Pino Ingardia

Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
"Solamente un giorno d'Estate" di Pino Ingardia

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Parte 9


Il rullo del legno era sporco di creta verdognola e Mommo lo girava a colpi regolari di piede, plasmando con le sue mani smaliziate una cannata microscopica.
Quando entrammo si avvertì un tanfo di sudore e di fumo di trinciato. Tossiva maledettamente e mi parlava dell'ulcera.
La bottega era un armamentario caotico di brocche crude, di biscotto da verniciare, di teste e di tele appena accennate, sparse qua e là. Ci campava come un santone perché lì c'erano vent'anni della sua storia di stazzonaro diventato artista con le proprie mani e la propria testa. Riconobbi le riproduzioni della Madonna di Raffaello e gli schizzi a matita sullo sportello dell'armadio vecchio, quando insegnava al nostro gruppo a plasmare i primi olii e a stendere le bozze a matita. In mezzo ai piatti ornamentali e agli schizzi ci trovai il quadro della moglie con la perpetua e i garofani. Era morta tre anni prima.
- Gli spiriti degli antichi me la strangolarono di notte, che erano le tre e mezzo. E dire che otto giorni prima mi era stato dato l'avvertimento. La cosa fatta le era caduta come una stima prima che nascesse, da parte dei parenti della parte terrena, per un antico litigio. Ora cosa vuoi che faccio? Mi volevo risposare ma lo spiritato lo sconsiglia. Ho sposato la figlia grande ma che vuoi, in casa mi rimane tutto da sistemare quasi da solo. Lo sai che ho sognato due notti fa? Quella mia cugina della Sardegna, quella che volevo io prima di conoscere mia moglie. Ti ricordi quando le dedicai il beguine con la fisarmonica? Tempi belli quelli, quando quell'estate venne e qui la sera provavamo l'orchestrina per allegria.
Mommo era dimagrito e i pantaloni gli stavano larghissimi come un claun, con quella faccia mora e colorita ed il naso dantesco sempre tenace.
- Di qui passa mezza Trapani ricca, nei pomeriggi d'estate. Viene a rubare, a fare finta di comprare, qualche volta acquista per non dare troppo all'occhio. Ogni tanto ordinano servizi completi che ci vuole sei mesi a finire, poi manco tornano più, se ne dimenticano i crasti! Ecco perché lavoro solo dietro acconto, per le ordinazioni grosse. La mia classe, che non ha fatto scuola ha fatto quasi tutta fortuna a Milano, Vigevano, Torino; qualcuno ha trovato posto qui. Ma non mi lamento, basta che abbia di che mettere in pentola, e vaffanculo i pensieri e le preoccupazioni. Ogni tanto metto mano nelle serate buone alla tastiera della fisarmonica per provare il carnevale di Venezia e la mazurca variata. Se non fosse per quest'ulcera e il vizio del trinciato sarei a posto.
E riprese lentamente e con regolarità a tossire, mentre io immaginavo file di garzoni scalzi allo stazzone vecchio caricare e sistemare in fila le tegole di creta salata da asciugare al sole, per quattrosoldi alla giornata, come mi aveva spiegato mio padre, che aveva come tanti iniziato l'impatto con il mondo a cinque anni, fra quelle tegole piene di sale e di sudore, alla fornace vecchia.


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