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Le carceri di Favignana
Sede dell'attuale Casa di Reclusione, Castel San Giacomo è posto nella parte più alta del centro abitato, pronto a dominare tutta l'ampia zona circostante. Le sue mura sono intrise di storia e sofferenza, le sue celle scavate direttamente nella roccia.
Costruito quando in Sicilia regnava l'Aragonese Ferdinando II il cattolico (1498) sul nucleo originario già edificato da Ruggero il Normanno, si estende su una superficie di circa 25.000 mq.
Il castello ha la forma di una stella irregolare a sei punte. Al centro della stella, delimitato da muraglioni, si erge imponente il Maschio a forma quadrata.
Il piano terra del maniero, in realtà si trova sotto il piano stradale, completamente incassato in una voragine di roccia tufacea. Un fossato ne percorreva l'interno perimetrale e dal suo scavo si ricavò la pietra per le mura; due ponti levatoi univano il castello al paese.
Il potente edificio venne così denominato anche "Fossa di Favignana" un nome sinistro, evocante immagini di disperazione.
La parte di castello sotto il suolo serviva come deposito di munizioni e alloggi per ufficiali e truppa che erano così garantiti da qualsiasi attacco che potevano ricevere dal mare, mentre quella elevata visibile del maschio era munita di feritoie e spiragli.
Adibito per secoli a prigione, è sotto la dominazione borbonica che espleta la triste funzione di "Bagno di espiazione", mentre il forte di Santa Caterina, come abbiamo già visto era adibito ad "Ergastolo". A tal proposito è bene chiarire le differenze sostanziali tra i due luoghi di pena dell'isola.
Ai "Bagni di espiazione", secondo il Codice Regio del 1819 emanato da Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie, venivano avviati i condannati alla pena dei "ferri", che sottoponeva i detenuti a fatiche penose a profitto dello Stato, pertanto l'essenza della sanzione non risiedeva nella sola privazione della libertà del condannato, bensì pure nelle materiali sofferenze che gli sarebbero state inflitte, costringendolo a sopportare fatiche fisiche spesso disumane, finalizzate solo al profitto economico dello Stato (o talvolta del tutto inutili) e non al recupero morale o sociale del servo di pena.
Collocata immediatamente al di sotto della pena di morte e dell'ergastolo, la pena dei Ferri era un istituto ibrido che, comportando lunghi periodi di internamento o di reclusione del reo in appositi istituti, presentava indubbie analogie con le moderne pene detentive, ma conservava pure buona parte delle caratteristiche che, per millenni, erano state proprie di quelle corporali.
Essa poteva essere di due specie: la prima si espiava nei Bagni. In questi luoghi ameni, i condannati trascinavano ai piedi una catena, o soli, o uniti a due, a secondo della natura del lavoro a cui venivano addetti. La seconda si espiava nel "Presidio". A questa pena era sottoposto il condannato ai lavori interni di un forte, con un cerchio di ferro nella gamba destra come da regolamento.
La pena dei Ferri era di quattro gradi eguali, ciascuno di anni 6; il che significava che essa sarebbe potuta durare da un minimo di 7 ad un massimo di 30 anni, consentendo così al giudice di graduare e di proporzionare la pena in relazione ai vari reati, alle diverse circostanze e alla personalità del reo.
Il 1° grado cominciava dagli anni 7 e terminava a 12;
Il 2° grado cominciava dagli anni 13 e terminava a 18;
Il 3° grado cominciava dagli anni 19 e terminava a 24;
Il 4° grado cominciava dagli anni 25 e terminava a 30;
L'Ergastolo, invece, consisteva nella reclusione del condannato, per tutta la vita, nel forte di un'isola. I condannati all'ergastolo non potevano essere "astretti a verun lavoro" o servizio forzato, e molto meno incaricarsi della pulizia interna della cella, alla quale erano addetti altri servi di pena, cioè i condannati ai ferri. Ciò non dipendeva certo da ragioni umanitarie o dall'opportunità di rendere meno gravose le loro tristissime condizioni di vita, ma, al contrario, dall'esigenza che la reclusione perpetua venisse scontata nell'ozio e in uno stato di totale abbandono, così da rimarcare la funzione esclusivamente neutralizzatrice e definitivamente eliminatoria del reo dal contesto sociale che veniva attribuita da tal genere di sanzione. Il condannato all'ergastolo perdeva la proprietà di tutti i suoi beni (come avveniva per la pena di morte); egli era considerato un "morto senza testamento".
L'USO DELLA CATENA NEL SISTEMA DEI BAGNI PENALI 1
Il "Regolamento di disciplina e di interno ordinamento dei Bagni" del 1860, classificava i condannati dei Bagni in quattro Divisioni, distinte dal colore di una striscia di lana apposta sul berretto.
I condannati erano incatenati a due per volta, come già prescritto dai bandi del 1826. La lunghezza e il peso delle catene era così stabilito:
1^ categoria: catena di maglie 6 e 1,300 Kg.
2^ categoria: catena di maglie 9 e 1,700 Kg.
3^ categoria: catena di maglie 9 e 1,900 Kg.
Per accoppiare i forzati nuovi giunti e gli incorreggibili erano utilizzate le catene di 18 maglie del peso di 6 Kg.
Il nuovo regolamento disciplinare dei Bagni, emanato con il R.D. n.1328 del 7 marzo 1878, pur non prevedendo le famigerate punizioni corporali contenute nei vecchi bandi del 1826, conteneva un rigido sistema disciplinare basato sull'uso dei ferri e sulla punizione dell'isolamento.
Il peso della catena veniva minuziosamente disciplinato nella circolare n.173 del 26 aprile 1876 emanata dal Ministero dell'Interno: "Nel peso della catena, che ciascun condannato deve portare assicurata al malleolo della gamba sinistra giusto l'art.22 del Regolamento approvato con Regio Decreto del 7 marzo 1878 n.4328, è compreso ancora il peso dell'anello, perché questo è parte integrante della stessa catena. D'altronde, nel dubbio, le disposizioni che concernono le pene afflittive, debbono sempre interpretarsi nel senso più favorevole".
L'uso della catena, fu definitivamente soppresso con R. D. 2 agosto 1902 n.377.
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NOTE:
1 Tratto da "Museo Criminologico" a cura di Assunta Borzacchiello ed. Ministero della Giustizia, Dipartimento Ammi nistrazione Penitenziaria; Roma aprile 2003.
BIBLIOGRAFIA:
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"Favignana: Il Forte di S. Caterina" di Vincenzo Adragna (Trapani - Rassegna della Provincia anno 1979);
"Il Forte di Santa Caterina in Favignana" di G. Polizzi. La Nazione - Firenze 1876;
Grande Enciclopedia Universale De Agostini;
Grande Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse;
"Canti dal carcere" a cura di Giuseppe Vettori - Roma 1977- Newton & Compton Editori;
Giornale di Sicilia - novembre 1977; agosto 1979;
Repubblica 15 marzo 2007 "Spinuzza il martire dell'unità" di Ivan Mocciaro.
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"Storia di Trapani" di Mario Serraino. Corrao Editore. Trapani 1976;
"Le ricordanze della mia vita" di Luigi Settembrini
"www.antoninorallo.it"
"www.neomedia.it"
"I Borboni di Napoli" di Alexander Dumas Libro IV capitolo VII
"Museo Criminologico" a cura di Assunta Borzacchiello. Ed. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Roma aprile 2003;
"IL LAVORO negli Stabilimenti Carcerari e nei RR. Riformatori" Ed. Ministero della Giustizia, Roma Tipografia delle Mantellate 1923.
Archivio Casa Circondariale di Trapani
www.oltreilmuro.org : "la lotta armata dei frati e dei preti siciliani contro i Borboni per l'unità d'Italia" di Alessio Di Giovanni.
"Egadi ieri e oggi" (isolani, deportati, schifazzi) di Michele Galletto Edizioni l'Arcilettore 2008
"Il canto di malavita" - la musica della Mafia - AA.VV. Ed. Amiata Media 200, 2002, 2005 - Produttore Francesco Sbano.
"Castelvetrano e il Risorgimento" a cura del Liceo Magistrale di Castelvetrano "www.liceomagistralecastelvetrano.it"
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