Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
Le Bionde Messi nei versi di Vito Lumia:

Un Pueta - Paladinu da ascoltare

di Giuseppe Ingardia


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Terza parte - Lavori in itinere
Una Grammatica Siciliana cominciata 40 anni fa:



Furmazioni di lu discursu

Pi palisari un discursu mittemu nzemi, sistimannuli secunnu un certu ordini, qualcuna di li tanti migghiara di palori di cui si cumponi na lingua. Puru la lingua siciliana è cumposta di diversi migghiara di palori (chiù di centumila), ma anchi si sunnu tanti, si spàrtunu sulamenti (comu la lingua ’taliana) in novi parti, ditti «li novi parti di lu discursu», e sunnu...
Ed un vocabolario siciliano già a buon punto.

a. s.f. La a è la prima lettera dell’alfabeto e delle vocali: a. || E’ la più aperta delle vocali.|| Di l’a fina a la z: dall’a alla zeta, ossia dal principio alla fine.|| Nun diri né a né ba, stai zitto, non dire nulla.|| Sta per l’accusativo, p.e. Iu amu a Diu, invece di Io amo Dio.|| Spesso la si aggiunge ai verbi, i quali, allora, raddoppiano la prima consonante, p.e. da Ricurdari diventa Arricurdari, da Radicari diventa Arradicari, da Rinèsciri diventa Arrinèsciri. Altre volte, invece, la si toglie loro d’avanti, come da Abballari si fa Ballari e da Abbajari si fa Bajari.

a. art. In alcune parti della Sicilia, specialmente nel Palermitano, viene usata al posto dell’articolo determinati- vo singolare femminile la, p.e. ’a strata al posto di la strata, ’a casa al posto di la casa.
a. pron. In molte parti della Sicilia viene usata al posto del pronome-complemento singolare femminile la, p.e. ’a chiamai al posto di la chiamai, ’a salutai al posto di la salutai, ’a luna nova al posto di la luna nuova.

a. prep. sempl. a (lat. ad, verso, presso). Esprime un rapporto di moto a luogo: jiri a Mazara: andare a Mazara; anche fig.: cuntari di unu a centu: contare da uno a cento; di stato in luogo: abitari a Trapani: abitare a Trapani.|| Introduce il compl. di termine: dati a Bastianu chiddu chi ci spetta: date a Sebastiano quello che gli spetta.|| Indica scopo o vantaggio: jucari pi la propria squatra: giocare per la propria squadra; di modo o maniera: camina a stentu: cammina a stento; a vuluni o a buluni: presto, a volo; misura, prezzo o peso: vinniri a metru quatratu, accattari a deci euri lu chilu: vendere a metro quadrato, Comprare a dieci euro al chilo.|| Esprime un valore distributivo: travagghia pi centu euri a lu jornu: lavora per cento euro al giorno; a dui a dui: a due a due; a grammu a grammu: a grammo a grammo.|| Introduce il compl. di mezzo: jucari a li carti: giocare a carte; di causa: chianci sulu a pinzaricci: piange solo a pensarci.|| Di tempo: a menzujornu: a mezzogiorno.|| Di forma o foggia: occhi a pampinedda o a banidduzza: occhi socchiusi, molli, dolci, affettuosi.|| Contro, presso, verso: a suli e sirenu: cioè esposto al sole e alla umidità della notte; a tramontana; a la marina: alla marina; a lu straventu: allo scoperto, all’aria aperta.|| Con l’idea di compagnia: jiri a fimmini: andare a donne.|| Introduce prep. con l’infinito, specialmente finali: mannari a pigghiari: mandare a prendere.|| Altri usi: pigghiari a lignati: prendere a botte ecc.|| Modi avverbiali: a tempu e locu: a tempo e luogo; a so tempu: a suo tempo; a pedi: a piedi; a cavaddu: a cavallo; a righera: in fila (sp. Ringhera: fila). In qualche parte della Sicilia , particolarmente nel Palermitano, diventa o, p.e. parra o patruni e cuntami zoccu ti dici: parla col padrone e raccontami ciò che ti dice; jiri o stadiu: andare allo stadio; jiri o spitali: andare all’ospedale.
- gramm. Davanti a parola che inzia con vocale a (raramente con altre vocali) similmente all’italiano, assume per eufonia la forma ad, p.e. ad Alcamu, ad arti, ad essiri: ad Alcamo, ad arte, ad essere.|| Davanti alle forme dell’articolo determinativo non si fonde con esse, così come accade nell’italiano per formare le preposizioni articolate, tuttavia per formare quest’ultime la prep. sempl. a si fa seguire dagli articoli determinativi, p.e. a lu = allo, al; a la = alla; a li = ai, agli, alle.||

abacà. s. f. t.bot. (sp. abaca). Abacà, banano delle isole Filippine dalle cui foglie si ricava una materia tessile con la quale viene fabbricata la famosa canapa di Manila.

abati. s. m. (O. Aramaica, abba: padre). Superiore di un monastero o di una badia; Padre Abate: abate.| Prov. Patri Abati cu li quasetti spunnati: Padre Abate con le calze forate.

abbabbalucchiri. v. intr. Diventare “babbu” ossia istupidire; intontire; rimbecillire; ribambire.

sin. Abbabbaniri; abbabbiri; allallari; allucchiri; mpasimari; ntuntariri; rimbambiri; abbabbasuniri.

abbabaluccutu. p. pass. di abbabbalucchiri || istupidito; intontito; rimbecillito; rimbambito.

sin. Abbabbutu; allallatu; alluccutu; mpasimatu; ntuntarutu; rimbambitu; abbabbasunatu.

abbabbaluciari. v. intr. (da babbaluci). Procedere con esagerata lentezza, similmente alla chiocciola.|| Raccontar cose straordinarie di se, vantarsi in modo esagerato con le bave alla bocca.

abbabbaluciatu. p. pass. v. abbabbaluciari. Rinchiuso nel proprio guscio, in se stesso.|| Uomo poco incline a socializzare.|| Rimminchionito.

abbabbaluciarisi. v. rifl. Rimminchionirsi.|| Rinchiudersi nel proprio guscio, in se stesso, schivando ogni pericolo, ogni contatto col mondo esterno.

abbabbamentu. s.m. Azione ed effetto dell’abbabbiri: istupidimento.

abbabbaniri. vedi abbabbalucchiri.

abbabbasunatu. agg. e s.m. Sciocco: babbaleo| babbeo| babbano| balordu| alloccu| sempliciottu.

abbabbiari. vedi babbiari.

abbabbiri. v. intr. Diventare “babbu” cioè istupidire, diventar stupido.| Empirsi di stupore: stupire.| Meravigliare: me niputi è un veru zuccareddu, avi un modu di fari ca mi fa abbabbiri.

abbabbirisi. v. intr. Pron. Stupirsi; meravigliarsi; sorprendersi.

abbabbutu. agg. e p. pass. v. abbabbiri. Istupidito; intontito.|| Stupido; meravigliato; sorpreso; sbalordito.

sin. Ntamatu; allallatu; amminchialutu; alluccutu; rimbambitu; allufiatu; maravigghiatu.

abbacamentu. s.m. Azione ed effetto dell’abbacari: abbacamento.

abbacari. v. intr. (gr. Aßaxco: abakeo; ho quiete, sono calmo). Calmare; scemare; placare; diminuire di quantità o d’intensità || abbonacciare: chiuvìu e lu ventu abbacau tanticchia: è piovuto e il vento s’è calamto un po’.|| Da àbbacu: far conti o calcoli.|| Fantasticare senza alcun proposito.

sin. Abbunazzari; cuitari; alliggiriri; ammanziri; calmari; calari; anniciuliri; addibuliri.

abbacateddu. agg. dim. Quasi abbacato, quasi calmo.

abbacatu. p.p.v. abbacari e agg. abbacato; calmato; abbonacciato; scemato; diminuito; indebolito; calato; placato.

sin. Addibbulutu; calamtu; abbunazzatu; calatu; cuitatu.

abbaccalaratu. agg. Malvestito; malmesso; sciatto; trascurato nel parlare, nello scrivere, nei contatti umani, nel lavoro.|| Moscio; frollo.

sin. Maluvistutu; malumisu; trascuratu; allufiatu; scarcagnatu; putruni; macaruru; musciu; sgrammittatu; lagnusu; allaccaratu; moddu; accafunatu; amminchiatu o amminchialutu.

abbachiari. v.a. Contare o calcolare con l’ausilio dell’àbaco.|| Osservare, con occhi indagatori, molto attenta- mente e minuziosamente qualcuno o qualcosa.|| nel gioco delle carte, specialmente a Tressette o a Poker, quel modo caratteristico di guardare una alla volta, lentissimamente, stropicciandole l’una all’altra tante volte prima di scoprirle del tutto.|| Succhiellare.|| Indugiare.|| Temporeggiare.

sin. Cunnucìrisi; annacàrisi; mutriàrisi; mèttisi a pani e tumazzu: fissiàrisi.

abbachiatu. p.p. v. abbachi ari. Succhiellato.|| Osservato attentamente, spiato.

àbbacu. s.m. (lat. abacus) [pl. àbbachi]. Antico attrezzo di forma rettangolare con scannellature parallele e bottoni mobili che, un tempo, servivano per far conti. Un attrezzo simile, ma più moderno, oggi vien detto pallottoliere.|| T. arch. Tavoletta quadrata che corona il capitello e regge l’architrave.

abbàcu. s.m. atmosfera di silenzio e di pace: calma; requie; quiete; riposo; tranquillità; distensione; rassegnazione.

Due lavori frutto di anni ed anni di grande applicazione… sul campo, contatti e scambi: di ben altra pasta di quanto si vede in giro.
“Mi inchino soltanto all’Opera in 6 volumi, realizzata da Tropea e Piccitto. L’ho consultata - ammette Lumia - ma anch’essa non insegna a scrivere. Dice solo delle varianti nel parlato delle nostre Città. ma io mando avanti dal 1988 (con “Vuci di Sicilia” su Tele Sud) il mio obiettivo mirato alla lingua scritta. In Sicilia la nostra lingua soffre di ‘diglossia’. Si scrive in un modo e si pronuncia in un altro. Proprio come gli inglesi. Occorre studiare per capire che bisogna scrivere tutti allo stesso modo, anche se poi leggiamo e parliamo ognuno nel nostro modo legato al ‘parlato’ delle nostre origini territoriali!”



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