Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

Giuseppe Romano

da: Santa Caterina alla Colombaia

Breve storia delle carceri della provincia di Trapani


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LA SETTA DELLA "CARBONERIA RIFORMATA"

Nell'aprile del 1820 la polizia veniva a conoscenza delle relazioni esistenti tra i detenuti del Real Arsenale di Palermo e quelli del Bagno di Trapani e Favignana per un tentativo di fuga generale. Nel carcere di Favignana la polizia scopriva una setta.
La popolazione carceraria dell'isola aumentava di giorno in giorno. Nelle carceri era divenuta norma il rinchiudere detenuti politici con quelli comuni. La disorganizzazione dell'amministrazione carceraria contribuì a rinfocolare lo spirito carbonaro fra i detenuti di opinione e fra quelli comuni.
Nel maggio 1825 il capitano Gaetano Orlando, comandante del Forte San Giacomo in Favignana, veniva avvertito dal relegato per opinione Giuseppe Cervone1 che i condannati al bagno in quel forte avevano stabilito un'associazione settaria sotto il titolo di Carboneria Riformata. Seguirono delle perquisizioni nel Bagno e nelle case dei relegati e iniziavano gli interrogatori da parte della famigerata polizia borbonica.
Il Cervone, aggiungeva di aver saputo che i capi della setta erano i condannati Isidoro Alessi un villico originario di Palazzo Adriano, che funzionava da Gran Maestro e il suddiacono2 Vincenzo Pace da Trapani, che ricopriva la carica di oratore. Costoro si riunivano nella chiesa del bagno penale per fare proselitismo. L'Alessi aveva su tutti un'autorità incontrastata e puniva severamente coloro che commettessero mancanze. Egli si teneva continuamente in contatto con il relegato Giuseppe Ragusa da Sciacca, il quale si recava spesso al Bagno, fingendo di dover conferire su privati interessi con l'Alessi.
Questa nuova setta si era manifestata dopo l'arrivo al Bagno del condannato Francesco Mento. Coloro che vi avevano aderito, venivano soprannominati "Coppule Storte". Su questa prime indagini proseguiva l'istruttoria. Alcuni relegati: Cosmo Cambria da Palermo - sarto -, Calogero Gattuso da Ciminna - calzolaio -, Luigi Giunta da Piazza - paratore -, il soldato Giuseppe Ingrassia e il calzolaio Salvatore Campo per ottenere l'impunità fecero delle spontanee dichiarazioni. Ammisero tutti l'esistenza della setta, ch'era largamente diffusa nell'isola. Alcuni riferirono che due giorni dopo l'ultima festa dei Morti, i condannati del Bagno s'erano raccolti nella chiesa del Forte per recitare alcune loro orazioni. L'Alessi aveva acceso le candele e tutti avevano pregato con grande raccoglimento. Terminate le orazioni, Niccolò Saulle originario della provincia di Salerno aveva detto: "In suffragio dei nostri fratelli defunti!".
Il Cambria depose di essere stato iniziato ai misteri della Carboneria nelle Grandi Prigioni di Palermo nel 1824 dal detenuto Salvatore Terzo da Monreale. L'istruttoria del processo proseguiva, portata avanti dal Commissario di Polizia Giuseppe Albanese, al quale il relegato Andrea La Rocca da Bordonaro, - macellaio -, riferiva che tutti i detenuti nei luoghi di pena erano ascritti alla Carboneria e che quelli di Favignana avevano progettato la fuga per il 13 giugno di quell'anno, sicuri dell'appoggio degli isolani e di molte persone di Marsala e Mazara. Si dovevano quindi recare in Trapani, scarcerarvi i detenuti e rinnovare le stragi del 17 luglio 1820. Con rescritto dell'11 aprile veniva intanto creata una commissione straordinaria, composta dal Presidente Francesco Maggiore, dai giudici Francesco Saverio Piombo, Domenico Vinelli, Giovanni La Cava e di Michele Fardella, funzionante da P.M.
Innanzi a questa Commissione l'Alessi ritrattava la dichiarazione fatta al Luogotenente Generale e deponeva su altre circostanze, sicchè la Commissione giudicava quest'ultima dichiarazione una studiata combinazione, in aperta e assoluta contraddizione coi risultati del dibattimento. Comparvero innanzi alla Commissione , riunita nella stessa isola di Favignana, ben 66 individui imputati di associazione settaria sotto il titolo di Carboneria Riformata. Questa la lista degli imputati:

1) Isidoro Alessi di Nicolò, 37 anni di Palazzo Adriano, villico; 2) Don Giuseppe Ragusa di Don Cirillo 41 anni, di Sciacca, civile; 3) Don Nicolò Saulle di Don Silvestro, 35 anni di Pisciotta (SA), civile; 4) Cosmo Cambria di Giuseppe, 26 anni di Palermo, sarto; 5) , Giovanni Spina fu Stefano, 45 anni di Palermo, barbiere; 6)Felice Pavia, fu Emanuele 30 anni di Pantelleria, calzolaio; 7) Pasquale Albano di Gaetano, 36 anni di Napoli, falegname;8) Giovanni Astorina fu Don Giuseppe, 54 anni di Palermo, parrucchiere di donna; 9) Lorenzo Borghese fu Mariano, 40 anni, di Polizzi, calzolaio; 10) Onofrio Berardi di Luigi, 30 anni, di Mazzarino,polverio; 11)Bartolomeo Bruno fu Ignazio, 44 anni, di Gibellina, calzolaio; 12) Don Antonio Boscarelli, fu Don Francesco, 30 anni di Corleone, commesso in quella Ricevitoria; 13) Francesco Cirilla di Domenico, 32 anni di Cinisi, beccajo; 14) Gaetano Catania fu Placido, 25 anni, di Troina (EN), fabbricatore; 15) Vitaliano La Canna di Nicolò, 38 anni di Catanzaro, gendarme reale; 16) Don Luigi Cuntijano fu Don Antonio, 31 anni di Sessa, ex tenente; 17) Francesco La Corte fu Michelangelo, 40 anni di Palermo, giardiniere; 18) Gioacchino Crocilla fu Calogero, 45 anni di San Cataldo (CL), scrivente; 19) Antonio Conigliaro, fu Francesco, 29 anni di Carini (PA), panettiere; 20) Giovanni Fragalà fu Orazio, 37 anni di Campofranco; 21) Giuseppe Falzone di Don Francesco, 41 anni di Pietraperzia; 22) Giuseppe Di Francio fu Giovanni, 46 anni di Caltagirone, panettiere; 23) Calogero Gattuso fu Giuseppe, 30 anni di Ciminna, calzolaio; 24) Don Benedetto Girardi di Don Domenico, 40 anni di Partitico, possidente; 25) Stefano Giallombardo di Luciano, 29 anni di Borgetto (PA), custode di bestiame;26) Alessandro Gioscio di Michele, 32 anni di Colvello (Basilicata), villico ex militare; 27) Angelo Gambino di Pietro, 40 anni di Carini, bordonajo; 28) Stefano Incaviglia, "altrimenti detto Inglese" fu Vincenzo, 44 anni di Favignana, villico ex artigliere litorale; 29)Giuseppe Ingrassia fu Giuseppe, 49 anni di Favignana, villico e soldato di dotazione; 30) Domenico Iannelli fu Gaetano, 58 anni di Casteldaccia (PA), possidente; 31) Giuseppe Lombardo fu Francesco, 37 anni di Termini Imprese, fornaio; 32)Filippo De Lucia di Onofrio, 34 anni del Comune del Palco, giardiniere; 33) Filippo Lombardo di Don Michele, 28 anni di Palermo, soldato del disciolto Battaglione Valle Palermo; 34) Rosario Minardi fu Ignazio, 49 anni di Modica, campagnolo; 35) Saverio Mascari fu Paolo, 45 anni di Termini Imprese, padrone di bastimento; 36) Simone Marino di Paolo, 25 anni di Sciacca, villico; 37) Gandolfo Monteleone, fu Ignazio, 41 anni di Polizzi, borghese; 38) Cosmo Pellegrino fu Giacomo, 29 anni di Messina, calzolaio; 39) Giuseppe Patti Beninghella fu nMichele, 41 anni di Favignana, villico ex artigliere littorale; 40) Don Vincenzo Pace, di Alberto, 33 anni di Trapani, suddiacono; 41) Giuseppe Lo Piccolo fu Silvestre, 35 anni di Palermo; 42) Matteo Russo fu Mariano, 30 anni di Polizzi, villico; 43) Giovanni Roccaforte di Gaspare, 33 anni di Palermo, capraio; 44) Ignazio Scarcella di Marco, 47 anni di Favignana, trafficante; 45) Antonio Signorino fu Paolo, 42 anni di Trapani, fornaio; 46) Giuseppe Gaetano Scala di Vincenzo, 40 anni di Palermo, molinaio; 47) Rocco Soldano di Don Adamo, 34 anni di Piana dei Greci, falegname; 48) Giorgio Terranova fu Marco, 48 anni di Ragusa, villico; 49) Michele Torrente fu Giacomo, 30 anni di Favignana, marinaio; 50) Michele Zurlo fu Francesco, 46 anni di Deliceto (FG), un tempo militare; 51) Gaetano Mustica fu Don Giuseppe, 27 anni di Palermo, ex caporale della 2^ Compagnia Volontari Valle Palermo; 52) Vincenzo Lanza di Salvatore, 32 anni di Palermo, caporale del disciolto Battaglione Valle Palermo; 53) Baldassare Mazza fu Vito, anni 32 di Licata, pastaio; 54) Giuseppe De Luca fu Gennaro, 33 anni di Favignana, falegname; 55) Giuliano Vitale di Faro, 31 anni di Cinisi, suonatore di violino; 56) Don Salvatore Terzo fu Paolo, 43 anni di Monreale, sartore; 57) Michele Umano di Ignazio, 40 anni di Grammichele, fornaio; 58) Alberto Amico fu Francesco, 47 anni di Calatafimi, molinaro; 59) Filippo Battiali fu "Mastro Santo", 40 anni di Paternò, fornaio; 60) Michele Bersaglia fu Michele, 41 anni di Palermo, venditore di caci; 61) Giuseppe Tumminello di Rosario, 31 anni di Comiso, campagnolo; 62) Andrea La Rocca fu Giovanni, 27 anni di Bordonaro, macellaio; 63) Luigi Giunta fu Gaspare, 40 anni di Piazza, paratore; 64) Michele Faja fu Innocenzo, 28 anni di Palermo, insalataro; 65) Francesco Paolo Di Franco fu Ignazio, 42 anni di Nicosia, fornaio; 66) Giuseppe Tumminello fu Pietro, 41 anni di Cefalù, allora soldato;

Nel citato rescritto dell'11 aprile si legge: "La Commissione straordinaria decida inappellabilmente, e la sentenza si esegua nel termine di ventiquattr'ore, senza bisogno di attendere la sovrana risoluzione di S.M." La causa avveniva a porte chiuse e dopo il dibattimento, il 9 settembre 1829, la Commissione emise la sentenza, con la quale, a voti unanimi, condannava: Isidoro Alessi, Giuseppe Ragusa e Cosmo Cambria alla pena di morte col laccio sulle forche ed alla multa di ducati tremila ciascuno; Nicolò Saulle e Michele Zurlo, che già si trovavano condannati all'ergastolo, alla pena di morte e alla multa di mille ducati ciascuno. Francesco Ciulla, Vitaliano La Canna e Giuseppe Ingrassia al terzo grado di ferri per 20 anni;Giuseppe De Luca, Giovanni Spina e Felice Pavia al terzo grado di ferri per 24 anni; Calogero Gattuso, Alessandro Gioscio e il suddiacono Vincenzo Pace (già recidivi) al quarto grado di ferri per 25 anni; Baldassare Mazza e Giuliano Vitale (anch'essi recidivi) al quarto grado di ferri per anni 28; Giuseppe Tumminello fu Pietro, Michele Faja, Alberto Amico e Giuseppe Di Franco, alla pena del primo grado di ferri per anni 7, Giuseppe Tumminello di Rosario, già condannato all'ergastolo, ad una più severa restrizione (sic!).
Le sentenze di morte dovevano eseguirsi entro le ventiquattr'ore, ma bisognava aspettare dieci giorni l'arrivo del boia da Palermo. Il 20 settembre il Pubblico Ministero Fardella rilasciava quest'ordine: " Dovendo la mattina di domani, che si contano il ventuno del detto mese di settembre, alle ore tredici, aver luogo l'esecuzione della decisione medesima, ordiniamo che Don Giuseppe Galeotto usciere presso la Commissione istessa, alle ore dodici di detto giorno si rechi in abito nero completo, nel Castel San Giacomo di questa Isola, ove ritrovansi i pazienti per i soliti esercizi spirituali; che li accompagni fino al patibolo, portando in mano nel modo prescritto dalla Legge, la bacchetta nera, e che pratichi tutte le altre incombenze al suo impiego inerenti, redigendo di tutto il corrispondente verbale". E puntuale, il boia Galeotto, il 29 settembre eseguì le condanne a morte redigendo il seguente verbale: " Oggi il giorno di sopra alle ore 12 d'Italia, vestito di abito nero completo, mi sono conferito in questo Castel San Giacomo, e propriamente nella cappella del piano superiore, dove ho rinvenuto i nominati Isidoro Alessi, Don Giuseppe Ragusa, Cosmo Cambria e Michele Zurlo condannati a morte, rispettivamente assistiti da varj chiesastici, e custoditi dalla forza militare e dal Capitano d'Arme del Distretto don Niccolò Malato, e nel corpo di guardia di esso Forte, ove ritrovatasi parimenti custodito dalla forza l'altro condannato a morte don Nicolo Saulle. Alle ore dodici e mezza si presentò un corpo di gendarmeria schierandosi sui camerini coverti del cennato Castel San Giacomo. Alle ore tredici ed un quarto si estrasse dalla Cappella custodito con la forza e con l'assistenza dei sopra detti chiesastici il condannato Alessi, e si pose in cammino per le forche situate in luogo pubblico, e propriamente sul rivellino del Forte San Giacomo; dopo pochi minuti giunse alle medesime, e dopo aver adempito i debiti atti di Religione, subì la morte alle ore tredici e venticinque minuti.
Alle ore tredici e mezza sortì dalla Cappella il condannato Ragusa colla medesima scorta, e giunto nel luogo del supplizio subì la morte alle ore tredici e quaranta minuti. Quindi, e precisamente alle ore tredici e tre quarti, fu estratto dalla Cappella il condannato Cambria, custodito dalla forza ed assistito dai Ministri della Religione; giunto al luogo del supplizio, dopo pochi minuti subì la morte. Quindi si estrasse dal locale, ove trovatasi, il condannato Saulle, e postosi in marcia alle ore quattordici giunse al luogo, ove trovatasi piantata la guillottina, e propriamente nel piano al di dietro del cennato Forte, e dopo pochi minuti subì la morte. E finalmente fu estratto dalla Cappella il condannato Zurlo, alle ore quattordici e un quarto, e subì la morte alle ore quattordici e venticinque minuti. L'esecuzione ebbe termine a detta ora, col massimo buon ordine e con la maggiore tranquillità. I cadaveri de' suddetti condannati Alessi, Ragusa, Cambria e Zurlo furono consegnati dal capitan d'arme del Distretto, previo il ricevo, al secondo Cappellano del suddetto Castel San Giacomo sacerdote Don Giovanni Battista Merigo e poiché il condannato don Nicolò Saulle ricusò di accettare i soccorsi della religione e mostrò segni equivoci d'impenitenza, fu sepolto fuori di chiesa, in un luogo poco distante dal Castello medesimo, alla presenza del suddetto Capitan d'arme e del Regio Giudice del Circondario".

Ma quella non fu la sola volta che il boia eseguì delle condanne a morte presso Castel San Giacomo. Il 18 luglio 1822 tre servi di pena: Cherosimo Luigi, Coppola Giuseppe e Ripoli Nicolò furono condannati alla pena di morte dalla Corte Marziale di Trapani per avere ucciso a colpi di stile il detenuto Salvatore Sparto, così come avevano riferito il Capo Presidiario Giacomo Sercia ed i soldati Sebastiano Settineri e Luigi Belloccio. Il trasferimento dei condannati sul luogo dell'esecuzione avveniva "a piedi nudi, vestito di nero, col velo nero che gli copre il volto e trascinato su di una tavola con piccole ruote di sotto, e con cartello in petto su cui sia scritto a lettere cubitali "UOMO EMPIO".
L'impiccagione fu eseguita a 24 ore dalla sentenza al fine di dare l'esempio a tutti i condannati.
La violenza, la tortura, l' omicidio, erano all'ordine del giorno nelle carceri Regno delle due Sicilie e quindi anche in quelle siciliane. Luigi Settembrini nel suo libro di memorie "Ricordanze della mia vita" in cui racconta la sua carcerazione sull'isola di Ventotene ci descrive le atroci punizioni riservate ai carcerati del Regno " il colpevole è disteso bocconi sopra uno scanno in mezzo al cortile e due aguzzini con due grosse funi impiastrate di catrame e immolate con l'acqua, è battuto fieramente sulle natiche e sui fianchi ancora e sui femori. Il comandante prescrive il numero dei colpi ed è presente col medico e con il prete (…) dopo le battiture è incatenato ad un piede e messo al puntale (cioè l'altro capo della catena è fisso ad un grosso anello di ferro che sorge sul pavimento di una segreta o è fisso ad un cancello di una finestra) e così sta assai giorni e mesi. Talvolta gli mettono ancora le traverse, che sono due semicerchi di ferro messi ai piedi e fermati da un grossissimo pezzo che pesa sui talloni e rende difficile e doloroso stendere un passo".
Gli omicidi e i ferimenti tra detenuti, portati a compimento con l'ausilio di coltelli rudimentali, erano la quotidianità; "pare impossibile - racconta ancora il Settembrini - che uomini chiusi in un ergastolo (l'isola di Ventotene n.d.r.), su di uno scoglio lontano, vigilati severissimamente, minacciati da terribili castighi, possano avere armi, e tante;; ma essi vi spendono ogni denaro, se ne fanno portare dai custodi o dagli inservienti, i quali vendono loro lime o pezzi qualunque di ferro, cui essi danno forma di pugnale. Talvolta raccolgono chiodi e bullette, strappano i cardini dalle porte, svelgono ferri e maglie di catene, li gettano nel fuoco e, di notte, tra due pietre, l'una che serve da incudine, l'altra da martello, fanno di queste armi meravigliose. Le nascondono nei muri, sotto le selci del pavimento,, negli arnesi di legno bucati e turati diligentissimamente. Per ritrovarle i custodi usano diligenza incredibile: ricercano le persone e le fanno spogliare, rovistano tutte le masserizie, sconnettono le pietre del pavimento, staccano l'intonaco dalle pareti…."
Banali liti tra detenuti, alimentate da rancori, dal giuoco della carte (che era comunque proibito ma che costruivano con pezzetti di legno) o ingigantite dal vino, sfociavano in fatti di sangue, alcuni clamorosi, come quello che avvenne il 21 luglio del 1878 all'interno delle mura del Forte. Il trentaduenne direttore del carcere, Salvatore Antonucci, originario di Napoli veniva barbaramente assassinato da un gruppo di detenuti che come arma del delitto useranno il coperchio di una latta di conserva di pomodoro, accanendosi su quel probo funzionario, intelligente e zelante (così recita l'epitaffio sul cippo funerario del piccolo cimitero dell'isola) fin quasi a decapitarlo. Appena un anno prima, l'Antonucci, reggente la direzione del Bagno Penale di Favignana, il 6 luglio 1877 aveva ricevuto dal Ministero della Marina, un attestato ufficiale di benemerenza pei filantropici ed efficaci soccorsi prestati a due Tartane nazionali ed ai rispettivi equipaggi pericolanti nelle acque dell'isola di Favignana il 30 gennaio 1877.
L'Amministrazione Carceraria dell'epoca, così lo ricorda: Antonucci Salvatore/ di ferace impegno e di modestia senza pari/ avevasi accattivata, per lunga pezza che vi fu/ la stima e la benevolenza dell'intera cittadinanza/ resse la direzione del Bagno Penale di Favignana/ con zelo pari alla diligenza/ Se una mano ribalda ed ingorda di sangue/ tolse agli sventurati un benefattore, ad una affettuosa madre, cadente negli anni, l'unica tenerezza d'amoroso figlio./ Ai compagni d'amministrazione un funzionario da servire per modello d'esemplare operosità.


NOTE:

1 Avvocato di Napoli. Arrestato durante i moti del 1820 venne rinchiuso nel carcere di San Giacomo a Favignana quando nel maggio 1825 svelò alle autorità dell'isola l'esistenza di una setta carbonara all'interno del carcere. Per ovvii motivi cautelari venne allontanato dall'isola ed inviato a Marittimo ove rimase dal 1° luglio al 30 novembre 1825. La pena dell'ergastolo gli venne nel frattempo commutata in quella della relegazione nell'isola di Favignana. Ma, essendo stato coinvolto per affari di carboneria venne tradotto nel Castello di Terra di Trapani ove vi rimase fino alla morte che lo raggiunse il 30 gennaio 1827 all'età di 44 anni.
1 Nella chiesa cattolica, prima della riforma del 1972, si indicava il chierico (persona già avviata al sacerdozio e che indossava l'abito talare e aveva subito la tonsura) cui era stato conferito il suddiaconato, primo degli ordini sacri col quale cominciava; questi aveva l'obbligo del celibato e della recita del breviario.



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