente del fatto, pur non dimeno ha confessato, che l'uso di legnare in Gagliardetta si è sempre esercitato, e si esercita tuttavia dai cittadini di Castellammare. Che le deposizioni contenute ne' verbali di ripruova del l ·,20 e 27 Agosto, e 25 Novembre 1844, non solo non provano cos'alcuna contro l'uso di legnare in Gagliardetta, ma sono incapaci financo di spargere alcun dubbio sulla sussi­stenza di un tal fatto, la quale invece confermano consentaneamente a tutte le altre deposizioni raccolte per la pruova; imperciocché tranne il Campi ere Bolo­gna dependente, e salariato dapprima del Principe di Aragona, di poi del Conte Gallitano, e quindi non meritevole di fede, il falegname Sangiorgio, il quale molto meno merita fede, perché ha dato pruova di esser prevenuto, quando in vece di rispondere sul fatto di che veniva interrogato ha cominciato dal soste­nere, che i naturali di Castellammare non avevan diritto di legnare in Gagliar­detta, ed il caprajo Monteleone, i quali hanno asserito, che i Campieri non han permesso di legnare, locché non importa non essersi legnato; il detto di tutti gli altri testimonì prodotti dal Conte Gallitano offre chiaro il concetto di essere andati, e di andare tuttavia a legnare i Cittadini di Castellammare in Gagliar­detta, e di essere talvolta molestati dal Campiere. Il Campiere Garofalo poi, e il marinajo Curatolo antico salariato dello ex barone, han detto che non sanno se ora si va a legnare nel detto exfeudo, e il Sig. Borruso figlio del già segreto baronale, e procuratore attuale di un avente causa dal Barone, ha detto sapere, che s'ingiungeva altra volta ai Campieri la custodia del bosco, ma non ha saputo asseverare se la inibizione di legnare si estendesse anche al morto; epperò le deposizioni di questi tre testimonj dipen­denti dell'ex Barone, oltre che nulla pongono in essere non sono manco perti­nenti, perché nulla dicono dello stato attuale del possesso. Laonde il fatto dell'attuale esercizio dell'uso in discorso viene assicurato da tutt'i testimonì scelti fra i piu probi Cittadini, e le deposizioni de' testimonì prodotti dal Conte di Gallitano, per la maggior parte suoi dipendenti, o dell'ex Barone, non altro hanno cercato porre in mezzo, se non la resistenza de' Campieri, la quale, se fosse vera, non muterebbe il fatto di esercitarsi il ripetuto uso, il qual essi non hanno osato niegare. Che le rancide idee di resistenza, o d'indulgenza de' Campieri in nulla possono inficiare il diritto della popolazione di Castellammare; poicch'essendo l'uso di quei Cittadini compendiato a legnare sul morto, era, ed è nel diritto del possessore del fondo l'impedire la recisione del verde, e la devastazione delle piante; e d'altra parte quel che si dice indulgenza, e tolleranza da parte del possessore d'un demanio per l'esercizio degli usi è ciò che costituisce il diritto degli usuari, e che mena per legge allo scioglimento della promiscuità, ed al compensamento reciproco, a differenza della tolleranza di usi sopra fondi allodiali, la quale non è produttiva d'alcun diritto a prò degli usuarì. E poicché il nesso delle deposizioni di tutt'i testimonj uditi assicura il fatto di essersi esercitato, e di esercitarsi tuttavia da' naturali di Castellammare l'uso di legnare 243 al morto sul demanio ex-feudale di Gagliardetta, della di cui qualità non si muove dubbio alcuno, non rimane, per l'esecuzione della legge, se non iscioglie­re la promiscuità mercé l'assegnamento di una parte del fondo al Comune, in compensamento dell'uso. Che nulla pongono in essere i documenti prodotti fuori sede dal Conte di Gallitano; imperciocché essi potrebbero riflettere il diritto all'uso, ma di questo non può veder l'Intendente, al quale la legge ha ingiunto di procedere allo scioglimento delle promiscuità secondo lo stato dell'attuaI possesso, e lasciare all'autorità competente la quistione del diritto agli usi, ove fusse ventilata, come emerge dagli articoli 9, 16, 28, delle cennate Istruzioni. Che indipendentemente da ciò, per un dippiu, egli è da riflettersi, che tali documenti non ispargono il minimo dubbio sull'uso, di cui è cenno, giacché gli atti di fitto del 1813, 1814, 1819, 1821 e 1834 contengono la inibizione di legnare nell'exfeudo Gagliardetta al solo fittajuolo, e non mai ai naturali di Castellammare; le vendite fatte al 20 Agosto 1821, e lO Settembre 1836, del legname del bosco per uso di carbone, non escludono il fatto di esercitarsi sul bosco istesso l'uso di legnare da' naturali di Castellammare, e da ultimo l'atto di assegnazione volontaria fatta dal Principe di Aragona del 30 Agosto 1827 lungi dall'escludere l'idea d'usi sull'exfeudo di Gagliardetta, la include anzi apertamente; imperciocché nel patto 120 statuisce che l'assegnante avrebbe garentito l'assegnatario nel solo caso, che sul fondo si trovassero stabilite servitu per fatto di lui, e non mai se si trovassero stabilite per fatto di terzi. Che l'uso di legnare al morto va noverato dalle Istruzioni fra gli essenziali, e va compensato col quarto nel massimo, e col quinto nel minimo, del fondo sul quale lo si esercita, epperò sia equo temperamento tribuire al comune di Castellammare il minimo, ossia il quinto in valore dell'exfeudo di Gagliardetta in compensamento del mentovato uso. PROGETTA Che il Signor Intendente della Provincia si compiaccia DICHIARARE Che sussiste l'uso civico di legnare al morto vantato da' naturali di Castellammare sulla montagna di Gagliardetta, ed ORDINARE 1. o Che in compensa mento del mentovato uso sia assegnato al Comune il quinto in valore dell'exfeudo di Gagliardetta. A quale oggetto un perito Agrimensore assistito da due esperti indicatori di campagna, l'uno scelto dal Sindaco di Castellammare, l'altro dal procuratore del conte di Gallitano, che sarà all'uopo intimato, misuri, ed estimi l'exfeudo di Gagliardetta, e ne stacchi poscia il quinto in valore a favore del Comune nel sito che sarà scelto dal Sindaco, segnando semplicemente la linea che separi la parte assegnata al Comune dal rimanente dell'ex feudo, e levandone apposita pianta da rimanere alligata al verbale di esecuzione. 244 •• 2: Che appena compiuta l'operazione della divisione, o che in quella sia intervenuto l'indicatore per parte del Conte di Gallitano, o che non vi sia intervenuto, l'atto della esecuzione sia intimato al procuratore del detto Conte, affinché se si produce reclamo nel suo interesse avverso l'ordinanza, si attendo­no i risultamenti della discussione di quello, e se, trascorso il termine utile, non sarà prodotto reclamo, allora si appongano dallo stesso perito Agrimensore i termini lapidei, che separino la parte assegnata al Comune dal rimanente dell'exfeudo di Gagliardetta, e s'immetta il Comune nel materiale possesso della detta parte. 3: Che fino a quando non sarà dato al Comune il materiale possesso della parte assegnatagli, i naturali di Castellammare continuino ad esercitare in natura l'uso di legnare al morto nell'exfeudo di Gagliardetta. 4: Che il Sindaco e il Regio Giudice di Castellammare sieno incaricati della esecuzione dell'Ordinanza. Trapani l.' Ottobre 1844». Vista la nostra determinazione de' tre Dicembre ultimo, colla quale fu disposto, che gl'interessati si fossero presentati innanzi a Noi nel giorno Il detto Dicembre per esser intesi pria di emettersi la nostra ordinanza. Intesi nell'indicato giorno nella Sala del Consiglio d'Intendenza il Sig. D. Giacomo Arceri per parte del Comune di cui è procuratore, e D. Michele Lombardo procuratore del Conte sudetto. Discusso in Consiglio d'Intendenza, coll'intervento del Funzionario Ag­giunto Sig. Dommarco, il progetto di Ordinanza di sopra trascritto dalla quale discussione è risultato, ch'esso debba in tutto il suo tenore ritenersi. DICHIARA Che sussiste l'uso ci vico di legnare al morto vantato dai naturali di Castellammare del Golfo sulla Montagna di Gagliardetta, ed ORDINA l.' Che in compensamento del mentovato uso sia assegnato al Comune il quinto in valore dello ex feudo di Gagliardetta. A quale oggetto il perito Agrimensore D. Vincenzo Rini assistito da due esperti indicatori di campagna, l'uno scelto dal Sindaco di Castellammare del Golfo, l'altro dal procuratore del Conte di Gallitano, che sarà all'uopo intimato, misuri, ed estimi l'exfeudo di Gagliardetta, e ne stacchi poscia il quinto in valore a favore del Comune nel sito che sarà scelto dal Sindaco, segnando semplicemente la linea, che separi la parte assegnata al Comune dal rimanente dell'exfeudo, e levandone apposita pianta da rimanere alligata al verbale di esecuzione. 2: Che appena compiuta l'operazione della divisione, o che in quella sia intervenuto l'indicatore per parte del Conte di Gallitano, o che non vi sia intervenuto l'atto della esecuzione sia intimato al procuratore del detto Conte, affinché se si produce reclamo nel suo interesse avverso l'ordinanza si attendano i risultamenti della discussione di quello, e se trascorso il termine utile, non sarà prodotto reclamo, allora si appongano dallo stesso perito Agrimensore i termini 245 lapidei, che separino la parte assegnata al Comune dal rimanente dell'exfeudo di Gagliardetta, e si immetta il Comune nel materiale possesso della detta parte. 3: Che fino a quando non sarà dato al Comune il materiale possesso della parte assegnatagli, i naturali di Castellammare del Golfo continuino ad eserci­tare in natura l'uso di legnare al morto nell'exfeudo di Gagliardetta. 4: Che il Sindaco e il Regio Giudice di Castellammare del Golfo sieno incaricati della esecuzione dell'Ordinanza. Trapani li 4 Febbrajo 1845. L'INTENDENTE GIUSEPPE DEMARCO IL SEGRETARIO GENERALE LUIGI BARBERI *** L'INTENDENTE DELLA PROVINCIA DI TRAPANI Vista la deliberazione del decurionato di Castellammare del 7 Agosto 1842 che tratta dell'uso civico di pascere sulla Montagna denominata Comune, al presente posseduta dal Barone Stabile di Calatafimi. Visti gli atti compilati dal Funzionario Aggiunto Sig. D. Nicolò Dommar­co non che il suo progetto di ordinanza del tenor seguente: «Veduta la deliberazione del Decurionato di Castellammare del 7 Agosto 1842, e lo stato a quella annesso, d'onde risulta, tra l'altro, la deduzione dell'uso civico di pascere sulla Montagna denominata Comune. Veduto il verbale di pruova testimoniale compilato nel giorno 5 Giugno 1844, pe'l quale rimane fino all'evidenza chiarito che i naturali di Castellamma­re sono stati sempre soliti di condurre al pascolo i loro animali di qualunque specie, ed abbeverarli nella Montagna denominata Comuni fino a pochi anni sono quando l'arbitrio dello ex barone assegnò quel latifondo al Barone Stabile di Calatafimi, il quale ha privato la popolazione di tali usi. Veduta la dichiarazione fatta dal Sindaco di Castellammare nel mentova­to verbale, per la quale egli spiega, che sebbene nella deliberazione del decurio­nato del 7 Agosto 1842 siasi fatta una semplice enunciazione del dritto di pascere sulla Montagna denominata del Comune, pure questo diritto s'intese accennarlo nel senso dell'uso esclusivo a favore del Comune di Castellammare, senzacché il Barone avesse potuto arrogarsi alcun dritto sulla Montagna istessa, la quale è stata sempre un demanio comunale, fino a che, non sono molti anni, fu occupata dalla soperchieria del Barone. Ha elevato le seguenti quistioni: l.a Qual conto deve tenersi della dichiarazione fatta dal Sindaco di Castel­lammare? 246 ì \ , l.a Costituisce, o pur no ostacolo legale al procedimento il non essersi destinato alcun rappresentante dal possessore della Montagna denominata Comuni? 3.a Sussiste o pur no l'uso di pascere sulla stessa dedotto dal Comune, e nel caso di si, quale sarà la ragione del compensamento? SULLA PRIMA . Considerato, che sebbene dalla pruova testimoniale risulta, che la monta­gna denominata del Comune era destinata al pascolo degli animali de' cittadini, in modo che l'ex barone non vi prendeva ingerenza, e la stessa denominazione, che tuttavia ritiene mostri, che era un demanio comunale, pur non di meno nell'attuale sede di scioglimento di promiscuità non si può tener conto della dichiarazione del Sindaco di Castellammare, la quale tende alla reintegrazione della Montagna del Comune a favore dell'Università: materia da trattarsi in altra sede, nei termini delle disposizioni dettate dalla legge, e per conseguente debba procedersi al compensamento dell'uso di pascere salvo al Comune il diritto per la reintegra ne' modi di legge. SULLA SECONDA Considerato che l'art.O 54 delle istruzioni approvate col Real Decreto degli Il Dicembre 1841 è cosi concepito: «Tutti gli ex baroni, le chiese, i corpi morali, ed in generale tutt'i possessori di terre demaniali dovranno fra lo spazio di due mesi, dalla pubblicazione delle presenti istruzioni, destinare ne' comuni rispet­tivi i loro rappresentanti con piena facoltà, altrimenti si procederà in loro contumacia, senza che abbian diritto alle opposizioni». Epperò attese cosi chiare disposizioni, il non essersi costituito nel Comune di Castellammare un procuratore del Barone Stabile, o da chiunque altro siasi, il possessore della Montagna del Comune, non costituisce alcun ostacolo legale al procedimento per lo scioglimento della promiscuità, e pel compenso degli usi. SULLA TERZA Considerato che l'uso di pascere sulla Montagna Comuni è luminosamen­te provato per le deposizioni uniformi di tutti i testimonI uditi, i quali concor­demente han detto di essersi sempre esercitato da' naturali di Castellammare, fino a che l'ex barone ne li privò facendo assegnazione di quel fondo al Barone Stabile di Calatafimi, e il testimone D. Giuseppe Marcantonio Occhipinti ha soggiunto, che l'ex Barone distrusse l'esercizio dell'uso mercé l'assegnazione, per ritrovare in ciò un compenso alla perdita del mero e misto impero, che per la legge del 1813 aveva sofferta, vale a dire che l'exfeudatario credé di rivalersi a suo arbitrio della perdita di prerogative divenute mostruose, con la invasione de' dritti della Università. Che provata la sussistenza del mentovato uso, deve al Comune di Castel­lammare assegnarsi in compensamento di quello una quota parte della Monta­gna Comuni, sulla quale si è esercitato. 247 Che le istruzioni approvate col Real decreto degli Il Dicembre 1841 prescrivono, che nello scioglimento delle promiscuità, e nella compensazione di tutti gli usi civici si debba aver riguardo al solo stato possessivo, e che sia permesso ai Comuni, in mancanza del possesso, il provare con titoli posteriori al 1735 gli usi civici, che possono loro competere sulle terre feudali innanti all'Intendente in Consiglio d'Intendenza, e l'art.o 28 prescrive, che ove il Comu­ne contenda la qualità feudale del demanio, ovvero creda rappresentarvi diritti maggiori di quelli de' quali è in possesso, l'Intendente farà procedere alla divisione secondo lo stato possessivo, o che il possesso nasca dal giudicato, o dal fatto. Che da queste disposizioni deriva per conseguenza, che per istato di possesso debba intendersi non solamente quello del momento in cui, o a richiesta de' Comuni, o di officio, si apre la istruzione, ma eziandio quello del tempo antecedente, imperciocché tutta la teoria della promiscuità poggia sopra due principali elementi, cioè la qualità feudale del fondo, e l'essersi su quello esercitati de' dritti da' cittadini di un comune, di modocché il solo fatto di un tale esercizio, indipendentemente da qualsiasi titolo, vien dalla legge chiamato uso, e questo uso vien dalla legge istessa riconosciuto come diritto. Or il possesso essendo un fatto, il quale può esser provato o con titolo, o con testimonì, come emerge dall'art.o 28 dianzi citato, ne deriva che la pruova per testimonì comprende il tempo cui può rimontare la memoria degli uomini, che possono attestarlo, e non mai il tempo anteriore, perlocché la legge ha prescritto, che dove il possesso degli usi non possa esser provato per testimonì, si abbian facoltà i comuni di dimostrarlo per titolo, ma è da notarsi che la legge ha statuito il tempo cui può rimontare la pruova per titoli in mancanza di possesso, e quello cui può rimontare la pruova per testimonì, vale a dire del possesso attuale, giacché l'art.o 16 delle citate istruzioni prescrive che i soli titoli posteriori al 1735 possono farsi valere in pruova di usi civici, e la pubblicazione della legge d'interina amministrazione de' Reali dominii Insulari, avvenuta agli Il Ottobre 1817 ha fissato l'epoca al di là della quale non può rimontare il possesso attuale degli usi, e quindi la pruova di esso per mezzo di testimonì. Ed in vero questa legge aboliva e vietava per l'articolo 198 ogni promiscui­tà di proprietà, di corpi di rendite, o di diritti tra comuni e i particolari, tra comuni e lo stato, o tra essi comuni, e per gli articoli 199 e 200 dichiarava che i comuni possedevano diritti e servitu attive su' fondi altrui, locché costituiva la promiscuità abolita e vietata per l'art. ° 198, ed ordinava che la venisse sciolta mercè l'assegnazione in proprietà assoluta a ciascuno degli interessati, della porzione di terre, che corrispondesse ai suoi diritti. Quindi poicché al tempo della promulgazione della legge del 1817 stava il fatto dell'esercizio dell'uso di pascere sulla Montagna Comuni, la quale doveva sciogliersi mercé compenso reciproco, la materia rimase colpita nello stato in cui si trovava, ed assoggettata all'azione dell' Amministrazione, la quale era chiamata a procedere di officio indipendentemente dalle domande, che le parti avesser potuto produrre, come scorgesi dalla istituzione delle abolite Commissioni de' dritti promiscui, e dalle vigenti istruzioni. La pubblicazione adunque della legge interina del 1817 fissava il punto, dal quale non poteva piu addursi pretesto alcuno per invadere 248 i diritti, che le popolazioni aveansi su demanii, poicché mise la materia sub judice e tutto ciò che fosse operato dalle parti da quel punto fino al tempo in cui si instruisce, e si pronunzia lo scioglimento della promiscuità, non può cangiar minimamente la condizione in cui erano allora i rapporti tra' possessori dei demani e gli usuari, qualunque sia la lunghezza del tempo decorso dalla pubblicazione della legge fino allo scioglimento della promiscuità. Che essendo luminosamente provato, per le concordi deposizioni di tutti i testimoni uditi, il possesso, vale a dire il fatto di avere i naturali di Castellam­mare esercitato l'uso di far pascolare i loro animali di qualunque specie nella Montagna denominata del Comune, fino al tempo in cui l'ex barone ne li spogliò col mezzo dell'alienazione del fondo, avvenuto molto tempo dopo dalla pubbli­cazione della legge del 1817; ne deriva che il Comune è nel possesso attuale dell'esercizio dell'uso, e che la promiscuità debba essere sciolta mercé il com­pensamento reciproco; che ove diversamente volesse pensarsi, astrazion fatta dallo sconoscere principi generali, ne seguirebbe, che un abuso commesso sotto l'impero di una legge, che lo vietava, avrebbe efficacia contro la legge istessa, locché è un assurdo. Che l'uso di pascere sulla Montagna del Comune appartiene alla prima classe, ossia a quella degli usi civici essenziali, epperò sia equo temperamento tribuirsi al Comune, in compensamento di esso, il quinto in valore della parte inculta del mentovato fondo. PROGETTA Che il Signor Intendente della Provincia si compiaccia ORDINARE Che sia assegnata al Comune di Castellammare la quinta parte in valore della Montagna detta del Comune in compensamento dell'uso di pascere eser­citatovi da' suoi naturali, a quale oggetto un perito Agrimensore si rechi sopra luogo, verifichi la estensione e 'l valore della detta Montagna, e poscia ne stacchi la quinta parte in valore a favor della Comune, circoscrivendone i confini, e levandone apposita pianta, che farà parte integrale del verbale di esecuzione. Che resti salvo al Comune il diritto a di mandar la reintegrazione della Montagna Comuni, se ne ha, ne' modi di legge. Che il Sindaco di Castellammare sia incaricato dell'esecuzione dell'Ordi­nanza. Trapani 3 Settembre 1844» IL FUNZIONARIO AGGIUNTO NICCOLÒ DOMMARCO Discusso in Consiglio d'Intendenza coll'intervento del Funzionario sud­detto il progetto di sopra trascritto, dalla quale discussione è risultato ch'esso debba in tutto il suo tenore ritenersi. 249 ORDINA Che sia assegnata al Comune di Castellammare la quinta parte in valore della Montagna detta del Comune in compensamento dell'uso di pascere eser­citatovi da' suoi naturali, a quale oggetto il perito Agrimensore D. Vincenzo Rini di Alcamo si rechi sopra luogo, verifichi la estensione e 'l valore della detta Montagna, e poscia ne stacchi la quinta parte in valore a favor della Comune circoscrivendone i confini, e levandone apposita pianta che farà parte integrale del verbale di esecuzione. Che resti salvo al Comune il diritto a dimandar la reintegrazione della Montagna Comuni, se ne ha, nei modi di legge. Il Sindaco di Castellammare è incaricato dell'esecuzione della presente Ordinanza. Trapani li 4 Febbrajo 1845. L'INTENDENTE GIUSEPPE DEMARCO IL SEGRETARIO GENERALE LUIGI BARBERI *** L'INTENDENTE DELLA PROVINCIA DI TRAPANI Veduto il Real decreto degli undici Dicembre 1842 pe'l quale in uno ch'è stata ordinata !'immediata cessazione di qualsiasi diritto, ed abuso feudale, che sebbene abolito senza compenso tuttavia si esercitasse, si è posto a risponsabi­lità degl'Intendenti delle province il curare la esecuzione di tali disposizioni. Veduta la deliberazione del decurionato di Castellammare del sette Ago­sto 1842, e lo stato a quell'annesso, nel quale è notata, tra l'altro, la riscossione che altra volta facevasi da quell'ex barone, ed ora si fa da' suoi aventi causa su suoli di terra occupati per le abitazioni di quel Comune, in ragione di tari tre per CIascuna casa. Veduta l'ordinanza de' 30 Settembre 1842, per la quale fu disposto d'intimarsi amministrativamente l'ex-feudatario di Castellammare Sig. Princi­pe di Aragona, e i suoi aventi causa; onde nel corso di giorni otto coll'aumento legale avessero destinato i loro procuratori, per dedurre le loro ragioni, se ne avessero. Veduto l'atto relatato della cennata ordinanza; dal quale appare essere stata intimata nel giorno dieci Ottobre 1842 al Reverendo Padre Vincenzo Gervasi Prefetto della Casa dei Crociferi in Castellammare; nel giorno quattor­dici dello stesso mese al Sig. D. Francesco Saverio Borruso procuratore del Reverendo Padre Giovanni Naselli Preposito della Congregazione di S. Filippo N eri di Palermo, e del Reverendo P. Giuseppe Pilo procuratore generale di detta 250 Congregazione; e nel giorno ventinove del ripetuto mese di Ottobre 1842, al Sig. D. Baldassare Naselli Principe di Aragona, ed al Reverendo Padre Ignazio Calona nella qualità di Prefetto della Casa del Noviziato de' Cruciferi in Palermo. Veduto l'atto di Notar Gaetano Maria di Blasi di Castellammare de' sedeci Ottobre 1842, pe'l quale il Prefetto della Casa dei Crociferi di quel comune ha costituito suo procuratore il Reverendo P. Mario Lipari Prefetto della Casa dei Crociferi di Trapani. Veduto l'atto di Notar Diego Maria Lo Bianco e Zito di Palermo dei quattordici Ottobre 1842, pe'l quale il Reverendo P. Giovanni Naselli Preposito dell'Oratorio di S. Filippo Neri in Palermo, anche per parte del Padre Pilo ha costituito procuratore D. Vincenzo Garofalo di Trapani. Veduto un libello prodotto dal Procuratore della Casa dei Crociferi di Castellammare, e del suo Noviziato in Palermo, pe'l quale si sostiene, che la esazione, la quale si fa per suolo di case in Castellammare; non sia un abuso feudale, dacché il Principe di Aragona ne fece l'assegnazione ai PP. Crociferi per atto di Notar Salvadore Leonardo di Palermo de' IO Agosto 1825, e per effetto del Real Decreto de' 27 Ottobre 1825, che permise l'intitolazione dei ruoli; che essendo si estratti dai libri di assento le partite de' censi dovute da' possessori di case al numero di 408, fu per essi ottenuta intitolazione con ordinanza del Presidente del Tribunale Civile della provincia de' 18 Giugno 1830, e non essendosi prodotta da' debitori opposizione alcuna, rimase la detta casa nel possesso di tali censi. Laonde si è conchiuso che trattandosi di distrug­gere titolo, e possesso, l'Intendente debba dichiarare la sua incompetenza, o pure rigettar la dimanda del Comune, o pure chiamare il Principe di Aragona in causa. Vedute le copie informi di tre atti cosi detti di obbligo, pei quali taluni possessori di case si obbligano pagare il diritto per suolo di casa a pro della comunità de' Crociferi di Castellammare, rogati per Notar Blasi dello stesso Comune a' 22 Novembre 1840, 14 Marzo e 4 Giugno 1841. Veduto l'atto del IO Agosto 1825 rogato per Notar Salvatore Leonardo, pe'l quale il Principe d'Aragona assegnò a' PP. Crociferi di Castellammare, in soddisfazione di debiti, tra l'altro, Onze 90 di censi sopra case che disse dovuti in quel Comune obbligandosi a fame intitolare il ruolo. Veduto il ruolo renduto esecutivo per ordinanza del Presidente del Tribu­nale Civile della provincia a' 18 Giugno 1830. Considerando che il Principe di Aragona ex-feudatario di Castellammare, intimato, non ha curato di produrre ragione alcuna intorno alla riscossione in esame, locché fa presumere ch'egli non ne abbia. Considerando, che la dedotta eccezione della incompetenza dell'Inten­dente non merita ascolto, perché contraria alle chiare prescrizioni della legge, la quale pone a cura, e risponsabilità degl'Intendenti la pronta cessazione dei diritti signorili aboliti senza compenso, e che tuttavia sotto qualunque colore si esercitino. Che ne anco meritino ascolto le deduzioni estranee alla suggetta materia, le quali niente hanno di comune coi diritti signorili aboliti. 251 Considerando, che o che il comune di Castellammare avesse preesistito alla infeudazione, o che fosse surto dopo di quella, doveva nell'un caso, e nell'altro avere per sé un suolo comune sul quale stesser le case dell'abitato, le strade, gli spianati ecc. Ed in vero le vigenti istruzioni, dopo di aver ricordato che per principio generale gli usi civici non sono se non riserve piu o meno estese del dominio che le popolazioni rappresentavano, o rappresentano sulle terre de' feudi, o riserve apposte dal concedente per conservare alle popolazioni il mezzo da sussistere, diffiniscono uso civico essenziale quello di occupar suoli per abitazioni. Che la esazione la quale si fa dagli aventi causa dall'ex-feudatario di Castellammare a titolo di censo per suoli di case in quel comune, offre il carattere evidente di una capitazione, e quindi di una prestazione personale abolita dalla legge, tra perché nel ruolo compilato dall'agente dello ex-barone è spiegato farsi la esazione alla uniforme ragione di tari tre per ciascun suolo di casa, e perché muove da preteso diritto universale di suolo, gravitando sopra 408 possessori di case. Che male a proposito si vanno rintracciando ragioni di leggittimità, per la prestazione in disputa, nel decreto de' 16 Ottobre 1809, e nella giurisprudenza adottata ne' Reali Domini continentali dalla Commessione feudale, segnata­mente nella sentenza de' 17 Gennaro 1810, N. 153; imperciocché le distinzioni fatte da quel decreto, e dal Collegio, che ne fece l'applicazione menano a conseguenza contraria. Consacrò quel decreto il principio, che la presunzion della legge è tutta favorevole alla libertà delle case, che i naturali de' comuni posseggono nell'abi­tato, e che ogni diritto universale su' suoli delle case degli ex-feudi è ritenuto illeggittimo; dichiarò quindi per regola generale abolite le capitazioni, che i baroni esiggevano sotto nome di casalinaggio, o altro simile, non ché le presta­zioni sostituite al casalinaggio. A questa regola fece l'eccezione di conservarsi i censi solari giudicati leggittimi, e non contraddetti, e prescrisse che chi vantar volesse diritto univer­sale di suolo sulle abitazioni degli ex-feudi fusse tenuto giustificarne il titolo presso la Commessione feudale. Quindi le conseguenze: l. che la prestazione a carico de' possessori di case nell'abitato di un comune, la quale si esigga a titolo di casalinaggio, o altro simile, come sarebbe di censo per suoli di case, poicché è l'esercizio di un diritto universale sul suolo delle abitazioni, e poicché è nella uniforme ragione di tari tre per ciascuna casa, non cessa di essere una capita­zione, vale a dire una prestazione personale abolita dalla legge, né può cangiar natura per la denominazione sotto la quale si esercita: 2. che i censi solari sono conservati non per la denominazione di loro, ma per la loro natura, e per lo concorso degli estremi di non esser contraddetti, e di esser giudicati leggittimi:' 3. che la idea della leggittimità non può sussistere quando sta la uniformità della prestazione per suoli di case: 4. che il diritto universale di suolo sulle abitazioni dei comuni non potrebbe esser giustificato che con pubblici istrumenti. E tale precisamente è l'applicazione che del decreto anzi detto fece la Commessione feudale nella sentenza citata, dacché tenendo ai veri principi di giustizia, 252 soppresse la riscossione per casalinaggio, e per suoli di case dal barone di Flumeri esercitata, e lasciò allo stesso il dimostrare con pubblici istrumenti se si avesse censi solari. I motivi del quale decreto sono troppo chiari, per non doversi tenere alcun conto di quistioni di parole mosse per dare all'abuso il colore del diritto; imperocché se sta per legge la libertà delle case nelle mani de' possessori e per conseguenza la ingiustizia di assoggettar questi ad una prestazione, può nondi­meno un tal principio esser soggetto ad eccezioni, perché può stare in un Comune qualche casa, la quale o per la fabbrica o per il suolo si appartenga al barone, e perciò il censo che su quella si esiggesse sarebbe leggittimo; ma in questo caso fa di mestieri provare la qualità allodiale della fabbrica o del suolo pe'l quale si vuò riscuotere, e la concessione fattane a determinate condizioni; ed una tal pruova vogliono il decreto, e la sentenza testé ripetuti, che si faccia per pubblici strumenti. Considerando, ch'erroneamente la prestazione per suolo di case in Castel­lammare si sostiene esser leggittima per titolo, e per possesso. Imperciocché in quanto al possesso è cosa ovvia non esser esso capace di leggittimare una riscossione abusiva, constituire in vece un fatto, e questo fatto appunto essere stato dalla legge abolito, perché abusivo; di talché sarebbe assurdo il voler trarre la leggittimità della riscossione in parola dal perché sta il fatto del suo esercizio. E per ciò che concerne titoli mal si asserisce di esservene. L'assegnazione fatta nel 1825 in via bonaria dal Principe di Aragona ai suoi creditori, dei censi per suoli di case a carico di coloro che ne possedevano in Castellammare, è eziandio un fatto dell'ex-barone, che né nuoce ai terzi, né può leggittimare un abuso, e però rimane sempre a vedersi se ha ceduto un diritto leggittimo o pure un abuso. Il ruolo renduto esecutivo nel 1830, astrazion fatta dal non rispondere alle prescrizioni del decreto de' 27 Ottobre 1825, non è che un semplice documento in possessorio, atto a provare unicamente che il Principe di Aragona ebbesi facoltà di esiggere la prestazione di tre tari a casa da naturali di Castellammare, solo perché aveva un possesso asserito dal suo Contabile, il quale per altro non seppe darle una origine piu antica del 1816, e senza punto esaminarsi la quistione del diritto di un tal possesso, alla quale non poteva discendersi, perché i ruoli si rendevano esecutivi con ordinanza del presidente del Tribunal civile, per giudizio in via di sommaria esposizione; e per la natura della cosa egualmen­te che per espressa disposizione di legge le provvidenze che si prendono in tali giudizi lungi dal tribuire diritti irrevocabili sono interine, e non possono ledere punto la quistione principale. Al che si aggiunga, che il magistrato il quale rendé esecutivo il ruolo dei censi per suoli di case a carico dei naturali di Castellammare, nel fine di allontanare l'errore in cui l'interesse poteva strascinare, e di chiarire i creditori, che la ordinanza per la quale si rendeva esecutivo il ruolo non poteva riguardare il diritto del possesso, e leggittimare la usurpazione, dichiarò espressamente nella ordinanza medesima, che la eseguivasi provvisoriamente, e che non toc­cava la quistione principale, riportandosi all'art.o 892 delle leggi di procedura ne' giudizi civili. 253 Considerando, che i pochi cosi detti atti di obbligo del 1840 e 1841, pei quali taluni naturali di Castellammare, e fra essi quello stesso D. Francesco Saverio Borruso, il quale figura come procuratore di uno degli aventi causa dal Principe di Aragona, si obbligarono pagare a prò della casa dei Crociferi di quel comune, cessionaria dell'ex-feudatario, la prestazione per suolo di case, non costituiscono titolo atto a provare la leggittimità di una tale riscossione. Essi non si riportano ad alcun titolo primitivo donde costasse la qualità allodiale delle case, o del suolo sul quale son fabbricate; essi costituiscono un accessorio del possesso, e del ruolo renduto esecutivo, e poicché questi estremi sono incapaci di cangiare l'indole abusiva della riscossione, incapace egualmente ne è l'acces­sorio dei medesimi, e ciò ch'è vizioso in origine è vizioso sempre. Che sebbene possa taluno rinunziare ai benefizi che accorda la legge, ciò vale solamente nei rapporti da privato a privato, e per le leggi facultative, non mai nei rapporti di pubblico interesse, e per le leggi proibitive, altramente ogni disposizione dal Legislatore emanata nel fine di guarentire la individuale libertà di un popolo, di proteggere le proprietà e le industrie, di promuovere la pubblica prosperità, rimarrebbe sempre subordinata alla influenza della soperchieria sull'ignoranza, o in altri termini la barbarie la vincerebbe sulle civili istituzioni; la usurpazione sul diritto, i privilegi, e lo spirito di località sulla centralizzazione dell'azione provvida dell'amministrazione. E poiché la percezione uniforme di tre tari per ciascun suolo di casa esercitata nel comune di Castellammare è una capitazione; non è in facultà di coloro che ne sono gravati il consentirla; simili patti, perché contrari alla legge, non debbono esser tenuti in verun conto, come è spiegato pe'l R. Decreto de' 6 Luglio 1842, essi non possono arrestare l'azion dell'ammi­nistrazione nello interesse generale, e la capitazione deve cessare. Inteso il Sig. D. Nicolò Dommarco Funzionario Aggiunto all'Intendente per lo scioglimento delle promiscuità nella Provincia, e ritenute le sue osserva­Zlom. ORDINA l. o Che cessi immediatamente la riscossione di tari tre annui, che ciascun possessore di case paga nel comune di Castellammare agli aventi causa da quell'ex-feudatario, per suolo di case, sia che si pretenda per ciascuna casa, sia per la estensione del suolo, che occupa ciascuna casa. 2: Sia salvo all'ex-barone o suoi aventi causa il dimostrare, innanti a chi, e come di diritto, se si abbia nell'ambito dell'abitato censi solari costituiti per pubblici strumenti. 3: Il Sindaco di Castellammare è incaricato, sotto la sua risponsabilità, della pronta, esatta esecuzione della presente ordinanza. Trapani li 31 Luglio 1843. L'INTENDENTE FILIPPO LAURELLI IL SEGRETARIO GENERALE LUIGI BARBERI 254 T SPIRITO PUBBLICO E FAZIONI MUNICIPALI Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 374 (AST, FI, Polizia, Corrispondenza. 1849-53). Castellamare 13 sett.e 1849 Eccellenza In questo paese il motore principale de' sconcerti, dissubidienza alle Leggi, insubordinazione, ed assassinì, è il voler essere a capo di un'amministra­zione comunale, e dispotizzare. Prima dello sconvolgimento della Sicilia reggevano qui la somma delle cose il Cancelliere Comunale D. Andrea De Blasi e lo estinto Sotto Capo D. Giuseppe Marcantonio. Il primo Cancelliere, e Notaro, richiamava cosi gli affari tutti a sé, ed il matrimonio non si effettui va, né si riceveva il favore del Comune, se non pel di lui mezzo. Il Marcantonio lusingava con la di lui attitudine le Autorità, perseguitava quel ladro che non le conveniva, ed intanto Forno pubblico, fabbrica di pasta, gabelle, a sé, e la popolazione dovea mangiare e pagare a di costui talento, e tenevano come seguaci: Il Sacerdote Palermo D. Procopio Carollo D. Mariano Di Giorgi Giuseppe Bologna, i di costui figli sono ladri protetti. Sorgeva il partito di opposizione, che reclamava con verità, e con menzo­gna, ma priva, per essere schiacciato, perché il Sindaco doveva dipendere dal Cancelliere, il Giudice dal congresso del glubbo amministrativo, quale ligato in mercimonio con gl'impiegati d'Intendenza, e Procura generale, trionfavano. Gli emissari rivoluzionari, la giovane Italia, trovavano subito asilo negli oppositori: 255 D. Giuseppe Marcantonio Plaja D. Francesco Borruso D. Simone Rigio, quali avevano per seguaci i fratelli Galante, La famiglia Zangara Il prete Mangiarotti. Presentato si il momento opportuno di sfogare la di loro vendetta, e trovando la popolazione che già additava come connessori il Cancelliere ed il Sotto Capo; cosi con la veste di liberale i primi, e l'imputazione di realismo ne' secondi, si commettevano gli eccessi d'incendi e di assassini. Sfrenato il popolaccio, ed armatosi, e primeggiando i ladri mettevano a capo la famiglia Ferrantelli uomini villici, armiggeri, e ladri di abigeato e di componenta, ed il maggiore di essi per nome Gioacchino prendeva il comando degli armati, e quantunque inalfabeta diveniva Maggiore, e Comandante la guardia Nazionale, quale ebbe l'avvedutezza proteggere i furti che si commet­tevano fuori il Comune, che lo han reso mediocremente comodo, impedire quegli che si volevano tentare nel paese stesso, e divenne interpositore delle violenze del Comitato, e potere civico, e delle vendette private, che finir di esercitar si volevano, e salvava la vita al Sotto Capo, Cancelliere, ecc. Il paese si dichiarava obbligato al Ferrantelli, e lo attestava, come dal documento che si alliga. Riconquistata la Sicilia, Castellammare è stato il paese che piu tardi di tutti ogn'altro Comune avea cambiato il nome, e gl'individui della rappresen­tazione rivoluzionaria, quali come cani arrabiati cercavano tuttavia influire, e tener distratti gli animi della popolazione. l richiamati al potere avrebbero voluto vendetta di sangue, ma il coraggio ed il partito non gli assisteva, quindi scambievolmente voleva ognuno consegui­re lo intento col reclamo, con le calunnie e lo assassinio. I buoni e sempre timidi cittadini, atterriti, avviliti, rannicchiati nel recinto delle loro abitazioni abbandonato aveano le proprietà, le sostanze ed il commer­CIO. Questo era il quadro disgraziato di questo paese quando l'E. V. con l'alta sua mente, e provvide misure, provvedeva come la manna agli Ebrei, e spediva qui la Colonna mobile, di cui venivo onorato, e giungeva nel punto culminato in cui il Sotto Capo, che trovavasi non perfettamente appreso presso l'Intenden­te, volea farsi merito e contribuire allo arresto di uno de' famigerati ladri Melchiorre Valente, ch'erasi rifuggiato ai Fraginisi, e nel conflitto ferito e morto due giorni dopo; circostanza che avrebbe di molto contribuito a far alzare vieppiÙ la testa agli avventati. Mi presentavo di sorpresa, circuivo il paese, vietavo le sortite, mi mostra­va ostile, facevo da dodeci partite eseguire rigorosamente le visite domiciliarii, ed arrestavo quegli come dicevo col mio foglio N. 355, ma la mancanza di numero di persone di fiducia, conoscitori del personale facevan si che molti evadevano, e mi mettevano nella bisogna di chiedere gli stati degli assenti dal comune, e di loro giustificazioni, e siccome si minacciava di riunirsi in comitiva, e di assembrarsi ne' Fraginisi luogo a 6 miglia distante da qui, della piu bella proprietà di questo Comune, e di delizie, seminato di Casini, cosi mi portava 256 r qui vi, di salto, la notte degli Il, ed all'alba del 12 davo ivi una battuta generale a quelle campagne, si per arrestare quegli che avrebbero potuto imbattere nella rete tesa, che per disturbarne il pensiere, ed atturarli, ed un solo se ne arrestava disarmato quale dichiarava essersi gli altri col favore della notte allontanati. Rientrato qui facevo affigere il notamento degli assenti, avvisando che chi non si presentava, o non giustificava l'assenza nel corso di ore 18, si sarebbe proceduto per la lista preparatoria del fuoribando; ciò ha ottenuto i suoi felici risultamenti, che fino al momento ore l 8 Italiane, perché deve partire la posta, se ne sono presentati in N. < ... >, oltre a Gioacchino Ferrantelli, fratello Antonio e figli, che sono stati per i primi a presentarsi, di gran esempio per gli altri non solo, ma han promesso di rendere degli utili servizi, come dirò in altro rapporto N.375. Ho ordinato che una commissione composta dal Regio Giudice, Capo Urbano, 1· e 2· Eletto già riunita classificassero in tre categorie i ladri di l·, 2· e 3· rango, onde potersi dare il piu equamente possibile le misure di provviden­za, in modo sempre di non rappresentare violento, né debole l'operato del Real Governo; riassicurare nel tempo istesso gli animi completamente abbattuti de' pacifici cittadini quali cominciarono a respirare l'aere della salvezza delle vite, del riacquisto delle proprietà e della pace domestica all'ombra delle leggi, e benedicono a voce piena le cure ed i sudori che l'E. V. spende a di loro prò, e qui si ripete e si dice il Re Ferdinando 2· è sempre nostro padre. Non manco sempre mettermi di accordo con questo funzionante Sott'In­tendente Sr Guarraschelli, quale sempre piu pieno di zelo ed attività si coopera perfettamente, e cerca a tutt'uomo rendere servizj al Re (N.S.); deggio dire pure che questo Regio Giudice D. Gioacchino De Naro, mostrandosi zelante ed intelligente, cerca cooperarsi anche egli alla buona riuscita di questo pubblico ordinamento. *** Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 375 (Ivi). Castellammare li 13 Sett.e 1849 Eccellenza Come promettevo a V. E. con l'altro mio foglio di pari data N. 374 ho l'onore sommetterle. Me1chiorre Valente uomo sanguinario, coperto di misfatti e nequizie, famiggerato ladro, uccisore di questo Sotto Capo Urbano D. Giuseppe Marcan­tonio, corre latitante per questi monti, né conosco ancora chi abbia potuto riunirsi ad egli; arrestarlo sarebbe della massima importanza, e non facile il riuscire, e sollecitamente come desidererei. 257 Il disarmo di questo paese ha avuto risultamento simile a quello degli altri Comuni, che seguendo il sistema generale hanno sotterrato in campagna le di loro armi, quindi niente facile il rinvenirle, ed anche che qualcheduno con promesse facesse qualche denunzia, niente si rinviene, come ho sperimentato jeri, ed anche rinvenendole fuori il domicilio che vantaggio otterrebbe la giusti­zia? veruno. Intanto occorre disarmarlo, ed è necessario industriarsi altrimenti. Rinvenutosi il ruolo della guardia Nazionale ove si leggono N. 389 nomi, e presasi contezza, si ritiene che quattro quinti erano armati, meno quegli che fan parte della Guardia Urbana, ed i permessati, un 200 fucili dovrebbero essere sepelliti, ed occorrerebbe averli in ogni modo. Presentatisi a me i Ferrantelli, e consegnate le armi che tenevano con patente di Urbani, freddamente li ho ingiunto a partire a domicilio forzoso per tre mesi in Ustica; mostrati si ubbidienti, han dichiarato che pentiti, e convinti de' di loro mancamenti commessi, avrebbero voluto rendere de' servizj, purché si fossero presi in considerazione, e sonosi offerti. Primo: Arrestare Melchiorre Valente, che sarebbero i soli, che potrebbero piu facilmente conseguirlo, sia per la conoscenza de' luoghi, che per la fiducia che quegli dovrebbe tenere in essi; ma han chiesto impunità, che se dovesse avverarsi conflitto non risponderne se lo ammazzassero. Ed io vi ho convenuto perché perdere Valente, od uno de' Ferrantelli, è sempre ottima cosa, e doman­do l'autorizzazione di V. E. onde potersi il Valente scriversi francamente sulla lista di fuoribando. Secondo: I Ferrantelli si compromettono girare essi per tutti quegli che conoscono tenere le armi conservate, e persuaderli a disotterrarle e consegnarle al Comune in silenzio, minacciandoli in inadempimento di denunziarli; ho accettato anche questa seconda parte con darle 48 ore di tempo in cui tacitamen­te permetterò che si portassero al Comune armi di qualunque natura esse siano, ed avendo riarmati provvisoriamente i Ferrantelli quali hanno moltissima influenza ne' contadini e nel popolo, e sono vigili, ed in attenzione del risul­tamento < ... > *** Rapporto del comandante della colonna mobile, capitano Almeida, al principe di Satriano, N. 430 (Ivi). Castellammare 23 settembre 1849 Eccellenza Ero assordato dal pubblico clamore, tutti mi gridavano innanzi acqua. Diecimila abitanti che dovevano abbeverarsi, cuocere il cibo, e nettezza con cinque penne d'acqua. Imprecazioni, brighe a causa de' disordini familiari: una lurida fonte ove occorreva tenervi una guardia, giacché una libbra d'acqua era una quistione. 258 T La popolazione mi rinfacciava che V.E. aveva mandato per giustizia, ma ch'io non ne faceva, che l'acqua vi era ed io non ne prendevo contezza. Vero il fatto, il torto era mio. L'acqua esisteva, la Comune aveva spesa 9000 ducati per portarla al paese, una mano rapace e la inerzia amministrativa faceva commettere la piu turpe delle frodi a carico di una popolazione, dell'or­dine pubblico, della giustizia e decorosità del Governo e suo rappresentante. A due miglia circa dal paese al luogo detto Pozzillo sin dal 1790 erasi costruito un condotto reale che riunendo in una cinta varie sorgive, e che per condotti diversi si portavano in Castellammare circa 30 penne d'acqua potabile, e per tanto effettuirsi la Comune avea speso D.ti 9000. Il condotto reale passava per mezzo al fondo della famiglia Marcantonio che con impudenza senza pari ostruisce il condotto al di là della di lui casa di campagna, eseguisce un taglio nella parte superiore del condotto, e si serve delle acque per inaffiamento de' di lui giardini, formandovi in una delle bocche di luce un pozzo, e del quale vendeva per un grano a coppi della quartara, e se ne aveva formata ancora un oggetto di specolazione, in modo che gli abitanti dovevano pagare l'animale da basto e l'acqua se non volevano perire. Nel 1826 un Sindaco pietoso pensava per un momento far rimettere la cosa nel punto in cui conveniva ed appena apriva bocca che una sentenza fulminava di distruggersi subito la piu menoma ombra di usurpazione, e render­si libere nel corso le acque a questo Comune tutte sue, tutte proprie, e che per abbeverarsi la popolazione erasi speso D.ti 9000. Assicurato io della esistenza de' fatti come la luce del giorno, e dopo di aver ocularmente verificato il tutto, ho ingiunto riunirsi una commissione composta come appresso: lo Il ff. Sig.r Sotto Intendente Sig.r D. Gioacchino Denaro Giudice Regio Sig.r D. Gaetano D'Anna Sindaco Sig.r D. Pietro Lombardo lO Eletto Sig.r D. Francesco Barraco 20 Eletto Sig.r D. Francesco Albertini Decurione Sig.r D. Gaetano Fundarò Idem Sig.r D. Sebastiano Domingo Id. Sig.r Giuseppe Navarra Id. D. Gaspare Nicotri Agrimensore Capo mastro muratore Vincenzo Filippazzo Idem id. Gaspare Fugardi Dottore in medicina Comunale D. Leonardo Calandra Id id id D. Pietro Galante Ed invitate la famiglia Marcantonio e suo Avvocato, ci siamo recati tutti sopra luogo, e visto La identità della esistenza della proprietà comunale. Vista la usurpazione commessasi a danno di lO 000 abitanti. Visto che le parti usurpatrici stesse si vergognavano di quistionare, e dichiaravano essere convinti e rei. 259 Vista la sentenza che la Comune doveva prendere possesso de' suoi dritti. Vista la urgenza imperiosa di dissetare questa popolazione. Visto che altro non mancava che la rappresentanza del braccio forte per eseguire la legge ed il dritto nella sua estensione. Ho immantinenti, e dietro l'unanimo consenso della sopracitata commis­sione, fatto abbattere tutti gli ostacoli che impedivano il libero corso delle acque in quistione. Però non si è potuto avere la soddisfazione di vedere quelle acque tanto desiderate correre e rinfrescare le ardenti fauci di questa popolazione, poiché la mano malefica aveva devastati molti condotti che dovevano raccogliere le acque summenzionate; ma questo zelante Sindaco, provvido Sotto Intendente al momento han fatto mettere mano a tutti i lavori necessarì, e si spera tra giorni vedere appagata la brama di questa popolazione che attende le acque come gli Ebrei nel deserto. Il Cap.no dello Stato Maggiore Comand.te la Colonna Mobile *** Nota informativa del giudice regio di Favignana all'Intendente di Trapa­ni. Oggetto: Sorpresa di una lettera (Ivi, Affari diversi. 1850). Favignana li 22 Febbraro 1850 Signore Ieri dopo pranzo veniva io colpito dalla fisonomia di un individuo, che seppi di non ingannarmi, quando intesi, che chiamavasi Francesco Lombardo da Salemi, ex rilegato di questa isola, dall'epoca in poi della voltura del 1848. Chiamatolo, mi diceva esser venuto per estrarsi talune fedi. Lo tenni d'occhio, e mi avvidi che fu di costui cura introdursi nel carcere e conferire col celebre Galera. Allora incaricai il fedelissimo Caporonda Camillo Ania, onde indagare con destrezza l'oggetto della conferenza, ed il Galera manifestò, che aveva per mezzo di dO Lombardo ricevuta da coteste prigioni centrali la tangente della camorra in tari due e grana 12 siciliane. Chiamato il carceriere, ed avendolo chiesto del come si fosse introdotto colui, legittimossi, che profittò di trovare aperta la porta d'ingresso nel cortile di queste carceri, mentre egli entrato era nella sua stanza, e che avvistosene, se ne dolse col Galera, da cui ne riportò .... mglUne, e mmacce. Liquidato da me per vero questo fatto, ho disposto che il Galera fosse passato a camera serrata, ed il Caporonda, di fargli addosso una diligente perquisizione. Bello fu il mio pensiero, perché dal fedelissimo Caporonda ripeto, gli si rinvenne una lettera portata dal Lombardo, antico camorrista, e che reputo importantissima. Subito ho disposto, che il Lombardo venisse del pari assicurato, finché non si sviluppasse l'oggetto delle parole, che per me 260 ~ hanno gravissimo significato, e che non possono colorirsi in senso diverso da quello, di attendere qualche gran novità. Si rende adunque interessante, che Galera, ed il Capo di cotesti camorristi dichiarino a quale oggetto mirano, le notizie certe di che il secondo dava lieta novella al primo, assolutamente, da questo fatto, per me irresipiscibile e peri­coloso. Le indirizzo originalmente la lettera, dalla quale vedrà, che per posdata sono scritte le parole arcane, circostanza che dà maggior risalto all'occhio di un uomo veggente. Si uniscano i fatti precedenti, l'indole del Galera, colui che gli scrive, il luogo da dove si scrive, il contenuto di ciò che si è scritto, e da lei, e dal Real Governo non potrà non tirarsi la conseguenza, o venirsi alla necessità di misure confacenti alla bisogna. Intanto le sommetto, che ho escarcerato il Lombardo, per essersi presen­tato un fidejussore, che ne risponde, come dall'annessa copia legale di atto d'obbligo sotto pena di ducati 30 in caso di non consegna ad ogni ordine di Polizia, e che non mi pare il caso di escarcerare il Galera, anzi di allontanarlo da una relazione cosi vicina a cotesta vicheria, per tagliare una volta quelle comunicazioni, che tanto riescono dannose nell'interesse dell'Ordine. La prego infine a favorirmi di accusarmi ricezione delle due carte, ossia della lettera e del verbale di cauzione. Serva tutto l'anzi detto per superiore di lei norma, e per adempimento costante del mio dovere. Il Giud.e Regio Vincenzo Pergola *** Rapporto «riservatissimo» del giudice regio di Castellammare all'Inten­dente della Provincia. Oggetto: Stato morale di Castellammare e provvedimenti che si richiedono (Ivi, Corrispondenza, 1850). Castellammare li 4 Sett.e 1850 Signore Preposto, sono ornai otto mesi, ad amministrare giustizia in questo Comu­ne, erami riuscito, tracciando le vie della prudenza e della fortezza, a restituire la calma a questi abitanti, già per lungo tempo tra vagliati dal furore delle parti e dalle gare le piu accanite dello spirito di famiglia. Godeva a me l'animo in vedere le persone civili del paese riunirsi nel Casino di Compagnia, ove un piacevole conversare rendea piu miti gli animi, e facea dimettere quei sdegni, a cui era mestieri porre fine e riposo. Tacevano una volta le ire, né di Castel­lammare si narravano quelle tante vergogne, che altra volta aveano infastidito le Autorità Superiori della Provincia, e stancato sin'anco l'inesauribile saggezza del Governo. 261 Cosi duravano per otto mesi le cose di questo Circondario, se non che taluni esseri malefici, nutriti sempre di odj e di sdegni, ed ai quali è un elemento necessario lo stare tra la divisione ed i partiti, han posto ogni studio per turbare il bel sereno di quella pace, che fin 'oggi si è qui goduta. Parlo dei noti D. Giovan Battista San Giorgio e D. Santi Carollo. Stato il primo Capo Urbano e poi Vicecapo, e per le sue turpezze esonerato dall'uno e dall'altro ufficio, non sa tranguggiare lo stato di nullità, in cui veniva ridotto, e per uscirne è ricorso ad ogni arte subdola, ed anco a mene e macchinazioni le piu indegne. Quei posti di Capo e Vicecapo gli disturbavano i sonni; l'uno o l'altro formano la meta de' suoi desiderj, e mentre il Governo di fresco lo rimovea dal posto di Vicecapo, si è sforzato di trarre me alle sue voglie, portando vana lusinga, che io lo proponessi come necessario a quel posto, e come unico che lo potesse disimpe­gnare. Ripeto, vana lusinga. L'Ufficio di Capo o Vicecapo nelle mani di San Giorgio diventa un strumento di private vendette, un adito a lorde speculazioni, una chiave che mena a nuove scissure di partiti e di fazioni. I proggetti adunque del San Giorgio vanno a rompere in faccia alla mia fermezza, ed io sto saldo nel proponimento di non secondare un'ambizione cotanto ributtante. Ma San Giorgio non sa acquietarsi, e facendo suo prò del carattere troppo facile del Carollo, che ne seconda gli ambiziosi disegni, si studia di spargere lo allarme in ogni rincontro del piu lieve momento. Ogni piccolo fatto è per loro un avvenimento, e quando giorni sono succedeva rissa di lieve rimarco, si è detto da Carollo che omai non si sentiva piu rispetto per la legge, e che i rissanti credevano ritornati i tempi del quarantotto. In siffatto modo operando, inten­dono provare che senza di loro la giustizia è malferma, e che con essi soltanto può acquistare forza e vigore. Essi però s'ingannano a partito. Gli autori della rissa comunque non la denunziassero, e non avesse la stessa prodotto delle conseguenze, furon da me posti agli arresti; e qui la giustizia, sia in linea di prevenzione, sia in quella di repressione, non ha giammai perduto le sue piu belle prerogative, quelle cioé della fortezza e della imparzialità. Tutto questo però non mira a provare che il Capo ed il Vicecapo di Castellammare pienamente consonassero alle mie vedute ed ai miei incessanti desiderj. Convengo che sarebbe consiglio improvvido esonerare il Capo Sig.r AIbertini, qui necessario perché disimpacciato da studio di parte, e scevro da basse e riprovate passioni, ma la di lui poca attitudine fa sperimentare grande il bisogno di un Vice capo che efficacemente lo coadjuvasse. D. Giuseppe Lombardo Borruso, chiamato non è guari a questo ufficio, ha deluso l'aspetta­zione e tradite le speranze che sul di lui conto si concepivano. Poco curante del carico affidatogli, e poco avverso alle persone di ambigua condotta, non seconda le mire della giustizia, che in questa si amministra. È necessario dunque che venisse surrogato da altri che piu fido e piu solerte si dimostrasse. Né qui si arrestano le ambizioni sfrenate, gli aggiramenti e le coverte vie. Se San Giorgio e Carollo agognano ai posti di Capo e Vicecapo, talun altro, e precisamente questo D. Mariano di Giorgio (di cui non vi ha pari in falsità di carattere e depravazione di core), è forte martellato dall'ansia di occupare il posto di Supplente. Di Giorgio adunque contro il Supplente Mangiarotti dirigge 262 i suoi colpi, e forse di liberalismo lo va notando. Insomma la calunnia adotta lingue diverse, e mentre Mangiarotti è un individuo attaccato all'ordine, e sente tutta la forza de' proprj doveri, vuoi si denigrare facendo uso delle armi che la calunnia e l'invidia apprestano di accordo. Per ultimo a rendere piu completo il mio rapporto è mestieri che io trattassi di una classe di persone non meno pericolose delle mentovate, e sul di cui conto si rende indispensabile che si adottassero misure governative e di rigore. Parlo. qui di taluni rivoluzionarj che non solo non amano correggersi, ma che tuttora vagheggiano strane e pazze idee di libertà e di eguaglianza. Primi e piu perniciosi tra costoro sono i famosi Abate D. Ignazio Galante e il Dr. D. Simone Riggio. lo non valgo a dipingere con veri e giusti pennelli le tante immoralità del primo e le improntitudini del secondo. La virtu, la Religione, la legge, il buon costume sono per l'Abate Galanti oggetti tutti di umana convenzione, e quindi variabili a seconda i luoghi, i tempi ed i bisogni dell'uo­mo. Dopo i giorni dell'anarchia, il suo nome è proferito siccome quello di un genio malefico, ed a lui si attribuiscono i molti danni ond'era Castellammare fieramente disastrato. Né oggi può dirsi migliore di prima, avvegnacché vive tuttora impacciato in amorosi rapporti con donna nota per antiche e recenti libidini, e le di lui simpatie sono tutte per gli amatori del disordine e dell'anar­chia. Ciò non ostante quest'Essere perniciosissimo è Precettore della scuola secondaria di questo Comune. Le avventatagini del Rigio, sono poi note al Governo. Una processura lo tiene in prigione per ingiurie inferite al ritratto del Re nostro Signore, e sebbene gravi ragioni fanno dubitare della verità di questo fatto (per come conoscerà dagli atti compilati) pure è ben certo che il Riggio in privati discorsi prorompeva dicendo: che se ne fotteva di Dio e di Ferdinando. Simili bestemmie addimostra­no quale reo animo e quali principj portasse il Riggio. Riggio e l'Abbate Galanti vivono entrambi di speranze colpevoli, e me ne convince il vederli tristi, quando apprendono la solidità ed energia del nostro Real Governo, e come tutto cospira a consolidare maggiormente l'ordine e la pace di cui godiamo. A costoro tien dietro il Chirurgo D. Leonardo Calandra. Anch'egli si pasce di strane utopie, ed è poco amico all'attuale ordine di cose. Tale si presenta lo stato morale del Paese, ed è ben giusto che venisse purgato con delle forzose residenze e dagli ambiziosi che lo disturbano creando fieri partiti ed allarmi, e dai liberali che non amano correggersi e rassegnarsi al migliore dei governi. Il R: Giudice Leonardo Gullo *** 263 Rapporto del giudice regio di Castellammare al direttore del dipartimento di polizia in Palermo (ASP, ML, Polizia, Affari diversi. Alcamo, b. 1505, filza 48). Castellammare 20 Aprile 1860 Signore Spenti oramai i torbidi che per piti giorni afflissero questa Comune, adempio al dovere di rassegnarle tutti i fatti che occorsero in quel calamitoso periodo. La sera del 4 andante giungeva in questa la novella di una insurrezione scoppiata in codesta, ed una ben intesa apprensione invadeva gli animi di tutti questi civili che sin da remoti tempi per odii inveterati trovavansi scissi in partiti. Mi diedi io allora ad esortare buoni e tristi, perché dimenticato il passato si fossero tutti compatti con me uniti per lo mantenimento dell'ordine. Tutto procedeva tranquillamente, quando la notte del 5 giungeva in questa una banda armata di Alcamo ad oggetto di sconvolgere l'ordine, e mi riusciva di farla respmgere. Epperò il dopo pranzo del 6, mentr'io mi trovavo a pranzo con la mia famiglia nella Casa del Giudicato ove abito, mi vidi sorpreso da una massa di popolo nella quale ebbi a scorgere i detenuti nelle Prigioni di Alcamo naturali di questa Francesco Lucchese e Francesco Frazzitta che dicendomi di essere stato già inalberato in Alcamo il vessillo della rivolta doveva senza repliche anche qui procedersi a quella sollennità e dovevano eziandio sprigionarsi tutti i detenuti in queste Carceri. Per la Dio mercé piti buoni in quel momento terribile accorsero alla custodia della mia vita che, risparmiata, vengo trascinato nella parte della via Maestra ove sventolava una bandiera tricolorata. La sera si aggrediva la Dogana d'onde si toglievano le armi ed il denaro, come eziandio erano disarmati i Rondieri e condotti in Carcere dal quale erano stati sprigionati i detenuti ivi esistenti. Signoreggiava in quel momento il paese la classe piti trista di ladri, e di sanguinari; ed io che in quel momento vidi compromessa con la mia la vita dei piti onesti e pacifici cittadini, ebbi il destro di vincere con la piti lusinghiera promessa quella canaglia e di distornarla dall'attuazione di tutti i divisamenti di sangue, e di rapina. Epperò alquanti di ta' misfattori si riunivano in banda armata, e partivano per codesta. Il ceto dei proprietari che nutriva ancora gli antichi rancori mi presentava il quadro di una stragge cittadina, e quindi grandi ostacoli doveva sormontare per unirlo compatto in armi, e prevenire cosi il turbine che minacciava scoppiare di una conflagrazione di sangue e di rapina. Ma mercé le mie piti commoventi dimostrazioni del pericolo in che tutti versavamo conseguiva il salutare intento di conciliarli e di armarli tutti alla tutela dell'ordine e della sicurezza publica. Lo imponente sciame dei turbolenti ladri rimase allora sopraffatto dal numero dei buoni tutti ben com­patti, e cosi ebbi la sorte di veder falliti tutti i di loro criminosi disegni. Il giorno 12 giungeva una banda armata da Monte S. Giuliano che unitasi con molti naturali di questa in unica massa muoveva per la volta di Alcamo. Finalmente il giorno 14 superati tutti i su detti cimenti, e trovandomi 264 presidiato da tutti i proprietari ed impiegati che si erano consolidati in armi, colsi il momento favorevole per abbattere il vessillo della rivolta, cui sostituito quello del nostro adorato Monarca (D.G.) lo feci condurre per tutte le strade di questo paese con la banda musicale e fra gli evviva entusiasti di tutti i buoni, avendo sin anco la sera fatto illuminare tutti i balconi con l'armonia sino a notte innoltrata della suddetta banda che allietò coi suoi concenti questa buona popolazione. Il dopo pranzo del suddetto giorno mi giungeva l'Uffizio del Signor Sottintendente di Alcamo col quale mi avvisava che per la dimane sarebbe Egli venuto con un grosso di armati per abbattere il vessillo tricolorato e rimettere l'ordine: ciò che produsse il salutare effetto di tranquillare gli spiriti ancora palpitanti e di spaventare i malvaggi che forse avrebbero voluto tentare una reazione. E qui mi corre l'obbligo Signor Direttore di farIe particolare mensione del Capo Urbano Signor Ferrantelli che non si risparmiò fatiche per la sicurezza publica come ancora dei Signori Don Pietro Lombardo, Don Andrea Di Blasi ed il Signor Tenente della Dogana D. Antonino Lanza i quali coadjuvandomi costantemente in tutti i rincontri si cooperarono con me per la salvezza del Paese e per la restituzione dell'ordine. Il Giudice Regio Alessandro Lo J acono 265 I FATTI DI CASTELLAMMARE ALLA CAMERA «Interpellanza del deputato D'Ondes-Reggio sopra alcuni fatti in Castel­lammare di Sicilia» (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Sessione del 1861-62, Discussioni, tornata del 15 gennaio 1862, pp. 674-82). PRESIDENTE. Il deputato d'Ondes ha facoltà di parlare per muovere la sua interpellanza intorno agli ultimi fatti di Castellammare di Sicilia. D'ONDES-REGGIO. Signori, meglio che interpellanze, io farò delle dichiara­zioni intorno ad alcuni principii fondamentali dello Statuto, ed intorno ad altri principii maggiori di universale giustizia; e credo che alle mie dichiarazioni consentiranno ed il Governo e l'Assemblea tutta. Fatti deplorabili sono avvenuti a Castellammare in Sicilia. Qui, o signori, io non dò di piglio a recriminazioni, neppur voglio insistere in dire che si dovevano prevedere ed impedire; non è questo l'argomento; non faccio da facile Aristarco, anzi confesso che alle volte certi fatti, anche colle migliori intenzioni, non si possono prevedere, né prevenire. Desidero, spero che simili fatti piu non si rinnoveranno, ed ho ben donde, tanto perché non voglio dubitare che il Governo d'oggi innanzi sarà piu diligente nell'opera sua, quanto perché dai fatti stessi avvenuti risulta chiaro che il partito borbonico in Sicilia è cosi scarso di numero e così screditato e detestato, che al fine di poter farsi alcun credito, ed ottenere alcuni sconsigliati seguaci, è stato costretto a mutar nome e simulare intenti. Tali fatti, o signori, come qualunque reato, indubitatamente debbono essere puniti secondo le leggi. Intanto ho letto nel giornale uffiziale (non parlo di ciò che narrano altri giornali) che vi furono cinque, se non erro, i quali, presi colle armi alla mano, furono fucilati. Signori, io non credo certo che questi cinque si vogliano considerare come estranei nemici. Ma, se cosi, ornai finito è il tempo in cui il diritto internazionale della guerra era quello di uccidere i prigionieri. Passò anco il tempo in cui i 266 prigioni si facevano servi coi posteri loro. Ormai, una volta che si sono presi i nemici, si tengono come sacra cosa, e nelle tregue e nelle paci si restituiscono. Questi adunque di Castellammare saranno stati dei ribelli; almeno credo che tali saranno stati, perché appunto, non essendo vi ancora giudizio, io non so che cosa veramente fossero. Credo, anco perché cosi si dice, ma non ne ho certezza, che abbiano commesso omicidi ed ogni altra maniera atroci cose. Ebbene, per quante enormezze abbiano coloro potuto commettere, ciò non toglie che avrebbero dovuto essere condannati secondo la legge. Lo Statuto, signori, all'articolo 71: «Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno perciò essere creati tribunali o Commissioni straordinarie.» All'articolo 72: «Le udienze dei tribunali in materia civile e i dibatti menti in materia criminale saranno pubblici, conformemente alle leggi.» Signori, a questi principii dello Statuto nostro sono conformi i principi i della giustizia, e sono dessi omai consacrati in tutti i Codici dei popoli civili. Imperciocché quei cinque dovevano avere il tempo ed i mezzi di difendersi e dovevano essere giudicati da magistrati quali dalla legge sono stabiliti. Di quelli cinque era necessario vedere chi realmente fossero stati rei o no, se questi rei fossero colpiti dalla pena dell'estremo supplizio o di pena minore. Poteva tra di loro trovarsi un minore che appunto per essere tale per il suo reato non va soggetto alla morte. Coloro, non ostante fossero stati presi colle armi alla mano, potevano essere innocenti, poiché non è questa la prima volta che de' ribaldi s'impadroniscono di persone innocenti, e le costringono a stare in mezzo a loro colle armi alla mano; quindi poteva anco ben darsi che tra que' cinque si trovasse non solo un innocente, bensi un uomo che fosse d'idee liberali, e ciò nulladimeno sia stato trucidato. Infine, potevano essere rei, eppure potevano anche meritare perdono; altrimenti non avrebbe senso il diritto di grazia che è consacrato nelle nostre leggi, e in tutte le leggi dei popoli civili. lo credo che, se il Governo l'avesse potuto prevedere, avrebbe impedito quest'eccidio; e non solo il Governo di qui, ma anche il Governo locale di Sicilia. Imperocché considero le difficoltà che soventi vi sono ad impedire gli sdegni e le ire che fervono ancora dopo una lotta di morti e di stragi; so anzi che molti applaudono a questa specie di sommarii giudizi, e pensano che cosi si salvi la cosa pubblica; io invece sono convinto che cosi essa enormemente si danneggi. Né dubito che in Sicilia stessa cosi opinino molti. E so anco che volghi plebei e volghi nobili non approveranno queste parole mie; diranno è l'antico umani­tario. Ma io non vado in cerca di plausi, a me basta il plauso della mia coscienza (Bene! bene dalla destra). Signori, in questa materia voglio schiettamente esprimere il concetto mio. lo credo che fra le cose che profondamente distinguono i Governi liberi dai Governi tirannici sieno queste due. Nei Governi tirannici è lecito scuotere il giogo, e, per sottrarsi al peso d'ingenti mali, fare delle rivoluzioni; imperocché mancano i mezzi legali onde ottenere a quei mali riparo, e stabilire un regime di giustizia e di felicità; ma nei Governi liberi, nei Governi dove havvi una rappresentanza nazionale eletta dal popolo e una stampa libera, ciò non è lecito. Quando i popoli si lamentano dei danni che soffrono per un cattivo Governo, loro è da rispondere: scegliete deputati che facciano meglio le bisogne 267 vostre, e se vi sarà una stampa, la quale, invece di diffondere principii di libertà e di giustizia, dissemini germi di servitu, d'immoralità c d'iniquità, stiate sicuri che un'altra stampa verrà ad investirla e vincerla; la libertà stessa è rimedio agli abusi ed ai danni della libertà. In un paese libero è lecito fare rivoluzione allora soltanto che il Governo viola le leggi fondamentali dello Stato. Quindi, ad esempio, giusta fu la rivoluzione del 1830 in Francia, ma non giusta quella del 1848; ambedue le cacciate degli Stuardi dall'Inghilterra furono giuste; avvegna­ché la prima macchiata di sangue non necessario; giuste sono state, sono state sante le rivoluzioni, ossia la permanente rivoluzione di noi Siciliani dal 1815 al 1860. L'altra cosa che distingue i Governi tirannici dai Governi liberi è questa: che nei Governi tirannici impunemente si violano le leggi, si commettono violenze d'ogni maniera, i soldati ammazzano innocenti o rei, la volontà dei governanti sfrenata ed iniqua sta per legge; ma nei paesi liberi queste enormità non possono commettersi, non debbono commettersi. I Borboni appunto cosi trattavano i Siciliani, i soldati borbonici fucilavano anche dei giovinetti che non toccavano gli anni 15, assai volte fucilarono gl'innocenti. Quando non si osser­vano le norme stabilite dalle leggi, non è possibile che si distinguano i rei dagl'innocenti. Ciò che principalmente concitò in Sicilia l'odio implacabile contro i Borboni furono queste uccisioni, che si facevano senza forme legali. Signori, crudeli e feroci sono i selvaggi, i deboli, i timidi, gl'improbi; ma i civili, i forti, i probi, i magnanimi sono di sensi umani, vogliono la giustizia ed anche perdonano. lo so che, se io od altri cadessimo in mano dei borbonici, questi ci fucilerebbero spietatamente senza giudizio. Ma so ancora che essi, cadendo nelle mani nostre, da noi debbono essere giudicati secondo giustizia. Questa è la differenza fra noi e loro; ed altrimenti ove sarebbe la nostra superiorità su di loro? Perché noi saremmo migliori di loro? (Movimento) E piu ancora c'innalzeremo noi sopra di loro, se la cosa pubblica salvando, loro perdoneremo. Non dico dunque desidero, non dico spero; dico chieggo, ed ho diritto di chiedere in nome della libertà e della giustizia che niuno patisca pena senza regolare giudizio. Signori, libertà e giustizia cose indissolubili sono; libertà e giustizia sono i principii eterni dell'umanità, il diritto divino dell'umanità. PRESIDENTE. Il deputato La Farina ha facoltà di parlare. LA FARINA. Veramente l'onorevole deputato D'Ondes ha in parte tolta la cagione, per la quale io fin da principio mi era fatto a chiedere la parola. Egli ha dichiarato ch'è sicuro che le sue parole non saranno applaudite in Sicilia; ma io colgo questa occasione per dire qual è l'opinione della Sicilia, qual è il desiderio di quelle popolazioni. lo non entrerò nella questione del fatto di Castellammare, prima di tutto perché ignoro i particolari, secondo perché divido coll'onorevole D'Ondes il desiderio che il signor ministro di giustizia ci dia prima degli schiarimenti in proposito. Ma ciò che io so è questo, che in Sicilia, signori, ciò che soprattutto si desidera è un Governo forte, che in Sicilia (e credo che nessuno degli onorevoli 268 deputati che siedono in questa aula potrà smentirmi) si vuole il rispetto della legge, si vuole e si desidera il rispetto della libertà, ma nell'istesso tempo non si vuole transigere colla sedizione, di qualunque veste si ammanti. e sotto qualunque bandiera si manifesti. In Sicilia si desidera che la legge non sia violata, ma si desidera che la legge sia eseguita con quella fermezza e con quel rigore che i tempi ne' quali ci troviamo esigono. Noi siamo antichi amici della libertà; noi non siamo sospetti di voler leggi eccezionali, di voler la sospensione delle nostre libertà; no, o signori. Ma noi vogliamo che queste libertà siano difese con mano energica e forte. Per la sedizione che sorge in piazza, per la sedizione armata, per la sedizione scellerata sino al punto di abbruciare delle donne vive, signori, per questa sedizione io non ho nessuna pietà, e credo che la Sicilia divida la mia opinione, e credo che la divida la maggioranza, se non l'unanimità dei deputati siciliani che siedono in quest'Assemblea. Certamente il Governo libero non può usare i mezzi del Governo dispo­tico, né deve usarli. Qui sono perfettamente d'accordo coll'onorevole D'Ondes. Ma il Governo libero ha il dovere di difendere questa libertà per la quale si è sparso tanto sangue, questa libertà, o signori, che ci costa si cara! E se il Governo esitasse, se transigesse colla sedizione, io dichiaro che per me in questo caso il Governo mancherebbe al primo, al piu essenziale de' suoi doveri; perché, se è rispettabile la libertà dei cittadini, è rispettabile anzi tutto la libertà della nazione; perché se, come osservava l'onorevole D'Ondes-Reggio, noi dobbiamo tener fermo alle libertà dello Statuto, dobbiamo prima di tutto provvedere che questo Statuto non sia messo in pericolo dalla ribellione, che lo Stato stesso non sia messo in pericolo. Il Governo, compiendo in questa parte il suo dovere con energia, avrà l'applauso di tutti i buoni. lo non dubito, o Signori, che l'esercito italiano usi giammai quelle barbariche rappresaglie che soleva usare l'esercito borbonico. lo credo che l'esercito italiano, quando adopera le armi, le adopera costretto dalla necessità della sua propria difesa, costretto dal sacro dovere di ridonare alla società quella tranquillità e quella sicurezza, senza la quale, o signori, la libertà non sarebbe che una parola vuota di senso. lo quindi aspetto che il signor ministro per la giustizia voglia avere la bontà di chiarirci sui fatti che ebbero luogo a Castellammare, e mi riservo, ove occorra, di proporre un ordine del giorno. D'ONDES-REGGIO. Mi pare che tutto il discorso del signor La Farina non abbia nulla a che fare con quello da me pronunciato. lo non ho detto che il Governo non debba far rispettare la legge, ma bensi che debba farla rispettare; io non ho detto che il Governo non debba adoperare tutte le forze affine di vincere le ribellioni e punire ogni maniera di delitti, ma ho detto, e ripeto però, che il Governo deve eseguire la legge; e per me il Governo è legittimo quando osserva lo Statuto. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Piacque all'onorevole D'Ondes di rivolgere a me un'interpellanza sui fatti di Castellammare, a me che forse meno di tutti i miei colleghi sono in condizione di dare schiarimenti riguardo a questi fatti. lo ben posso rispondere all'onorevole D'Ondes relativamente al modo col quale la giustizia sia amministrata, ma dare schiarimenti relativamen- 269 te al modo col quale questi fatti sieno avvenuti, in verità non è cosa la quale mi appartenga. lo conosco questi fatti per le voci pubbliche, ma non ho avuto, al giorno d'oggi, ancora dall'autorità giudiziaria alcun riscontro positivo: seppi che in Castellammare una sommossa ebbe luogo, nella quale avvennero molti omicidii; che vi fu ucciso il comandante dei militi, che furono parimente uccisi il maresciallo dei carabinieri, ed alcuni altri carabinieri, ed un maggiore della guardia nazionale; che fu dato il fuoco a molte case; questi fatti io li credo veramente positivi, ma non li so, ripeto, per informazioni ufficiali. Che se io devo rispondere all'interpellanza dell'onorevole D'Ondes per quanto si riferisce ai fatti delle fucilazioni a cui egli accennava, dirò innanzi tutto che l'onorevole D'Ondes non vorrà certamente mettere questi fatti come norma del modo col quale la giustizia si amministri in Sicilia. Se nell'impeto non hanno potuto i militi reprimere un sentimento, dirò, di giusta ira, in seguito agli immensi danni di cui erano spettatori, non è cosa questa, la quale in alcun modo possa essere addotta come argomento che la giustizia sia male ammini­strata. Sono questi di tali fatti che debbono essere deplorati, che è da desiderarsi che non abbiano mai a succedere, ma che può facilmente comprendersi come non siansi potuti impedire. Del resto, ben può star certo l'onorevole D'Ondes che l'amministrazione della giustizia avrà sempre di mira la legalità, e, qualun­que sia la condizione dei tempi, mai non ricorrerà a mezzi eccezionali. CRISPI. Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Il deputato Crispi ha facoltà di parlare. CRISPI. Da quel che pare, l'onorevole ministro della giustizia ci ha mani­festate le sue intenzioni, e non altro. Il deputato D'Ondes voleva sapere come sieno stati fucilati in Castellammare quegli sciagurati, che si dicono stati presi colle armi alla mano. Se l'onorevole ministro ci avesse detto che cinque dei ribelli del! o genna­io, presi colle armi alla mano, furono sottoposti ad un Consiglio di guerra, e che i comandanti le truppe, valendosi di tal una disposizione del Codice penale militare, in qualche modo legittimante la loro condotta, li avessero fatti fucilare, avrei capito la risposta. Ma quando sento ch'egli non conosce neppure come siffatte fucilazioni sieno avvenute, dico la verità, ciò mi stupisce e m'induce a credere che dagli agenti suoi non è messo a giorno del modo come la giustizia colà si amministra. Quando si siede a quel posto, e si deve sorvegliare alle esecuzioni capitali pronunziate dai tribunali ordinari, come anche alle condanne militari, mi maraviglio che un consigliere della Corona non solo ignori questi sconci, ma non trovi rimedio, perché la legalità, in occasioni cosi solenni, abbia pienissimo effetto. lo comprendo che, nelle presenti condizioni politiche d'Italia, il Governo debba avere quell'energia, senza la quale non si salvano le nazioni. Ma energia non significa in costituzionalità; energia non significa che ad ogni momento si possano fare arresti e adottare partiti arbitrarii. Energia significa invece fare tutto il possibile per prevenire i reati e per punirli quando sono stati commessi. Ecco quale è la vera energia. 270 T ! I I I I I I I In Sicilia abbiamo tutto l'opposto. Le sue condizioni, altra volta mi avvenne di manifestarlo, provano che qui vi, invece di un Governo energico, esiste un Governo debole ed incapace, tanto nell'amministrazione della cosa pubblica, quanto in quella della giustizia. lo ricordai nella celebre seduta del IO dicembre gli arresti arbitrari e gli omicidii illegali commessi in Sicilia; ma fin qui non ho potuto conoscere né dal ministro di giustizia, né dagli altri suoi colleghi, se cotesti arresti arbitrari ed omicidii illegali abbiano o no ricevuto la pena dalle leggi sancita contro i pubblici ufficiali che li commettono nell'esercizio delle loro funzioni. lo non sono certo gentile verso i borbonici, e laddove la legge militare fosse necessaria per estirparli d'Italia, io sarei il primo a consentirla. Dico solo che bisogna punire i borbonici pei reati che commettono, e punirli secondo le leggi esistenti nel regno. Ma no, l'illegalità è senza freno; fin dal novembre ultimo furono arrestati dei cosi detti borbonici, il processo dei quali non è stato neanco iniziato. Ho qui la nota di quasi venti individui i quali stanno nelle prigioni attendendo che giustizia sia fatta. lo dico dunque al signor ministro: sono innocenti? metteteli in libertà; sono rei? perché non li avete fin qui legalmente puniti? Anzi com'è che non avete ancora scoperto le prove del reato pel quale furono arrestati? Voi di questo modo avete dato e date prova di una debolezza o almeno di una imperizia che vi condanna. Ripeto: nelle condizioni in cui si trova l'Italia, l'energia è piu che necessaria a salvare la nazione; ma, perché questa energia fruttifichi, la prima condizione è che le leggi siano rispettate, che i reati siano regolarmente puniti. Non ha guari, il 3 del corrente mese, in Messina, al cader del giorno, un signore, Vincenzo Perino, era ucciso nella strada, e l'assassino non veniva arrestato, anzi è ancora ignoto chi ei si fosse. Il 12 dicembre scorso in Palermo, a mezzo di, un certo Gambino era assassinato nella pubblica piazza e l'omicida fu lasciato fuggire. Posto ciò, ditemi in che consiste questa energia del Governo? lo credo che il Governo, anziché essere energico, è cieco; non solo egli non usa i mezzi necessari per arrivar a scoprire i rei, i quali alla luce del sole commettono misfatti terribili, ma lascia libera la falange di cospiratori che sventuratamente invade quell'infelice paese. lo termino adunque chiedendo al ministro che sia energico quanto il può ed il sa; ma, piu che energico, sia perspicace, previdente, osservatore della legge. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Che l'onorevole Crispi si mera­vigliasse perché io, conoscendo i fatti, non cercassi di portarvi rimedio, lo troverei giustissimo; ma che egli si meravigli perché io, interpellato, non possa dare alla Camera quegli schiarimenti che per avventura possono essere deside­rati, è cosa affatto inopportuna, dal momento che le autorità locali, le quali dipendono dal Ministero di grazia e giustizia, non hanno ancora trasmesso informazioni; ed io mi guarderei bene di dare, come ministro, informazioni le quali non mi fossero pervenute dalle autorità che sono sotto la mia dipendenza. Il signor Crispi però fa rimprovero al Governo perché non mostri energia sufficiente nell'amministrazione della giustizia, perché molti prevenuti di reati si trovino in carcere senza che seguano i giudizi, perché molte volte i giudizi non corrispondano alla verità dei fatti; ma, Dio buono! la giustizia si ammini- 271 stra col mezzo dei magistrati; i magistrati che esercitano la giustizia in Sicilia noi li abbiamo ereditati dal Governo precedente. CRISPI. Domando la parola. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Ora, se manca in Sicilia il coraggio di deporre sulla verità dei fatti che succedono, se un crimine commesso nella piena luce del giorno non può essere stabilito, perché nessuno si presenta a deporre del fatto, che cosa ne può il Governo? lo dirò anche: che ne possono i magistrati? Si cessi dunque una volta di rimproverare il Governo anche in ciò che non è in modo alcuno dipendente dal di lui fatto. Quando il Governo avrà potuto stabilire il nuovo ordinamento, quando a vrà fatto la scelta del personale, se l'amministrazione della giustizia darà luogo a richiami, allora si potrà far rimprovero al Governo di non aver saputo dotare la magistratura di uomini atti al bisogno; ma al giorno d'oggi voglia la Camera avere quella tolleranza che anche il Governo è obbligato ad avere a questo riguardo. PATERNOSTRO. Mi permetta la Camera che io dica poche parole in occa­sione delle dichiarazioni dell'onorevole deputato D'Ondes. Mi pare, se non m'inganno, che voglia confondersi l'ordinaria ammini­strazione della giustizia con un fatto tutto eccezionale. Sono i fatti di Castellammare che hanno indotto il deputato D'Ondes a dichiarare che intende che le leggi siano osservate, che tutto proceda regolar­mente a norma delle medesime, e che non si abusi, per cosi dire, della forza nell'amministrazione della giustizia. L'onorevole ministro guardasigilli non ha potuto dare quelle esatte spie­gazioni pei fatti di Castellammare che forse potrà dare il ministro dell'interno; ma noi conosciamo, non solamente dai giornali, ma anche dalle lettere partico­lari, che a Castellammare, passato il primo momento di lotta tra truppa e ribelli, è arrivato un giudice d'istruzione, e tutto procede regolarmente a norma della legge. Quando la forza pubblica è arrivata a Castellammare, quando tentava di entrarvi per ristabilirvi l'ordine, i ribelli tirarono su di essa. Arrivati rinforzi, la truppa, in mezzo alle fucilate, entrò in paese perdendo un capitano, perdendo dei soldati ed agenti della forza pubblica. È naturale che in quel momento, trovando assassini in atto di aperta ribellione, invece di pensare a popolarne le carceri, si pensò di fucilare sul fatto quei nemici della patria trovati con le armi alla mano. lo, o signori, non desidero certo di trovarmi in simili casi; ma, se mi ci fossi trovato, state sicuri che avrei pensato poco alla stretta legalità, poco alle future osservazioni del deputato D'Ondes, ed avrei fucilati, senza misericordia, quei feroci perturbatori dell'ordine. (Ilarità generale - Bravo!) Energia nel Governo. Questo diceva l'onorevole La Farina, e sino a un certo punto parmi che ne convenga l'onorevole Crispi. In Sicilia, anziché di violenza, si potrebbe il Governo accusare quasi di debolezza. Ciò è naturale; il credere che· si possa in momenti eccezionali governare in ogni occasione un paese come si governa in tempi normali; il voler governare colla scrupolosa 272 T T legalità un paese uscito appena da una rivoluzione e dalla oppressione di un Governo tirannico, e come si governano le provincie dove già si raccolsero sino a un certo punto i frutti della libertà, mi pare una utopia. Ricordate, o signori, che in Sicilia usciamo da una rivoluzione; ricordate che le prigioni furono aperte; ricordate che tenne o invase la magistratura una classe di individui (sono pochi), ma individui che si avviticchiarono un po' alla dittatura, un po' alla prodittatura e un po' al Governo regolare, e certamente non perché tutti gli onorevoli amministratori non avessero voluto fare una buona scelta, ma perché in momenti di confusione forse non poterono farla, ne derivò che nella magi­stratura buona, in gran parte, c'è un po' di guasto. È a sperare che il ministro guardasigilli porterà un pronto riparo a tale guasto, che indebolisce l'azione della giustizia. D'altra parte, un giudice istruttore non può e non deve costrin­gere a deporre coloro che conoscono i fatti, con delle misure alle quali sogliono talvolta ricorrere i magistrati sotto i Governi tirannici e dispotici. Da ciò ne deriva spesso mancanza assoluta di deposizioni e di prove. La libertà in tal une provincie d'Italia non è progredita tanto da poter dire al cittadino: sii uomo onesto, e muori; di' la verità, e abbiti un colpo di stile. Fin là non siamo ancora arrivati. Bisogna quindi proteggere in tutti i modi la pubblica sicurezza, bisogna che un po' il Governo, un po' la stampa, un po' i buoni cittadini, un po' la rappresentanza nazionale si adoperino a ciò. Non bisogna dire alle popolazioni ora che il Governo non pensa a niente, ora che il paese s'abbandona a se stesso, ora che si vogliono leggi eccezionali, infine fuorviare la pubblica opinione con discorsi che mantengono l'agitazione. Bisogna aspettare che le popolazioni si educhino, e che ciascuno adempia all'obbligo suo. Ora, se da un lato è vero che tutte queste circostanze producono debolezza nella magistratura e negli agenti di sicurezza pubblica, epperciò debolezza nell'ordinaria azione governativa, non è men vero poi che qualche volta, o i fatti troppo avanzati, o l'opinione pubblica troppo pronunziata, o la necessità di salvare il paese in un momento di violenta agitazione, fanno scostare forse un tantino, trovandosi a fronte di supremi pericoli, dalla pura, pretta, scrupolosa legalità. Il venire a gridare alla Camera: voi violate la legge; voi non potete fare quello che avete fatto; voi avreste dovuto mettere in prigione tranquillamente nel primo momento che siete entrati a Castellammare tutti coloro che avete trovati colle armi alla mano; voi dovevate istruire un processo; voi dovevate agire, come se diceste a quelle popolazioni: fate pure, perché poi vi sarà un processo, vi saranno le minoranti, le attenuanti, le escusanti, i testimoni a discolpa, forse la corruzione o la paura dei magistrati, e quando voi avrete trucidato 50 individui, abbruciate 100 case; quando avrete messa a rischio la libertà, voi sarete tutelati dalla legalità; e, se per poco l'armata che entra se ne scosta nel furor della lotta, voi troverete un deputato che tuonerà nel Parlamen­to, perché questa legalità sia mantenuta scrupolosamente! il dire, il far questo, o signori, non mi pare opera lodevole nei momenti che corrono. lo rispetto la legalità quant'altri mai, non darei il mio voto, se non in momenti supremi, a misure eccezionali; ma prego la Camera di riflettere che al presente in talune provincie la legalità scrupolosa parmi impossibile, soprattutto quando si tratta 273 di incorreggibili reazionari, o di individui che già erano condannati per reati comuni, e che la rivoluzione ha, per cosi dire, gettati in mezzo alla strada, e che la pura legalità in quei paesi, nei quali è corsa l'idea che il Governo sia debole, potrebbe arrecare gravissimo danno, quando i fatti reclamano pronta ed ener­gica repressione. lo non vi dico: fate una legge eccezionale; non vi dico: date al Ministero ampia facoltà di passar sopra alle leggi; vi dico soltanto che nei momenti di ribellione, nei momenti di agitazione violenta, nei momenti di furti, d'incendi e di assassinii, se si va un po' piti in là, io chiudo un occhio; occupia­moci delle leggi, e non ricorriamo ad osservazioni troppo minuziose, qualora, come nel caso presente, le leggi non sono violate, ma la necessità del momento ci conduce a oltrepassare i limiti d'una stretta e rigorosa procedura. Sarebbe, a mio avviso, impossibile in questo momento governare alcune provincie con diverso sistema. Ecco francamente la mia opinione. E non crediate, o signori, che questo sia un assurdo. Vi sono due specie di legalità, le leggi in sé stesse e la elasticità delle medesime: la prima legalità oggi è l'ordine pubblico; è questo che nelle provincie meridionali si cerca e si chiede tutto giorno; tutti gridano per carità, ordine pubblico, finitela una volta cogli assassinii e colle agitazioni. Non vi si dice già: sopprimete la stampa; non vi si dice: perseguitatela; non vi si dice: perseguitate le associazioni, perseguitate le opinioni dei liberali, no; ma vi si dice: perseguitate l'assassino, il perturbatore; perseguitate lo in tutti i modi, e siate energici; si dice al ministro di grazia e giustizia che migliori la magistratura; si dice al ministro dell'interno di vedere se i suoi prefetti, i suoi sotto-prefetti, i suoi questori sieno all'altezza del loro mandato; si dice ai deputati, a qualunque colore appartengano, che gridini alla Camera, e che scrivano ai loro elettori che la sicurezza deesi mantenere ad ogni costo, che il disordine deesi schiacciare là dove si trova; perché il trionfo d'un'idea, il trionfo d'un partito, il trionfo d'una gradazione politica, il trionfo di certi principii, sia di unificazione, sia d'autonomia e di confederazione deve aver nulla che fare colla pubblica sicurezza, nulla che fare coll'ordine pubblico, nulla che fare coll'assassinio, nulla con uomini che inalberano una bandiera rossa, gridando: morte ai liberali! I tristi, signori, bisogna perseguitarli ad ogni costo. Concludo il mio discorso con dire che desidero che il Ministero spieghi tutta la sua energia; che il ministro di grazia e giustizia, lo ripeto anche una volta, migliori la magistratura; che il ministro dell'interno faccia un esame severo di tutti gli agenti del Governo, per vedere se tutti si ispirano alle vedute della nazione. Quando il Governo agirà energicamente, sono sicuro che dappertutto, se non una perfetta tranquillità, vi sarà almeno quell'ordine che è compatibile allo stato attuale delle cose; e questa certezza mi spinge a gridare: energia, energia e sempre energIa. CRISPI. Il signor guardasigilli si è trincerato dietro le autorità locali, e direste che lasciasse cadere sopra le medesime la colpa della fattagli imputazio­ne. Cotesta, secondo me, è una cattiva difesa per un ministro costituzionale. Se le autorità locali non hanno spedito il rapporto dei casi di Castellammare, ciò è segno di disordine nel pubblico servizio. In Sicilia, sotto tutti i Governi, non 274 T i l escluso quello della dittatura, i questori e i procuratori generali del Re manda­vano settimanalmente al Ministero il rapporto dei reati che si commettevano. Inoltre, quando seguivano reati straordinari, le suddette autorità erano obbliga­te a fare un rapporto speciale. Sarebbe ormai venuta meno cotesta pratica? La ribellione del l o gennaio fu un fatto abbastanza clamoroso ed importante perché dovesse essere oggetto di un rapporto istantaneo, immediato pel Governo della capitale. In ogni modo, checché ne sia, la negligenza degli agenti del potere non è una scusa innanzi a noi. Pel Parlamento non c'è che il ministro responsabile. L'onorevole guardasigilli soggiunse che, se la giustizia non è bene ammi­nistrata in Sicilia, egli è per i magistrati che il Governo ha ereditato. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Non ho detto questo. CRISPI. Se non afferrai bene la frase del signor ministro, affermo però essere stato cotesto il significato delle sue parole. In verità, dopo quattordici mesi che il Governo regio è instituito in Sicilia, non ci è scusa per lui sugli errori nella pubblica amministrazione. Il Ministero, ove l'ha voluto, ha mantenuto completamente il personale. Di sette prefetti nominati sotto la dittatura, appena due ne rimangono. E nel giudiziario, quando il guardasigilli l'ha creduto necessario, non ha mancato di fare altrettanto. lo gli ricorderò il fatto del giudice Fortunato, il quale nel novembre ultimo, per rispetto a qualche suscettibilità locale, fu traslocato da Palermo a Messina. Credete voi che ciò sia avvenuto perché il medesimo aveva commesso qualche irregolarità? Niente affatto. Il signor Fortunato fu punito per aver fatto il suo dovere contro un milite della guardia nazionale. Si trattava di un atto di energia di quel giudice, ed il ministro di giustizia, invece di lodarlo e promuoverlo pel buon esempio degli altri magistrati, gli fece mutare residenza. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Ma ciò sta nella competenza del luogotenente. I giudici sono nominati dal luogotenente. CRISPI. lo qui non conosco luogotenenti; io non conosco che il ministro responsabile. (Bisbiglio a destra) In ogni modo, se l'onorevole guardasigilli mi ricorda che quella disposi­zione fu data dal luogotenente generale del Re, io, alla mia volta, richiamerò alla sua memoria ch'egli era a Palermo quando ciò avveniva. Quindi, essendo colà, poteva provvedere secondo giustizia. L'onorevole ministro finalmente, non potendo negarci che in Sicilia l'i­struzione dei processi va assai lenta, e spesso non raggiunge lo scopo, l'attribui­sce alla mancanza di coraggio nei testimoni. Signori, ho qui una statistica del 1852, dalla quale risulta che su cento reati portanti pene criminali, settantacinque allora erano puniti. Per ottenere questo risultato, bisognava bene che i testimoni parlassero. Or dunque, come avviene che in quel tempo avessero coraggio, ed oggi ne manchino? No, o signori, non dobbiamo lagnarci dei testimoni, ma dell'imperizia nei giudici istruttori, del­l'imperizia nei magistrati incaricati del Pubblico Ministero. Il male è tutto là, e bisogna fare il possibile perché le procure generali siano purgate, e si scelgano giudici che conoscano il loro dovere. Ho detto che in Sicilia si sono fatti arresti arbitrari e si sono applicate delle pene in via economica non ammesse dalla legge. Il IO dicembre io parlai anche 275 di un signor Pancali, confinato nel comune di Vittoria, dove sta ancora al presente senza giudizio di magistrati. lo credeva per lo meno che l'onorevole ministro avesse dato ordini energici perché quei cittadini fossero liberati. Gli ricordai altri fatti della stessa natura in quel giorno, ma non so ancora che giustizia si sia fatta. Ora, finché il Ministero non si metterà sulla via della giustizia, anziché Governo energico, sarà riputato Governo debole. Non si può far nulla contro la legge, e tutto quello che le si fa contro, lo è a danno della libertà. BROGLIO. Mi pare evidente che la presente discussione non possa avere un esito pratico. lo sono d'accordo coll'onorevole D'Ondes nel rispetto a quei sommi principii di giustizia e di libertà ch'egli ha invocati, ed egli sarà sicuramente d'accordo con me e cogli altri membri di questa Camera che hanno parlato in questo senso nell'ammettere che in occasione di guerra, od almeno di lotta civile, d'insurrezione e di repressione, la propria difesa obbliga i soldati, gli stromenti dell'ordine pubblico a venire a repressioni violente, le quali debbono cessare dal momento che cessa la lotta. Il punto che è ora in controversia sta nel vedere, se le fucilazioni di cui si parla siano una conseguenza immediata, un atto stesso della lotta, oppure un atto sopraggiunto dappoi. Su questo l'onorevole ministro ci ha detto di non avere ancora i rapporti speciali delle autorità giudiziarie dove le circostanze del fatto sono esposte. Per conseguenza è evidente che non si può venire ad una conclusione pratica. lo credo quindi che si debba chiudere questa discussione, stando sempre salva, ben inteso, all'onorevole D'Ondes la facoltà di chiedere al signor ministro ulteriori spiega­zioni, quando egli venga a sapere che le informazioni sieno arrivate dall'isola. lo propongo dunque che si passi senz'altro all'ordine dei giorno. D'ONDES-REGGIO. lo credo che veramente se quei signori che hanno difeso il Ministero non l'avessero difeso, la cosa sarebbe andata meglio, perché io il primo ho detto che concepiva le difficoltà che il Governo avrebbe potuto incontrare in impedire il deplorabile caso. Intanto debbo ritenere che sia avve­nuto, mentre l'ho letto nel giornale ufficiale, ché se mai il giornale fosse scritto (e forse a questo pare che alludano le parole dell'onorevole Broglio) che nella lotta cinque furono uccisi, ed allora certamente io non ne avrei fatto discorso; ma le parole del giornale sono: «presi colle armi alla mano, furono fucilati.» Ciò è contro lo Statuto, è contro la giustizia, lo ripeto, non c'è questione, o signori. Tutto quello che hanno detto gli onorevoli La Farina e Paternostro non fa niente all'argomento; eccetto che eglino non intendano dire con parole chiare, ma con un giro di frasi e reticenze: non vogliamo giustizia, ma invece vogliamo energia. Ora per me tutto ciò che non è giustizia non può essere altro se non ingiustizia. È un errore il credere che l'energia e la giustizia sieno cose incompatibili; no; anzi la vera energia consiste nel fare eseguire la giustizia. Quindi si spieghino chiaro: vogliono la giustizia? E la giustizia presso i popoli civili significa ciò che è dalle leggi stabilito; l'energia significa il fare eseguire rigorosamente la giusti­zia; parlino chiaro come parlo io ... LA FARINA. Domando la parola. 276 T D'ONDES-REGGIO. Il signor La Farina sa che questi sono i miei principi i antichi, e sa che sovente ho avuto a combattere per sostenerli. Quanto poi a quello che l'onorevole Paternostro ha manifestato che avrebbe voluto adoperare se si fosse trovato al potere, io non gl'invidio la gloria di quello che avrebbe fatto, ma so che non l'avrei mai fatto io civile europeo. (Ilarità prolungata - Bravo!). Voci. Ai voti! ai voti! Molti deputati. Ai voti! ai voti! La chiusura! PRESIDENTE. Il deputato Plutino ha la parola. LA FARINA. lo aveva domandata la parola. PRESIDENTE. L'avrà dopo; prima è iscritto il deputato Plutino. LA FARINA. Ma è per un fatto personale. D'ONDES-REGGIO. Quanto a me, propoIlgo l'ordine del giorno puro e sem­plice. (No! no! a sinistra - Rumori) PRESIDENTE. Parli il deputato La Farina per un fatto personale; la prego però di volersi tenere strettamente in questo limite, perché altrimenti io sarei costretto a richiamarlo. LA FARINA. Spero di mantenermi da me stesso per non mettere l'onorevole presidente nella necessità di richiamarmivi. PRESIDENTE. L'aveva avvertito appunto per non trovarmi in questa neces- sità. LA FARINA. lo non posso stare sotto l'accusa mossami dall'onorevole O'On­des, quando mi rimproverava di non parlar chiaro. L'onorevole O'Ondes mi conosce da molto tempo, e sa che, se io pecco, pecco del parlare troppo chiaro. Forse qualche volta non arriverò ad esprimere bene il mio pensiero, ma la volontà mia è sempre di parlar chiaro. E per persuadere la Camera che io voglio parlar chiaro, dirò che nessuno di noi potrebbe immaginare che ci possa essere una forza disgiunta dalla giustizia; ché anzi la giustizia è la prima forza dei Governi liberi. Ma io distinguo la giustizia ordinaria, come si esercita nei tempi normali, dal caso delle lotte armate di cui si sta parlando. E questo caso, o signori, esce fuori di tutti i termini, di tutte le previsioni della giustizia (Movimenti diversi e rumori). Bisogna che la Camera si metta ... PRESIDENTE. Ella esce precisamente dal fatto personale. LA FARINA. Essendo stato accusato di non volere l'esercizio della giustizia, debbo dimostrare come questo non sia. PRESIDENTE. Il deputato O'Ondes disse semplicemente che non ha parlato chiaro; ella ha risposto che si... LA FARINA. (Interrompendo) Ma io non confondo la giustizia colla violen­za. lo sono per la stretta osservanza delle leggi. PRESIDENTE. E questo basta. LA FARINA. lo credo che il Governo non può e non deve transigere colla forza bruta, colla ribellione armata che esce in istrada (Movimenti). PRESIDENTE. Parli il deputato Plutino. 277 Voci. No! no! La chiusura! la chiusura! Ai voti! PRESIDENTE. Lo prego però di voler limitare le sue osservazioni ai fatti di Castellammare. PLUTINO. Dirò due sole parole. Voci. Ai voti! ai voti! PLUTINO. lo credo che i soldati che hanno combattuto a Castellammare non potevano far altrimenti che a fucilate rispondere con fucilate. (Bravo!) Cercando di penetrare nella città e volendo salvare la popolazione da quei feroci cannibali, che abbruciavano ed uccidevano pacifici cittadini, hanno dovuto usare le armi e combattere la forza colla forza. La questione, signori, non è questa. È tempo che queste carnificine cessino nelle provincie meridionali; ed io credo che i borbonici prendano ad ogni istante le armi, perché le autorità locali in vari punti incoraggiano i borbonici. (Mormorio). Signori, riflettano a ciò; è un anno che io insisto sulla stessa idea. Se la magistratura l'anno passato fosse stata modificata, i primi iniziatori di una rivolta a quest'ora sarebbero o alla galera o fucilati. I prefetti non fanno il loro dovere, gli agenti di polizia non fanno il loro dovere, ed è un anno (signori, scusate, è doloroso, ma debbo dirlo), è un anno che il Governo, col fatto, incoraggia i borbonici a combattere i liberali. (Movimenti diversi) PRESIDENTE. Prego il deputato Plutino di non fare insinuazioni, e di non lanciare accuse generiche, le quali perciò non possono essere combattute. Voci. La chiusura! la chiusura! PRESIDENTE. Non trovandosi piu alcun oratore iscritto, e d'altra parte non essendovi alcuna proposta, si passerà all'ordine del giorno ... BROFFERIO. Propongo anch'io un ordine del giorno ... PRESIDENTE. Scusi; la discussione è finita. BROFFERIO. lo propongo un ordine del giorno in opposizione a quello puro e semplice. PRESIDENTE. Non si è proposto alcun ordine del giorno. Il deputato Broglio ha posto innanzi l'ordine del giorno puro e semplice sulla proposta d'un ordine del giorno motivato, che supponeva che si sarebbe fatta; ma, dappoiché il deputato D'Ondes-Reggio, che ha fatta l'interpellanza, non ha presentato alcuna proposta, e si accostò anzi all'ordine del giorno puro e semplice, non saprei su che cosa si abbia a deliberare. BROFFERIO. Domando perdono. Questa è tale discussione, che non deve essere sepolta in cotesto modo. lo propongo una soluzione che spero sarà accettata dalla Camera, perché dettata nell'interesse del paese e del Parlamento. Il signor guardasigilli che cosa ha egli detto? Ha detto che non era infor­mato, e non poteva rispondere. Dobbiamo noi dunque deliberare sopra una mancanza di informazioni? PRESIDENTE. Non si prende alcuna deliberazione. BROFFERIO. Mi lasci terminare. È troppo grave l'argomento di cui si tratta, e non è lecito, sopra cosa di tanta importanza, o di non deliberare, o di deliberare in fretta e superficialmente. 278 Il signor ministro di giustizia non può darci alcun ragguaglio sui lamen­tevoli fatti di Castellammare? Ebbene, venga il ministro della guerra, informi la Camera, e la Camera, udite le informazioni, pronunzi. Il signor Paternostro vi consiglia a chiudere un occhio; io invece vi consiglio a spalancarne cento, perché dove si tratta di mantenere incolume la giustizia, fonte suprema di libertà, la nazione ha debito di vegliare con ogni maggior diligenza. Soggiunge il signor Paternostro che ci sono due legalità. Questa sentenza mi ha ricordato ciò che diceva una volta un celebre diplomatico. Diceva quell'eccellenza che nella diplomazia vi sono due verità, una delle quali non era vera; cosi il signor Paternostro vorrebbe per servizio del Governo una legalità illegale. Comodo ripiego per violare la legge. Noi dobbiamo oggi astenerci da pronunziare nel merito, ma non dobbia­mo soffocare la discussione. lo sono inclinato a scusare il soldato che sul campo di battaglia non tenga conto degli articoli del Codice; in cospetto a' nemici che in nome della reazione vogliono assassinare la patria, il soldato non fa l'avvocato. Tuttavolta, quando un disarmato prigioniero è in mano dell'autorità sia civile, sia militare, io voglio che l'autorità rispetti la giustizia. In questo stato di cose, io propongo alla Camera di invitare il ministro della guerra a venire, in un giorno da stabilirsi, a fare una relazione esatta e circostanziata sopra le esecuzioni capitali di Castellammare. Quando la Camera avrà questa relazione, pronunzierà il giudizio suo; ma non pronunziare oggi nemmeno un giudizio incidentale, come quello che io propongo, sarebbe un errore grande, sarebbe far credere che non avessimo a cuore il rispetto delle leggi, né il rispetto del decoro nazionale, né il sentimento dell'altissima missione che la libertà ci ha affidata. BROGLIO. lo non ho proposto l'ordine del giorno per seppellire nessuna mozione, e questa meno che qualunque altra; io anzi ho espressamente dichia­rato che era riservato, come del resto non era bisogno che glielo riservassi io, il diritto all'onorevole D'Ondes, od a qualunque altro deputato, di rinnovare le loro interpellanze in un altro giorno, ogni qual volta si venga a sapere che il signor ministro abbia ricevute le informazioni di cui manca. La mia proposta non aveva dunque per iscopo né di seppellire questioni, né di porre in trascuranza un fatto illegale qualsiasi, né di chiudere gli occhi sulla legalità od altro. Volli semplicemente constatare il fatto che l'onorevole D'On­des non aveva proposto alcun ordine del giorno motivato, e che quindi la questione mi pareva non potesse protrarsi senza far perdere tempo alla Camera. Dappoiché non vi poteva essere un esito pratico e definitivo, io proposi di passare all'ordine del giorno, cioè di procedere innanzi a trattare gli argomenti che sono all'ordine del giorno, per venire a qualche cosa che potesse avere un risultamento efficace. In questo senso ho proposto l'ordine del giorno. PRESIDENTE. Se l'onorevole deputato Brofferio avesse badato alle spiega­zioni da me date ed alla proposta da me fatta, che era di non emettere alcuna deliberazione, egli otteneva il suo scopo, e lo otterrà certo, se acconsente a 279 questa mia proposta; perché, ove la Camera non prenda alcuna deliberazione, rimarrà in piena facoltà de'suoi membri, allorché verrà il ministro della guerra, di interpellarlo su quest'argomento; e sono persuaso che il signor ministro non avrà nessuna difficoltà di dar loro adeguata risposta. Dopo questa, il deputato Brofferio sarà libero d'invocare la deliberazione che crederà. BROFFERIO. Farò passare il mio ordine del giorno al signor presidente. PRESIDENTE. Noto ancora che, se la Camera lo rigettasse, non si potrebbe piu ritornare su questo argomento. BROFFERIO. SO anch'io che ogni deputato ha diritto di interpellare il signor ministro quando a lui pare e piace; sopra di ciò non havvi questione; la questione sta in questo, che la Camera prenda in seria considerazione i fatti di Castellammare come vennero riferiti dal foglio uffiziale, e senza aspettare nuove interpellanze al ministro della guerra, che si faranno chissà quando, ordini ella stessa le informazioni di cui ha d'uopo per essere illuminata, e pronunziare, come gliene corre obbligo, secondo verità e giustizia. LANZAGIOVANNI. lo credo che qui inopportunamente si vogliano invocare i sentimenti di decoro e di dignità della Camera. Questa questione sorse per iniziativa di un deputato della sinistra, il signor deputato D'Ondes-Reggio. Egli adunque chiese spiegazioni sopra fatti avvenuti ultimamente a Castellammare in Sicilia; ma, per quanto io abbia attentamente ascoltato il suo discorso, non ho inteso ch'egli asserisse essere succeduti fatti illegali, fatti incostituzionali; chiese se questi erano succeduti in quelle date condizioni che si allontanassero dal prescritto dello Statuto e delle leggi dello Stato, ma non provò sin qui, anzi non asseri neppure che fatti illegali e incostituzionali fossero effettivamente accaduti. Come vorrà la Camera formarsi un convincimento se queste illegalità siano succedute quando lo stesso interpellante non le ha provate, anzi nemmeno asserite in modo fermo e sicuro? lo credo che la Camera non possa assolutamen­te andare piu in là dell'onorevole interpellante. (Movimenti di approvazione a destra) Se poi è in via di schiarimento che si vogliano questi fatti appurare, io osservo che ogni deputato ha diritto di chiedere questi schiarimenti, quindi rimane libero all'interpellante, quanto a qualsiasi deputato, di ripigliare nuova­mente la questione appena sarà presente quel ministro, che per la sua specialità sia in grado di dare queste informazioni; non vedo adunque nessuna necessità che la Camera prenda preventivamente una deliberazione per fissare un giorno apposito, e per invitare quel tal ministro a dare le chieste spiegazioni. Se l'onorevole D'Ondes avesse addotto delle prove, avesse sino ad un certo punto dimostrata la probabilità che questi fatti illegali fossero avvenuti, io comprenderei che la Camera potesse preoccuparsene vivamente, ed associar­si a lui per chiedere dal ministro della guerra le necessarie spiegazioni; ma sin qui l'onorevole D'Ondes non ha data nessuna prova; l'unica cosa che addusse si è ch'egli ha letto nel giornale uffiziale che nel lamentevole fatto succeduto in Sicilia un certo numero di ribelli fu preso colle armi alla mano e fucilato. Ma basta questo, o signori, per costituire un fatto illegale? Certo non sarà il deputato D'Ondes che vorrà asserirlo. 280 Noi sappiamo pur troppo che nelle lotte di questa natura tante volte la parte la quale giunge ad afferrare alcun nemico non ha piu la libertà d'azione, per poter procedere piu in un modo, che in un altro; e fa un bel dire che, quando si fanno prigionieri di guerra, si debbono consegnare immediatamente all'auto­rità civile perché proceda regolarmente. Ma questo è egli possibile in tutti i casi, tanto piu quando si tratta di fatti di aggressione accaduti per sorpresa, in cui la forza pubblica che sopravviene per reprimerla non si trova sempre in numero sufficiente per poter arrestare e imprigionare, e quando i prigioni possono fuggire da un momento all'altro e rivolgere ancora le loro armi contro di lei? Credete voi che in questi casi, per rispettare quello che voi dite la legalità dei tempi normali, si possa abbandonarli nuovamente col pericolo di vederli ridiventare aggressori? Ma, signori, voi vedete che questo sarebbe un procedere non umano, ma inumano, non savio, ma imprudente, che comprometterebbe la cosa pubblica, e noi stessi, quando succedessero poi tristi avvenimenti a cagione di questa poca previdenza della forza militare, e noi stessi, dico, saremmo i primi a redarguirla. Per conseguenza, prima di poter dichiarare che i fatti succeduti a Castel­lammare sono illegali e incostituzionali, bisogna avere delle prove, bisogna dimostrare che questo fatto si poteva evitare, che non fu consigliato all'autorità militare dalla suprema necessità della salute pubblica, della difesa del paese. Dunque conchiudo che nello stato delle cose non si può assolutamente affermare che s'abbia alcuna prova che siansi commessi questi fatti illegali; ma nello stesso tempo riconosco che si possano desiderare maggiori spiegazioni da chi crede esistervi una qualche presunzione che questi stessi fatti illegali siansi commessi. Ciò può fare l'interpellante, o qualsiasi altro deputato; ma, ripeto, allo stato della vertenza, e, permettetemi una parola tecnica, allo stato della procedura credo non vi siano sufficienti indizi perché la Camera solennemente dichiari l'opinione sua con un voto sopra i fatti annunciati dal deputato D'On­des-Reggio. A lui stesso e ad altri nostri onorevoli colleghi non mancano i me~zi di ottenere in proposito tutte le piu ampie spiegazioni; ma parmi che sarebbe un aggravare troppo la cosa un pregiudicare, direi quasi, la stessa questione, quando si volesse intromettere un voto della Camera, il quale avrebbe questo significato, che cioè le interpellanze saranno mosse a nome della Camera, e non piu da un deputato, al ministro che è specialmente responsabile dei fatti annun­ciati. lo propongo quindi l'ordine del giorno puro e semplice, salva sempre la libertà a qualsiasi deputato di chiedere nuovi schiarimenti a quel ministro che si dichiarerà meglio informato sopra questi fatti. PRESIDENTE. Il deputato D'Ondes ha facoltà di parlare. D'ONDES-REGGIO. Signori, il mio discorso affatto non tendeva, come ha immaginato l'onorevole Lanza, a sapere se fosse vero o no che cinque individui erano stati fucilati; non era questo il mio scopo; io ho ritenuto questi fatti veri perché li ho trovati scritti nel giornale ufficiale. Non è quindi il caso d'insistere nel dire che questi od altri consimili fatti sono veri o no; quello che è fatto è fatto, ed è un male non piu rimediabile; lo scopo che io volevo ottenere, e credo che l'avrò ottenuto, sono franco nelle cose mie, è che in appresso simili ingiu- 281 stizie non avvenissero piu. Non c'è quindi bisogno di fare ordini del giorno per riescire ad una conseguenza pratica; la conseguenza pratica sarà quella, e non chiedo altro. MIGLIETTI, ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare la Camera ad assentire alla proposta fatta dall'onorevole D'Ondes, il quale, avendo mosso l'interpellanza, conosce meglio d'ogni altro quale ne dovesse essere l'effetto. lo ho dovuto dichiarare che non potevo dare schiarimenti riguardo a questi fatti, perché non mai m'avventurerei a dire alla Camera cose delle quali non mi constasse in modo positivo. Ora, finché è incerto in qual modo questi fatti sieno avvenuti, due supposizioni sono possibili: o la fucilazione ha avuto luogo previo un processo spedito si, ma ad ogni modo regolare, ed in questo caso mi pare che nessuno vorrà fare appunti all'autorità militare, la quale avrebbe in questo modo punito rivoltosi presi colle armi alla mano; oppure questa fucilazione ha avuto luogo per solo impeto, e senza che alcun procedimento abbia constatato il reato, ed allora dichiaro che considero questo fatto come illegale. Ma la Camera non dee tanto occuparsi dell'accertamento di questo fatto, quanto di esaminare quale sarà il contegno del Governo quando il fatto sia accertato nel senso dell'illegalità. Voglia dunque la Camera lasciare che il fatto si accerti, che il Governo possa adottare quei provvedimenti che crederà opportuni; e qualora i provve­dimenti adottati non corrispondano all'aspettazione della Camera o di alcuni deputati, sarà il caso allora d'interpellare quel ministro che possa aveme mag­giore responsabilità, e di chiedergli la giustificazione del suo operato. Voci. Ai voti! ai voti! PRESIDENTE. Interrogo la Camera se intenda chiudere la discussione. D'ONDES-REGGIO. Debbo protestare contro un'asserzione del signor mini- stro. Egli ha detto che i militari possono istituire giudizi; credo che non lo possano mai. Mo/te voci. La chiusura! la chiusura! PRESIDENTE. Domando se la chiusura sia appoggiata. (È appoggiata.) La pongo ai voti. (È approvata.) Darò lettura del voto motivato proposto dal deputato Brofferio. BROFFERIO. Chiedo di parlare. Dopo le dichiarazioni fatte dal signor guardasigilli, il quale promette che il Ministero farà le piu accurate investigazio­ni sopra i fatti che avvennero a Castellammare, ritiro il mio ordine del giorno, nella speranza che le promesse saranno religiosamente mantenute. BERTOLAMI. Domando di parlare. PRESIDENTE. SU che cosa? BERTOLAMI. È solo per fare una brevissima protesta contro una parola pronunziata dal deputato D'Ondes Voci. No! La discussione è chiusa. (Rumori) PRESIDENTE. La discussione è chiusa; mi duole d'essere costretto a negarle facoltà di parlare. Ho data la parola al deputato Brofferio per ritirare il suo 282 ordine del giorno, ma a lei o ad altri non la posso dare assolutamente. (Il deputato Bertolami saggi unge alcune parole fra le interruzioni.) Il deputato Lanza aveva anche proposto l'ordine del giorno; ma poiché il deputato Brofferio ha ritirato il suo ... LANZA GIOVANNI. lo ho ottenuto il mio scopo. D'ONDES-REGGIO. Domando la parola per un fatto personale. PRESIDENTE. Non posso darla a lei, come non l'ho data al deputato Berto- lami. D'ONDES-REGGIO. Ma è per un fatto personale. PRESIDENTE. Nemmeno per un fatto personale. Dappoiché la Camera ha pronunziata la chiusura, non posso dar la parola a nessuno. (Bravo!) 283 ALLE ORIGINI DELLA MAFIA Corrispondenza da Alcamo sulle «camorre» locali. (Da «Diritto e Dove­re», Trapani, Il ottobre 1864). Alcamo 24 settembre «1864» Credo non sia in tutta la nostra provincia chi non sappia, come da circa un anno la pubblica sicurezza di questo paese andasse migliorando con crescen­te movimento da aprire una fonte di ristoro agli animi tra vagliati dalle inenar­rabili violenze de' due anni precedenti. Sia che la legge Pica fosse stato un mezzo piu pratico di tutte le filosofie de' dottrinari a rendere meno audace la bassa forza dell'esercito malandrinesco; sia che la lunga e sanguinosa esperienza del passato avesse finalmente indotte le autorità governative a non farsi accalappia­re da' capitani; fatto è che le nostre migliorate condizioni sono state capaci di rialzare lo spirito del paese, ed atteggiarlo in guisa che mentre il proprietario ed il trafficante han potuto attendere discretamente a' loro affari, un nuovo principio di vita pubblica è venuto anche infondendosi nel cuore del cittadino, il quale in quest'anno, per la prima volta, ha osato discutere la infallibilità del nostro Municipio, e tentare di costituire una società di onesti operai e mostrarsi vivo nelle elezioni comunali e provinciali. Senza ingratamente sconoscere questi benefici, oggi però un doloroso fenomeno si presenta alle meditazioni de' miei concittadini. Negli ultimi giorni di agosto mentre si godeva cosi una quiete relativa, tutto a un tratto non so ben dire se sette o otto omicidi vengono consumati; indi si rientra nella stessa quiete di prima. È una specie di meteora che passa, distrugge ciò che incontra e si cela per ricomparire quando meno si aspetta; o meglio un sintomo grave di malattia coperta che ti assale alla sprovvista senza che cure di medico sagace o compenso d'arte vagliano a prevenire. E si che Alcamo è veramente ammalato: ma qual è la cagione, se non unica, almeno principalissima di questo male? E come guarirlo? Ecco due importantissime ricerche a cui dovrebbe esser rivolta l'atten­zione di tutti gli amici dell'ordine molto piu ora che notizie inquietanti e di sinistro augurio ci pervengono sulla insicurezza di altre provincie. 284 l ! T i Tutti costatano che il male sia la camorra; ma nessuno si cura di fame la diagnosi, di segnalarne la causa. Per salire all'origine di questo male bisogna per un momento riportarci ai luttuosi fatti di Castellammare. Fino da quel tempo gli uomini nuovi dovettero ceàere, per motivi che qui non occorre ricordare, agli assalti degli uomini del passato, i quali ben presto invasero il campo e prevalsero: fu una restaurazione, su per giu, ad uso '49. Quindi armeggiare di retrivi e clericali, baldanza di tristi e sbigottimento degli onesti. Quelli che viemmaggiormente si avvantaggiarono di tale incredibile trasfonna­zione furono i manutengoli e i protettori. A niuno è ignoto che costoro anche sotto i Borboni, tolti i nuovi soci di piu recente data, si dilettavano di aver comun ella coi ladri e gli assassini, di mettersi tra essi e il braccio della giustizia, di organizzare le loro imprese e nasconderli quanào perseguitati; di modo che quel governo immorale, prima di promuoverli e affidare nelle loro sperimentate mani la polizia, ad essi rivolgeva le sue dimande per avere consegnato qualche famoso ribaldo, se non avessero voluto essi stessi andare in gattabuia. Torna­rono per ciò al turpe mestiere: e questa volta colla ebrietà della vittoria e col furore di piena conquista. Chi avesse animo si saldo da resistere al racconto dell'atroce tragedia che segui in quei giorni in Alcamo, apra le piu aride statistiche di questo giudicato mandamentale, comunque non contengano la ventesima parte de' delitti allora perpetrati; apra anche quella dell'ultimo periodo da ottobre 1862 ad ottobre 1863: vedrà in questa soli 32 assassinj, 12 omicidi mancati, 17 ferimenti, 3 ribellioni contro la forza pubblica, proclami reazionarj con provocazioni a commettere reati contro la sicurezza dello Stato e del paese; vedrà incendi, devastazioni, morti di uomini pel semplice sospetto d'essersi querelati colla giustizia, oltre i furti, le grassazioni, i ricatti e le infinite componende che in quel tempo lacrimevole non potevano essere denunziati al potere giudiziario di cui era estinta perfino l'apparenza: vedrà insomma che importi tirannide malandri­nesca. A me basti soltanto lo stabilire che come que' tempi violentissimi non trovano riscontro in alcun paese della provincia, casi le cause che li produssero devono essere state estraordinarie ed eccezionali. E per vero, non è forse eccezionale la nostra situazione quando non v'ha paese in cui la turba dei retrivi e de' clericali sia cosi numerosa, audace e impudente? E dov'è poi una combriccola di manutengoli e protettori cosi influente come la nostra, i di cui precedenti sien tali da disgradare quelli de' piu famigerati assassinj? Son queste le cause principali che alimentano la fetentis­sima piaga àella camorra, e che la rendono cancrenosa. La turba soffia diabo­licamente ed apertamente col mantice del discredito; e la combriccola mette legna al fuoco materialmente. Accentuo la parola poiché intendo che tra la causa morale e la materiale la differenza sia grande; anzi io credo che la influenza della prima sarebbe nulla se non fosse una semplice emanazione della seconda, dacché essendo i manutengoli e i protettori, com'è naturale, i piu sfegatati borbonici hanno cosi un punto di contatto per intrecciare le loro oscene danze: ma la causa diretta materiale, replico, è la sola combriccola. Siano di prova le mediazioni da essa interposte tra' tormentati e i tormentatori, le garenzie offerte e gli attestati di buona condotta rilasciati in pro di parecchi camorristi che oggi 285 trovansi condannati a' lavori forzati o a domicilio coatto, e le vigliaccherie dell'anno scorso per non fare arrestare anche i malviventi dalle truppe che da qui passarono. l malandrini pescano nel torbido, è vero, ma essi soli senza l'appoggio e l'eccitamento della celebre combriccola non sarebbero stati capaci di creare quello stato di cose, come non lo furono in tempi un poco piu lontani, e in altri luoghi; molto piu che il contingente regalatocene dal Borbone non è stato per noi né piu poderoso né piu feroce di quello toccato a tutti gli altri comuni; e molto piu ancora che l'indole pacifica del nostro popolo minuto, eminentemente agricolo, non è per nulla acconcio a fare attecchire questa lugubre gramigna cento volte piu di quanto è avvenuto altrove. Ma in quello che sono per dire sia la prova migliore che i manutengoli e i protettori siano la cagione principalissima della insicurezza. Per essi - vedete strano contrasto! - mentre questo disgraziato paese era preda allo scompiglio degli ultimi due anni, si menava una vita d'incanto, s'andava di bene in meglio; di maniera che se taluno ardiva turbar loro il sereno di quella vita gli saltavano al collo con un nuvolo di bestemmie e di maledizioni. Al contrario, mancata l'allegra compagnia de' loro piu fidi guardacorpo, e riacquistata un po' di tranquillità, tutto per essi divenne atonia, s'andò di male in peggio, e comincian­do a gridare allo scandalo, allo arbitrio, finirono - se piu candidi o impudenti non so - per rimpiangere i passati tempi, cioé quelli del 1862 e 1863, insinuando de' turpi paragoni, facendo correre ogni giorno qualche strana notizia che avvilisse e impaurisse gli onesti, e allo stesso scopo spacciando clandestinamen­te elenchi di certi reati non avvenuti mai, o avvenuti per la massima parte in quei due anni o fuori provincia, e per quelli avvenuti in questo mandamento tacendo le circostanze, gli accidenti e per fino le non poche e pubbliche ripara­zioni ottenute. Direbbesi che cotesti eterni nemici dell'umanità a misura che la pubblica sicurezza venisse crescendo di estensione e di vigore, si studiassero di rendersi piu insolenti e furibondi col reo talento di decomporre e distruggere tutto ciò che si è fatto in un anno, di mettere la confusione negli animi appena appena usciti da quella procella di mali, onde cosi raccogliere a man franca le sparse reliquie malandrinesche, congiungerle di nuovo e riandare le orme del terrore lasciatesi dietro. Ma vivaddio! il bisogno della sicurezza assoluta è si universalmente sentito che costringere il governo a darcela ad ogni costo non piu si stima ardimento ma vero e beninteso amore di libertà. Ora è facile immaginare che con tali elementi di disordine saranno sempre presso a poco inevitabili quei colpi di scena di cui siamo stati spettatori negli ultimi giorni di agosto; e la sola cosa a meravigliarsi si è che siano durati cosi poco, e che non abbiano preso quel carattere spaventevole dei passati tempi; imperocché il Governo ha mancato finora di colpire là dove bisognava risolu­tamente colpire. Fortuna per noi che la combriccola sia stata scacciata finalmen­te dal sacro tempio della giustizia, dove ardiva presentarsi con mal camuffato zelo; dacché la sua scandalosa condotta è stato un terribile ma potentissimo modo di convincere le autorità che le buone parole erano una maschera che per lo piu ricopriva i tristi fatti; e che le cerimonie erano quel canto che si suoI dire della Sirena per rodere le ossa di chi le presta orecchio. All'aperta inimicizia di lei si deve il miglioramento della sicurezza piu presto che all'allontanamento 286 ì T di quello sciame di miserabili di cui fummo liberati; non altrimenti che all'aver­la irritata cogli spilli e non colpita mai si deve la esplosione di qualche inaspet­tato e triste avvenimento; sicché veda il Governo come a quest'ora la sicurezza procederebbe con passi piu franchi e risoluti nella via del perfezionamento se invece di menar colpi alle braccia solamente si fosse schiacciata anche la testa. Chi ci assicura intanto che alla prima occasione non saremo da capo, mentre la cancrena è sempre li che minaccia di guadagnarci il cuore? Basta una falsa vittoria del partito retrivo perché si creda opportuna la occasione; basta una recrudescenza di delitti anche in altre provincie; basta qualche pietoso perdono della giustizia dalle maniche larghe. Non c'è accorgimento o forza di autorità che basti; per la cancrena ci vuole il ferro del cerusico. Cosi da un anno si sono arrestati con piu felice successo i commetti tori materiali de' reati, ciocché prova sempre piu quanto sia benefica la inimicizia colla combriccola; ma non si sono curati che gli effetti. Per me io credo piu proficuo lo spedire in galera un paio di manutengoli che distruggere una banda di 20 assassini. Non è la stoffa da briganti che può mancare quando i telai e le macchine lavorano da mane a sera; sono i telai e le macchine che bisogna rompere se si voglia davvero liberare il nostro povero commercio anche dalla stoffa esistente che verrebbe subito consumata; altrimenti non giungeremo mai a nulla. Pensi adunque il Governo, senza tanti complimenti e mezze misure, di togliere sin dalle radici la cancrena della camorra, se desidera che per la gran patria italiana facessimo allegramente tutti i sacrifici cui siam tenuti. 287


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