Dopo l'emanazione dell'Ordinamento Penitenziario (1975) le rivendicazioni dei detenuti diventarono ogni giorno più insistenti. Ci furono rivolte dappertutto. In particolare le proteste che esplosero nelle carceri durante l'estate del 1976 furono diverse dalle precedenti forme di protesta: le rivendicazioni, infatti, erano legittimate dalla mancata attuazione delle riforme contenute nell'Ordinamento Penitenziario entrato già in vigore da un anno. Le proteste, quindi, si caricarono anche di un significato politico. Seguirono gravi episodi di violenza contro e fra i detenuti, nonché epiche evasioni di massa.
Anche gli agenti di custodia, stanchi e abbrutiti da turni di servizio estenuanti, da enormi carichi di lavoro, stanchi dal correre giornalmente gravissimi rischi, uscirono allo scoperto con proteste e rivendicazioni.
La situazione carceraria, in quegli anni, si era fatta incandescente. Il 13 gennaio 1977 a seguito di ulteriori gravissimi fatti di sangue, nonché evasioni, fu proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri - Giulio Andreotti - l'applicazione in tutte le carceri dell'art.90 dell'Ordinamento Penitenziario, cioè la sospensione della riforma e quindi di tutti i diritti da essa riconosciti ai detenuti.
Nel maggio 1977, dopo la discussione sull'ordine pubblico avvenuta tra le forze politiche, il governo predispose un importante decreto interministeriale intitolato " Per il coordinamento dei servizi di sicurezza esterna degli istituti penitenziari", in forza del quale venne attribuito al Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa il potere di coordinamento per la sicurezza interna ed esterna degli istituti penitenziari. Lo stesso giorno della pubblicazione del decreto, il Ministro di Grazia e Giustizia Bonifacio, diramò una circolare rivolta ai direttori dei penitenziari ove "si raccomandava la più ampia collaborazione con il Generale Dalla Chiesa, agevolandone i compiti, specie fornendo ogni necessaria informazione circa la sicurezza, l'ordine e la disciplina all'interno degli istituti".
L'obiettivo del Generale Dalla Chiesa era quello di individuare le carceri più sicure ove destinare i detenuti ritenuti più pericolosi.
Nel frattempo, a Favignana comincia a diffondersi la notizia di un probabile potenziamento del carcere. A confermare le voci fu la visita del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che giunse sull'isola in elicottero, fece una ricognizione, parlò con il direttore del carcere e decise che la Casa di Reclusione di Favignana sarebbe diventata una delle cinque "prigioni fortezza" d'Italia.
Con Decreto Interministeriale del 4 maggio 1977, Favignana entra a far parte, insieme a Cuneo, Fossombrone, Asinara e Trani, delle "Carceri Speciali"1.
Castel San Giacomo diventa così, un "supercarcere" e nella sua breve carriera di superfortezza ospiterà terroristi di ogni specie e fior di delinquenti che si erano ricavati posti di rilievo nel panorama della criminalità italiana.2
Ma, alla prima protesta di un gruppo di detenuti, piuttosto che tornare indietro e rinunciare al progetto della superfortezza, il Generale Dalla Chiesa se la prende con il direttore del carcere, dell'epoca, Giuseppe Mulè, accusato di mancanza di omogeneità nell'applicazione delle norme interne e lo fa trasferire in Piemonte.
Ad incrinare la leggendaria invulnerabilità del supercarcere provvide un clamoroso episodio accaduto il 9 novembre 1977, che farà finire l'isola sulle prime pagine dei giornali, con titoli a caratteri cubitali: "Superfortezza espugnata; in 3 evadono da Favignana".
Ma vediamo come si svolsero i fatti. A conclusione dell'ora d'aria, nel pomeriggio del 9 novembre 1977, undici detenuti aderenti a movimenti di estrema sinistra, si rifiutano di entrare nelle celle e vogliono parlare con il giudice di sorveglianza di Trapani, dr. Vincenzo Marino. (…) Quando il giudice arriva a Favignana, la situazione sembra sotto controllo. I detenuti prospettano tutti quei problemi che comporta una sede disagiata qual è l'isola. Ma, dopo pochi minuti la situazione precipita: comunicano che tre dei loro compagni sono fuggiti, ed esattamente: LUCIANO DORIGO (di Venezia, uno dei presunti rapitori del giovane torinese Tony Carello, figlio dell'industriale che fabbrica accessori per auto); OSCAR SORCI (di Torino, precedenti per associazione per delinquere, rapina; MARCELLO DE LAURENTIS (di Napoli, l'unico appartenente ai N.A.P. - Nuclei Armati Proletari - ha un curriculum criminale di tutto rispetto: concorso in sequestro di persona, possesso di materiale esplosivo, tentato omicidio, attività sovversiva contro lo Stato).
Sono momenti di grande tensione; scatta il coprifuoco nell'isola. Con molta amarezza si constata come non siano stati sufficienti i sistemi elettronici, i controlli più assidui, per impedire che i detenuti si organizzassero e mettessero K.O. il supercarcere di San Giacomo, ritenuto sicurissimo.
Carabinieri e Agenti di Custodia setacciano l'isola fino a notte tarda, con torce elettriche, nella speranza di ritrovare i tre evasi.
A tutti, comunque, appare impossibile che i tre si siano allontanati indisturbati e nella mente degli agenti affiorano ricordi di tentativi di evasione falliti come quello dell'anno prima (1976) quando detenuti del calibro di Sante Notarnicola, Roberto Ognibene, Augusto Viel, Horst Fantazzini e Carmelo Terranova avevano scavato un tunnel lungo 7 metri bucando la parete dei gabinetti di un'ala del carcere rimasta abbandonata.
Le indagini condotte a ritmo serrato dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Trapani dr. Gian Giacono Ciaccio Montalto, portano all'arresto di un giovane agente di custodia: Giovanni Danzi di anni 23, nato a Vaglio (PZ), in servizio da due mesi a Favignana. L'accusa è "procurata evasione".
Da Roma, intanto, giunge il dr. Buondonno, inviato dal Ministero di Grazia e Giustizia insiema al Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Si dice che l'agente Danzi sia caduto in clamorose contraddizioni e pare sia stato proprio lui ad aprire l'ultimo cancello che da sulla strada della libertà.
Secondo una ricostruzione fantasiosa della prima ora, anche se non ufficialmente confermata, i tre sono evasi servendosi di una corda fatta con lenzuola annodate, hanno scavalcato un primo muro di cinta e poi quello dell'intercinta. Del loro passaggio c'è una prova: la corda che è stata ritrovata la mattina del 10 novembre nel corso di un sopralluogo (la corda era lunga 7 metri e risultò del tutto inadeguata per scalare i 15 metri che si ergono sulla sezione speciale, poiché le celle si trovavano ad alcuni metri sotto il livello stradale, si seppe poi che era stato un trucco dei detenuti, farla ritrovare, per depistare le indagini n.d.r.). I tre, poi, si sarebbero confusi con alcuni operai che stavano effettuando lavori di riadattamento della vecchia struttura.
Tutto ciò doveva essere avvenuto intorno alle ore 13.00 circa, giusto il tempo per fare il biglietto dell'aliscafo che parte alle ore 14.00, per giungere a Trapani alle ore 14,30 ed in tempo utile per prendere l'aereo che porta a Roma (sic!).
Ecco cosa scrissero i giornali all'indomani di questo episodio che avrà un epilogo a sorpresa; ma con la fantasia i fuggiaschi già si trovavano a Roma e il capro espiatorio era stato trovato: l'agente Danzi, al quale, nella prima serata di giovedì 10 novembre, in mezzo ad una ventina di carabinieri, ammanettato ed umiliato, faranno attraversare a piedi tutto il centro di Favignana, fino ad arrivare al porto. Quindi, dopo un breve viaggio in aliscafo, viene associato alle carceri di San Giuliano con l'accusa infamante di essersi fatto corrompere per far evadere i tre criminali.
NOTE:
1 Le disposizioni del Decreto del 4/5/1977 vennero estese anche ai penitenziari di Novara e Termini Imprese, ai quali si aggiunsero (con decreto del 21/12/1977) le carceri di Nuoro, e la "diramazione" Agrippa della Casa Reclusione di Pianosa. Il regime penitenziario applicato nelle "carceri speciali" si caratterizzava per diverse limitazioni imposte ai detenuti che vi erano ristretti: la limitazione delle attività comuni, con l'esclusione dalla frequentazione di scuole, biblioteche e attività di culto; l'esclusione di qualsiasi attività lavorativa diversa da quella domestica della singola sezione ove erano ristretti. L'unico contatto tra detenuti era limitato alle ore di "passeggio", organizzate in modo da non ledere l'ordine e la sicurezza del carcere. I colloqui con i familiari avvenivano attraverso un pannello divisorio per impedire il contatto fisico. La sorveglianza sui detenuti era intensa e la sorveglianza esterna affidata all'Arma dei Carabinieri, organizzata in ronde che vigilavano sul perimetro esterno delle carceri.
2 Tra i tanti detenuti pericolosi che soggiornarono presso il supercarcere di Favignana ricordiamo: Renato Vallanzasca, Sante Notarnicola, Peppino Pes, Graziano Mesina, Horst Fantazzini, Roberto Ognibene.
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