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 BUSSOLA: Trapani Nostra - Libri - Giuseppe Vultaggio

Nun chiamatimi... Pueta - di Giuseppe Vultaggio

BREVE NOTA SULLA LINGUA SICILIANA


NUN CHIAMATIMI "PUETA"

In un afoso pomeriggio di luglio di quest'anno ricevetti la visita, peraltro assai gradita, del mio amico poeta Giuseppe Vultaggio il quale visibilmente emozionato, il suo volto sprizzava entusiasmo, mi disse: "Ti ho portato la "bozza" del mio secondo libro di poesie siciliane intitolato "NUN CHIAMATIMI... PUETA" che intendo pubblicare entro dicembre 2005.
La presentazione l'ho affidata al nostro comune amico Alberto Criscenti, la prefazione me la sta preparando il prof. Giuseppe Ingardia, mentre da te, come si evince dalla copertina, desidero una breve nota sulla lingua siciliana".
C'era tanto candore nella sua voce e nelle sue espressioni e mi parve sinceramente convinto d'avermi affidato un compito che mi è congeniale oltreché gradito.
Non si sbagliava affatto, infatti accettai subito e volentieri perchè trovai l'argomento abbastanza interessante e meritevole della mia attenzione e della mia disponibilità.
Ii mio amico Vultaggio, però, non immagina nemmeno lontanamente che la semplice espressione "lingua siciliana" è sufficiente, da sola, a suscitare un vespaio di polemiche. Sì, perchè per alcuni "benpensanti" la "lingua" siciliana non esiste! È solo il frutto della fantasia di pochi nostalgici insensati cultori di un sogno utopico, insomma una pura astrazione!
Alcuni esperti di linguistica e di dialettologia, infatti, si scandalizzano quando sentono parlare di "lingua" siciliana, e ci tengono a puntualizzare che si tratta di un termine improprio, un paradosso che va evitato perchè crea ulteriore caos nell'intricato universo linguistico siciliano, e ignorano di proposito tutti coloro che, incautamente, incappano in tale arbitrio.
Per fortuna ci sono persone, altrettanto esperte, che la pensano diversamente e lungi dall'accettare le loro argomentazioni, tentano in tutti i modi di dimostrare la tesi opposta.
Si sono organizzati, a tal uopo, appositi "Convegni Regionali" in diverse città siciliane come Valverde, Catania, Messina, Barcellona Pozzo di Gotto, Modica, Ragusa, Palermo, Trapani ecc., dove si sono tenuti accesissimi dibattiti sulla "Questione della lingua siciliana" (personalmente ho partecipato più volte a tali convegni nel corso dell'ultimo ventennio del secolo scorso), però, spesso, è stato un discorso tra sordi e non si è riusciti a cavar un ragno dal buco!...
Ma il siciliano è una lingua o un dialetto?
C'è chi afferma con spirito squisitamente patriottico (l'illusione del sogno separatista a quanto pare non si è spenta del tutto) che la "nostra" vera lingua, strumento ed espressione della nostra civiltà multimillenaria, è il siciliano... Lingua, non dialetto! Qualche altro afferma con atteggiamento nostalgico che il siciliano è una vera lingua, anzi è stata la prima lingua letteraria italiana da cui prese linfa ed avvio la lingua toscana che successivamente, per merito di grandi scrittori e poeti toscani, mi sembra superfluo citare i loro nomi tanto sono noti, sarà accettata e quindi man mano parlata, scritta, studiata e migliorata sempre più dai numerosi scrittori dello "stivale" europeo, sino a divenire, con l'unità d'Italia, la lingua ufficiale italiana. Nel contempo, il siciliano e tutti gli altri idiomi parlati e scritti dalle genti italiche, divennero dei dialetti.
E non è tutto. Alcuni studiosi di linguistica tengono a precisare che in Sicilia non esiste e non si parla un solo dialetto, ma un numero imprecisato di dialetti e sotto dialetti diversi l'uno dall'altro a seconda dell'area geografica d'appartenenza, i quali con diversità d'accenti e di vocaboli, che mutano da quartiere a quartiere della stessa città, da città a città della stessa provincia oltrechè da provincia a provincia, evidenziano inequivocabilmente la propria identità. Si tratta di caratteristiche originalissime proprie delle parlate locali che vanno rispettate e conservate nel tempo gelosamente, ed aggiungono che scimmiottare il dialetto di città vicine o, addirittura, di altre province è cosa estremamente ridicola ed abominevole!
Si può parlare quindi di dialetto palermitano, di dialetto catanese, di dialetto ragusano, di dialetto ramacchese, di dialetto trapanese, di dialetto alcamese ecc., ma non di dialetto siciliano perchè, come già detto, non esiste in Sicilia un 'unica espressione linguistica.
Penso che la verità, come accade spesso, sta a metà strada tra le due tesi, e sarebbe meglio confrontarle e contemperarle serenamente invece che metterle inutilmente in opposizione; e sarebbe altresì cosa buona e giusta farlo senza tanti isterismi e senza tante polemiche; quando si parla di queste cose occorre bandire certi egoismi e certi stupidi campanilismi.
Poco importa che il siciliano, ai giorni nostri, venga definito lingua, dialetto o vernacolo, ritengo che sia più importante constatare che dopo quasi quattro millenni l'idioma siculo sia ancora vivo e vegeto sulla bocca dei siciliani...
Ad onor del vero, non di tutti i siciliani!. .. Alcuni, e non sono pochi, specialmente quelli che si sentono arrivati, i cosiddetti "pirsuni fini" o "pirsuni allittrati", piuttosto che esser fieri della loro madrelingua la ignorano, non la parlano, non la leggono, non la scrivono, e quasi quasi si vergognano di sentirla pronunciare dalla bocca dei loro figli, e li rimproverano dicendo loro: "Smettetela di esprimervi in siciliano, parlate bene!...", come se parlar siciliano equivalesse a parlar male, come se parlar siciliano fosse sinonimo di incultura, di declassamento sociale, di plebeismo o, ancor peggio, di cafoneria!... Incultura, semmai, è il non conoscere la propria lingua oltrechè la storia e le tradizioni della propria stirpe e della propria terra d'origine.
Se si vuole privare un popolo della propria identità e della propria cultura per cancellarlo dalla storia, cioè per annullarlo in quanto, appunto, popolo, bisogna innanzi tutto annullarne la lingua.
Con i Siculi ci hanno provato, a suo tempo e ciascuno con i propri metodi, prima i Greci e poi via via i Romani, i Bizantini e gli Arabi; ma con poca fortuna perchè il popolo siculo perdette sì, e più volte, la propria libertà (che tentò sempre di riconquistare a prezzo di sanguinosi sommovimenti popolari e vere e proprie rivoluzioni, famose quella del V sec. a. C. ad opera di Ducezio e quella del Vespro, avvenuta in quel XIII secolo mentre in Europa proliferavano le discordie comunali e le guerre civili), ma non rinunciò mai alla propria lingua, la quale, nel corso dei secoli, è stata sì influenzata e arricchita dalle lingue e dalle culture dei vari colonizzatori, ma mai stravolta né mai assorbita completamente.
Sicuramente sotto il profilo linguistico la Sicilia non fu mai né tutta greca né tutta latina, né tutta araba. Dai numerosi "innesti" tra le lingue "di fora" e le realtà linguistiche indigene delle diverse località dell'Isola, nacquero non poche differenze fonetiche-lessicali che, purtroppo, ancor oggi sono riscontrabilissimi, come si è già detto, non solo da provincia a provincia, ma anche da città a città della stessa provincia a volte vicinissime tra loro, e spesso finanche da quartiere a quartiere della stessa città. Detto ciò, ritengo esagerata la tesi di quanti affermano con arrogante presunzione che in Sicilia convivono una miriade di dialetti locali diversi l'uno dall'altro.
Mi dispiace contraddire le tesi di tanti pur bravi professoroni, ma a mio modestissimo parere, le cose non stanno così. Tolte le isole linguistiche di Aidone, Nicosia, Piazza Armerina, San Fratello e Sperlinga, che ancora conservano il loro dialetto galloitalico; e di Bronte e di Randazzo (che conservano tracce rilevanti di linguaggio settentrionale dovuto alle notevoli immigrazioni di intere famiglie, di coloni e di soldati mercenari al seguito di Prìncipi feudatari del nord nel periodo normanno-svevo) e di altre piccole isole linguistiche formatesi in Sicilia intorno al XV sec. quando intere famiglie di albanesi abbandonarono la loro patria invasa dai turchi. Si tratta di Biancavilla (CT), nella parte orientale della Sicilia e di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Contessa Entellina e Mezzojuso nella parte occidentale. E tolte anche alcune piccole peculiarità, nonchè le non poche differenze fonetiche locali, tipiche delle lingue non ufficiali, mi sento di poter affermare che nell'isola, sostanzialmente, si parla un dialetto pressoché unitario: il siciliano! Tant'è vero che i siciliani delle diverse province si capiscono benissimo quando parlano tra loro e non hanno assolutamente bisogno di ricorrere all'ausilio di interpreti. Nessun problema, dunque, per quanto riguarda la lingua parlata. Il discorso cambia, invece, quando dalla fase orale si passa a quella scritta.
A parte gli addetti ai lavori, ai giorni nostri, sono pochissimi i siciliani che sanno leggere e scrivere il dialetto siciliano; ed è stato sempre così perchè, da sempre, il siciliano ha recitato la parte di lingua prevalentemente parlata e, come adesso, quasi esclusivamente dal popolino. Gli altri, i più ambienti, hanno parlato e scritto le lingue ufficiali del momento: prima il greco e poi via via il latino, l'arabo, il toscano e, dall'unità d'Italia, la nostra bella, dolce ed espressiva lingua nazionale: l'italiano.
La lingua del clero, invece, fino a qualche decennio fa è stata il latino, tuttora in uso per speciali cerimonie liturgiche.
Ma come si scrive il siciliano? ... E qui casca l'asino! ... Si dovrebbe scrivere esattamente come tutte le altre lingue del mondo cioè, attenendosi alle regole della grammatica con un'attenzione particolare all'ortografia. Trattandosi, però, di una lingua non ufficiale e, di conseguenza, in assenza di norme ortografiche comuni, alcuni scrittori dialettali (non mi sento di fare di tutta l'erba un solo fascio) si sentono autorizzati, alcuni per ignoranza, altri perchè, essendo dotti in italiano, credono di poter scrivere il siciliano così come viene viene, tanto nessuno potrà mai dirgli niente perchè là dove mancano le regole hanno tutti ragione ed eventualmente tutti torto. Costoro, senz'alcun pudore storpiano, stravolgono e bistrattano a loro piacimento il nostro nobile dialetto inserendo a casaccio raddoppiamenti consonantici, spesso non necessari, sia all'inizio che nel corpo delle parole, inserendo "ad muzzum" una miriade di segni diacritici nel posto sbagliato e, allo stesso modo, accentando le vocali sbagliate, distribuendo apostrofi e altre diavolerie in ogni dove, facendo somigliare il nostro malcapitato dialetto, così malamente alterato nella grafia, ad una lingua ostrogota.
A tal proposito così si esprime Giuseppe Gulino professore associato di dialettologia siciliana alla Facoltà di Lettere dell'Università di Catania: "I poeti ancor oggi si dibattono tra le pastoie di una grafia insufficiente e incoerente..." ed ancora: "Sarebbe necessario, perciò, sensibilizzare i poeti affinché affrontino con particolare impegno i problemi ortografici e cerchino di usare un sistema di segni coerente, nel quale ogni grafema, o gruppo di graferni, indichi sempre lo stesso fonema".
E Salvatore C. Trovato professore di Geografia linguistica alla Facoltà di Lettere dell'Università di Catania: "L'uso di una buona grammatica - scientifica e aggiornata, ma anche assai chiara che faccia il panorama della situazione linguistica della Sicilia darebbe consapevolezza scientifica alle scelte del poeta. Egli, infatti, potrebbe continuamente commisurare le sue scelte soggettive con la forma della lingua della comunicazione e, con piena consapevolezza, aderire a quella norma o trasgredirla. Per quanto riguarda l'ortografia, devo dire che è necessario e urgente che i poeti adottino un unico sistema ortografico, scientifico anche questo e razionale, mediante il quale trascrivere con serietà una lingua fino ad ora tanto bistrattata dai poeti, anche dai migliori. Un unico sistema ortografico non significa un'unica lingua (Koinè), ma un modo corretto di trascrivere parole e suoni del siciliano nelle sue non poche varietà".
Ma qual è il criterio di trascrizione del siciliano?
Due sono i criteri di trascrizione del siciliano: quello etimologico e quello fonetico. Si è usato il primo dalle origini della scrittura in dialetto siciliano, intorno al XIII secolo, sino alla seconda metà del XIX secolo, dopo c'è stata l'avventura del fonografismo durata per circa un ventennio (1890/1910) dopo di che si è tornati al criterio etimologico, anche se, di tanto in tanto si osservano isolati rigurgiti di fonografismo qua e là in Sicilia.
Dei due criteri di trascrizione del siciliano quale scegliere?
La scelta non può che essere soggettiva, ma va fatta dopo aver conosciuto pregi e difetti di entrambi i criteri di trascrizione. Si può dire, comunque, che l'uno e l'altro offrono sufficienti garanzie di coerenza... Tutto dipende dall'abilità dello scrivente.
Ma chi sa scrivere il siciliano?
Tutti e nessuno!... D'altronde è risaputo che "a tempu di sdilluviu, tutti li strunza nàtanu!".
A questo punto, caro amico Vultaggio, spero ti sarai reso conto di come e quanto sia stato lungo e difficile il cammino di questo nostro amato dialetto. E non pensare che t'abbia detto tutto; quello che t'ho illustrato è solo qualche indizio, molti altri aspetti della questione della lingua siciliana sono ancora tutti da spiegare. Ma chi parla e chi legge il siciliano?
I parlanti in dialetto, ai giorni nostri, sono diminuiti e non di poco rispetto al passato per una lunga serie di circostanze del tutto casuali; tranne, infatti, poche eccezioni, sono da addebitare all'evolversi della società.
Basta considerare che la scuola, dall'asilo all'università, la stampa, la radio e la televisione, negl'ultimi 50 anni hanno omologato il paese livellando usi, costumi, desideri, aspettative e, soprattutto, la lingua degli italiani, siciliani compresi.
Debellato l'analfabetismo, nell'era del computer, sono pochi coloro che si esprimono in dialetto e, a parte gli addetti ai lavori e pochi appassionati vecchi dialettofoni, sono pochissimi i siciliani che leggono opere in dialetto.
Ecco perchè i libri di poesia, ma anche di prosa, in dialetto siciliano rimangono invenduti nelle varie librerie dell'isola.
Ecco perchè molti scrittori siciliani preferiscono pubblicare le loro opere in italiano.
Questa, caro amico Vultaggio, è la situazione in cui versa la nostra bella e amata lingua siciliana.
I ragazzi allettati dalle fantastiche prerogative che offre la moderna tecnologia e per niente preoccupati di sapere poco e nulla di siciliano, chattano allegramente con i loro coetanei inglesi e americani e non pensano neanche lontanamente allo sconosciuto dialetto siciliano in pericolo di estinzione.
I più grandi presi dal ritmo frenetico dei tempi moderni piuttosto che svagarsi leggendo un buon libro di poesia o di prosa dialettali preferiscono andare a ballare o vedere un bel film o restare a casa davanti alla tv.
Solo quei pochi anziani, i nonni nati nel periodo post-bellico, portatori sani delle antiche tradizioni e del nostro armonioso dialetto coi suoi dolcissimi suoni si interessano al siciliano e, di tanto in tanto, comprano un bel libro di poesie in dialetto e se lo gustano di santa ragione.
A loro spetta il compito di parlare il siciliano e di farlo ascoltare ai loro figli e ai loro nipoti, a quest'ultimi, invece, quello di perpetuarlo nel tempo e di fare in modo che non si estingua.
Ecco perchè sono felice tutte le volte che vengo a sapere di una nuova pubblicazione in dialetto siciliano, ed ecco perchè mi congratulo col mio amico Vultaggio ed auguro a lui e al suo "NUN CHIAMATIMI... PUETA" un brillante successo.
Termino questa mia breve nota sulla lingua siciliana facendo un appello a tutti coloro che poseranno gli occhi sulle pagine di questo libro: "Abbiate cura del nostro antico e prezioso dialetto, non lasciatelo morire; parlatelo, leggetelo, provate anche a scriverlo e non dimenticate mai di inculcare nel cuore e nella mente degli altri siciliani l'amore e l'interesse per la lingua dei nostri padri e non dimenticate, altresì, che prima di sentirci europei, prima di definirci italiani, dobbiamo avere l'orgoglio di essere siciliani !

Vito Lumia
Poeta - Studioso

pagina a cura di    Gigante Lorenzo Maurizio    per Giuseppe Vultaggio

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