Pino Ingardia



















Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
"Solamente un giorno d'Estate" di Pino Ingardia

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Parte 4


Si conobbero all'Annunziata accompagnati dalle madri, in fila, per baciare le mani alla santa.
Poi Titì qualche giorno dopo si vide arrivare un'ambasciata per quel giovane civile. Uno dei figli di don Peppe, il più piccolo, che col ritorno dalla guerra aveva fatto la pensata di partire per le miniere del Belgio.
- Bene fece - dicevano tutti - e che ci resta qua, spine secche e occhi per piangere?
Don Mommo non ne fu molto entusiasta a vederlo che passeggiava con certi pantaloni gessati e la sigaretta in bocca, ma a sentire che ci sapeva fare acconsentì. Fu quando che si spiegò con le famiglie tempi e dote del matrimonio che a sentire del trasferimento in Francia il vecchio cominciò a gridare.
- È un vile, non ne vuole sapere di seminarmi la terra di Favarotta. Ma che uomo è se non mi dà una mano d'aiuto? Mia figlia è di queste quattro rocche come i miei. In Francia ci può essere oro, ma il mio oro e quello di Titì è qui.
Nino continuò a non sentire e mandò anzi la cristiana di sua madre a persuaderlo, che Titì faceva notte e giorno a spremere lacrime nel suo letto.
- Don Mommo il figlio mio ha fatto altri lavori ed ha in testa la Francia e vostra figlia Titì. Che volete farci? Fermare il destino? Vostra figlia sarà trattata a zucchero e carta come merita.
Un mese dopo, alle prime luci, un corteo nuziale a piedi attraversava il polverone della strada principale e lasciava dopo un'ora la Madrice per festeggiare fra intimi a gelati e bocconcini senza Mommo, chiuso nella sua collera fra i pomidoro di Porticalazzo.
Vendemmiavano ancora quando si sparse la notizia fra la gente dei bagli che avevano approvato la riforma. Dapprincipio la cosa s'allargò d'allegria nel lavoro e i nuovi quotisti raccolsero le pietre dei terreni milottati freschi con armonia. Poi qualcuno mise in giro che la riforma colpiva la cooperativa. I consiglieri interpellati non sapevano rispondere.
Così una sera si fece una riunione con don Pietro, eletto fresco deputato, i dirigenti della Federterra e la cooperativa.
- I proprietari dei feudi che devono avere scorporati gli appezzamenti scelgono a loro piacimento. Chi vuole però dei contadini che hanno terre dei decreti Gullo può acquistarle. Ma le cooperative affittuarie non possono partecipare all'assegnazione.
Si chiesero in molti se Favarotta e le parecchia te prese rientravano nella legge e dal tavolo uno assentì con la testa.
Poi parlò don Pietro:
- Compagni e amici, la riforma in Sicilia fu annacquata dai signori agrari che spadroneggiano alla Regione. Hanno escluso le cooperative e parlano di piccola proprietà contadina. I proprietari vogliono spezzare la unità delle campagne e trasferire nelle loro tasche quel poco di lustro che avete visto alcuni negli anni della guerra con la vendita del grano. Occorre perciò sapere controllare la giusta applicazione della legge, per difendere la cooperativa.
Non comprare un metro di terra che la riforma deve rendere giustizia ai contadini.
- E se scelgono le nostre terre per darle a sorteggio, - si chiesero in molti - chi ci dice che saremo tutelati?
La riunione si sciolse quasi subito, in mezzo al trambusto, e diversi continuarono a porsi domande a gruppi, facendo tardi senza accorgersene.
Qualche giorno dopo i Burgarella fecero sapere di essere disposti a trattare per il prezzo, che insomma per evitare lo scorporo dei terreni della cooperativa quella era la strada.
Se ne parlò a gruppi, lungo le trazzere appena segnate.
- E quanto vogliono?, andava chiedendosi don Mommo.
Quarantamila lire a tumulo venne a sapere dai soprastanti del baglio.
Crispino l'ingegnere, che era uno che si era sempre mantenuto lontano dai discorsi dei consiglieri, quella volta fu invitato a dire la sua e parlò latino.
- C'è la Cassa rurale di don Pietro, una cooperativa come la nostra che ci deve venire incontro. E che serve solo per rovinare quelli che firmano cambiali?
Don Pietro ha un bel dire che non si deve comprare. E certo se lo immaginava che si doveva andare a cadere alla Cassa, sissignori, e con questo?
- Don Pietro dice che è un errore perché la riforma è un diritto da fare valere...
- Riforma? siete pazzi! l'ultima volta la fecero i bolscevichi e le terre furono distribuite coi fucili in mano. La vera riforma si stava facendo nel '22, se quel disgraziato di Turati capiva lo svampo di quei mesi.
Erano i morti quando si sparse la notizia dell'arrivo dei tecnici di Palermo al feudo e della scelta del terreno, che copriva tutti i lotti della cooperativa, pure i vigneti appena piantati, senza averne ancora tastato il frutto. Cercarono don Pietro per giorno per trovarlo. Andarono alla Federterra per fermare le misurazioni senza trovare ascolto. Poi si assieparono dentro il municipio, ad aspettare senza capire.
Quando don Pietro venne a Roma arrivò coi moduli e curò la presentazione delle domande seminando tranquillità senza risultati. Poi un giorno d'inverno ci fu in pazza l'assegnazione a sorteggio, fra trambusti e scatti d'ira.
«...Nel mio paese vi furono 900 domande per ottenere il terreno delle quali ve ne furono 261 approvate. Di questi richiedenti soltanto 31 hanno avuto il terreno. E voi pensate che tutto questo rappresenti qualcosa di buono? I contadini del mio paese erano associati nella cooperativa e avevano due feudi in affitto... oggi con l'assegnazione in atto più di 350 famiglie che erano in quei feudi si trovano senza terra e disoccupate, senza indennizzo delle migliorie... ».
Queste parole accorate don Pietro gridò inascoltato, tra scanni vacanti e presenze sonnecchio se un giorno d'ottobre a Palazzo Madama, poi come di consueto uscì a mezzogiorno, prese la stradina fresca dirigendosi con la minuta della spesa, entrando dal pizzicagnolo. Con i pacchi di mortadella ed il pane si diresse in pensione per appuntarsi nel diario gli spicci rimastigli in tasca, pensando ai fischi, alle proteste e interruzioni dell'ultimo comizio domenicale.
A qualche mese dalla partenza di Nino e Titì, i più giovani legavano valigie di cartone e pacchi, maledicendo il vecchio e i sudori della Favarotta, alla volta del continente, dopo averne conosciuto il mondo di favola in occasione del servizio di leva.


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