Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

Giuseppe Romano

da: Santa Caterina alla Colombaia

Breve storia delle carceri della provincia di Trapani


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FAVIGNANA: BAGNO DEL FORTE DI SANTA CATERINA


Fortezza di S. Caterina - foto G. Romano

Il Forte di Santa Caterina si erge sul picco più elevato del monte omonimo dell'isola di Favignana, la più grande delle isole Egadi, distante da Trapani circa 17 km. La storia del Forte si interseca con gli avvenimenti succedutisi nel corso dei secoli su questa splendida isola dal mare cristallino.
La fortezza, dal prospetto imponente, segnato qua e la da qualche feritoia succedentesi ad altezza irregolare e da qualche finestraccia, è costruita, specialmente nei due poderosi corpi aggettanti difesi da torrette poggianti su barbacani, con grossi conci di tufo ocra - giallastri estratti dalle numerose cave esistenti nell'isola.
Per risalire alle origini del Forte di Santa Caterina bisogna fare un balzo indietro nel tempo fino ad arrivare al periodo della dominazione normanna in Sicilia.
Il Conte Ruggero II° che sarà incoronato successivamente, nel 1130 Re di Sicilia dall'Antipapa Anacleto II°, si apprestava nell'anno di grazia 1123 ad adunare, presso Marsala, la sua flotta di 300 navi e le sue milizie per partire alla volta dell'Africa in cerca di nuove conquiste.
Tre anni prima di questo storico evento, Ruggero II° con un Editto Regio aveva stabilito che l'isola di Favignana venisse fortificata con la costruzione, intorno alle torri arabe di avvistamento, di tre castelli che secoli dopo prenderanno i nomi di Santa Caterina, San Giacomo e San Leonardo.
Se, quindi, le prime fortificazioni risalgono al periodo normanno, si deve, in seguito, ad Andrea Riccio signore dell'isola, l'edificazione del castello (e probabilmente la sua conformazione attuale) nel 1498.
Fin qui brevemente la storia della fortezza che ancora non veniva utilizzata come luogo di pena.
E' con i Borboni, infatti, qualche secolo dopo, che Favignana diviene tristemente famosa per la "fossa" di Santa Caterina. (U carciri di Santa Catarina è ammintuatu, cu trasi c'a parola, nesci mutu") - il carcere di Santa Caterina è ben conosciuto: chi entra con la parola, esce muto -
Il carcere "duro" per antonomasia, nulla di paragonabile a qualsiasi tipo di regime penitenziario odierno. L'odierno regime carcerario del 41 bis al confronto è una villeggiatura!
Ecco cosa scrive Alexander Dumas, nel suo romanzo "I Borboni di Napoli" parlando della fortezza di Santa Caterina:

"Per coloro cui Sua Maestà faceva grazia, vi era la fossa della Favignana, cioè una tomba.
Prima di arrivare in Sicilia, il viaggiatore che va da Occidente ad Oriente, vede sorgere dal seno del mare, fra Marsala e Trapani, uno scoglio cui sovrasta un forte: è Favignana, l'Aegusa de' Romani; isola fatale. Era già una prigione al tempo degli imperatori pagani; una scala scavata nella pietra, conduce dalla sua sommità ad una caverna posta a livello del mare; una luce funebre vi penetra senza che mai questa luce sia riscaldata da un raggio di sole; cade un'acqua agghiacciata dalla vólta, pioggia continua ed eterna che rode il granito più duro, e che uccide l'uomo più robusto.
Iddio vi guardi dalla clemenza del Re di Napoli!
Del resto, i pochi condannati che passassero dalle prigioni di Napoli alla fossa della Favignana, non trovarono gran differenza fra l'accusa ed il castigo."

Ed ecco come il Generale Pietro Colletta nel suo libro "Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825" descrive il Castello di Santa Caterina: (…) stabilirono, per tener viva la tirannide, scrivere ogni giovedì le sentenze, pubblicarle il dì appresso, eseguirle nel sabato; a chi delle capitolazioni condannati mutava il re la pena di morte in ergastolo perpetuo dentro la fossa di Santa Caterina, nell'isola della Favignana.
Quest'isola dei mari di Sicilia, Aegusa dei latini, e fin di allora prigione infame per i decreti dei tiranni di Roma, s'erge dal mare per grande altezza in forma di cono del quale, in cima, sta fabbricato un castello.
E dal castello per iscala tagliata nel sasso, lunga nello scendere quanto è alto il monte si giunge ad una grotta, da scarpello incavata, che per giusto nome chiamano fossa. Ivi la luce è smorta, raggio di sole non vi arriva; è grave il freddo, l'umidità densa; vi albergano animali nocevoli; l'uomo, sano e giovine, presto vi muore.


Il Bagno del Forte di Santa Caterina ospiterà una moltitudine di patrioti liberali in quanto oppositori del conservatorismo regio.
Tra i primi "bagnanti" politici deportativi, figurano i patrioti nel nel 1820 si ribellarono all'assolutismo dispotico di Ferdinando II° che aveva tolto alla Sicilia la sua tradizionale autonomia dopo il Congresso di Vienna (1815).
Dopo i moti del 1848 che infiammarono l'Europa intera, le carceri di Santa Caterina si riempirono nuovamente di patrioti, tra i quali, dopo l'infelice spedizione di Sapri di Carlo Pisacane (1857) il più tristemente noto fu senz'altro il barone Giovanni Nicotera.

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Per ordine espresso di Ferdinando II, i superstiti della spedizione di Sapri (Giuseppe Santandrea, Domenico Porro, Felice Poggi, Gaetano Poggi, Cesare Faridone, Francesco Medusei, Giovanni Camillucci, Cesare Cori, Domenico Mazzone, Achille Perucci, Giuseppe Faeli, Carlo Rota, Giuseppe Mercuri, Pietro Rusconi, Amilcare Bonomi) furono trasportati al Forte di Santa Caterina e chiusi in una fossa scavata nella roccia. Il Nicotera fu messo in un buco separato, detto "la stanza del somaro", per la puzza che emanava, dove non poteva stare disteso se non mettendosi a cavalcioni di un fosso posto nel mezzo, pieno di acqua limacciosa, che traboccava anche sul pavimento. Scorpioni, topi e zanzare a migliaia e buio profondo. Una panca in pietra serviva da giaciglio. Il Nicotera vi stette per ben cinque mesi, e si ridusse così malconcio che il comandante del forte ed il medico, spaventati per la febbre che lo consumava, per la tosse e i frequenti sbocchi di sangue, lo scongiurarono di supplicare il Re per la sua liberazione e il Comandante l'incitò a scrivere la supplica che intestò di sua mano : Alla Sacra Reale Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie" ma, il Nicotera intestò la supplica "alla belva feroce Ferdinando II, non ancora saturo di tormentare l'umanità" …e lacerò la carta. Il patriota Nicola Botta anch'esso detenuto insieme al fratello Carlo nella fortezza di San Giacomo narra che " La vita divenne per il Nicotera insoffribile e malgrado il suo carattere combattivo, la sua tenace volontà e la fierezza, aveva persino tentato di uccidersi. Dal racconto del farmacista antiborbonico Andrea Li Volsi apprendiamo che Il medico chirurgo del bagno San Giacomo, Alberto Caligarsia, dopo essere salito per l'ennesima volta al Forte di Santa Caterina per visitare il Nicotera che si era ammalato di bronchite trovo l'ergastolano "continuamente travagliato da reumatismo che alla spesso viene accompagnato da febbre". Quindi gli lasciò una ricetta medica ma il Nicotera strappò una piccola striscia di carta bianca dalla ricetta e vi scrisse un breve messaggio con il succo di limone. Quando ebbe visita della guardia Scalfida, lo pregò vivamente, lo esortò di consegnare al farmacista Li Volsi, oltre alla ricetta anche quel pezzo di carta. La guardia, forse vinto dalla compassione si recò dal farmacista e gli consegnò la striscia di carta. Il Li Volsi, capì che doveva esserci scritto qualcosa con il succo di limone; quindi ci passò sopra la tintura di iodio e comparve il messaggio, che diceva: "Se appartenete alla bandiera della Patria oppressa, vi incombe certamente il dovere di non ricusarmi il vostro fraterno aiuto. Ho bisogno di far pervenire una mia lettera al console d'Inghilterra in Trapani o Palermo. Volete accogliere le mie preghiere? Gradite i miei ringraziamenti e un saluto dal vostro fratello Nicotera". Il farmacista scrisse subito una risposta con una soluzione d'amido, ci aggiunse sopra una boccettina di tintura di iodio ed insieme alla medicina la fece recapitare al prigioniero. La risposta del farmacista diceva: Mandate quello che volete, chiedete tutto ciò che possa occorrervi, fidate interamente nello Scalfida, uomo tutto mio, e nel vostro fratello".
Alcuni giorni dopo il 16 marzo 1859, dopo che un fulmine aveva rotto il tetto della cella, e l'acqua inondato la fossa, la sentinella tirò fuori il prigioniero e con gli altri, il Nicotera fu letteralmente portato al Forte San Giacomo (visto che non poteva reggersi in piedi). Anche al San Giacomo gli fu assegnata la peggiore cella: la n.29, dove rimase più di un anno con la catena ai piedi.
Il n.29 aveva un piccolo cancello rispondente in faccia alla buca ove fu rinchiuso il Botta.

Nei momenti di dolore i 18 condannati politici detenuti nell'orrido carcere di Favignana, non ebbero a conforto che la voce del Nicotera. Finchè egli era detenuto nella Fortezza di Santa Caterina non gli fu possibile alcuna comunicazione; al San Giacomo, invece, malgrado che una sentinella armata stesse di notte alla porta della cella ebbe modo di comunicare con i suoi amici fuori dall'isola e con il consolato inglese a Palermo tramite i "pizzini" che i carcerieri Francesco D'Ancona e Giuseppe Bussetta portavano fuori nel pane o nel fondo di una bottiglia, facendoli pervenire al farmacista Andrea Li Volsi, il quale li faceva avere al Comitato Insurrezionale di Trapani. Con lo stesso sistema i "pizzini" entravano in carcere e quando il vecchio guardiano D'Ancona pensò di essere sospettato, decise di far recapitare i messaggi scritti facendoli cucire dentro la suola delle scarpe dal calzolaio del carcere Vito Fina.
Si narra che Garibaldi, in navigazione con il "Piemonte", alla volta di Marsala l'11 maggio 1860, costeggiando l'isola di Favignana osservò la Fortezza di Santa Caterina e, asciugandosi una lacrima, esclamò: "Lassù sta il povero Nicotera!!". (non poteva sapere che da alcuni mesi era stato trasferito a Castel San Giacomo).
E quando il 16 maggio 1860, Nicotera liberato per volontà di Garibaldi, lo raggiunse a Palermo egli appariva: giallo come un popone vernino, con gli occhi verdi e la pelle attaccata alle ossa.
Ed è a proposito della carcerazione del patriota Nicotera che il cavaliere Giuseppe Polizzi, bibliotecario alla Fardelliana di Trapani, il 18 luglio del 1876 ebbe a visitare quelle terribili prigioni allo scopo di scrivere la storia di quella fortezza ove tanti e tanti valentissimi scontarono in diverse epoche e sotto il governo dei Borboni, il peccato dell'amor di Patria.
Riportiamo per intero il testo del "reportage" per avere un' idea delle condizioni di vita dei prigionieri dell'epoca: " del carcere di Santa Caterina ebbi a scrivere qualche mese fa, che converrebbe conservarlo come un monumento classico nel suo genere: un monumento di barbarie!
Passando attraverso un corridoio arcato vi si aprono ai lati due prigioni: una a destra quella di Giovanni Nicotera, a sinistra quella ove stettero rinchiusi i suoi 15 compagni, misero avanzo della spedizione di Sapri.
Penetrato nella prima delle due, la più orribile, col sacro orrore di chi passa per un luogo direi quasi santificato dalla sventura e dall'amore di Patria, in principio non vidi nulla, tanto è grande il buio che regna dentro a questa bolgia di Dante. Feci portare alcune candele e, al lume di esse, potei averne una completa idea. Sonvi in quella fossa due letti da campo o giacigli in pietra larghi all'incirca m.2,40, lunghi m.7,20; dal suolo alla volta lo spazio non è più alto di 4 metri.
Nelle mura del carcere trovai scritte a lettere di carbone le iscrizioni che seguono e che vi trascrivo nella loro più genuina esattezza epigrafica. Nel muro di sinistra del carcere:

FU QUESTA TREMENDA/ SEGRETA DOVE GIACQUE/ GIOVANNI NICOTERA/ VITTIMA DI QUELLA INFAME DINASTIA/ SBALZATA PIU' TARDI DAL TRONO DI NAPOLI/ PER SUA COOPERAZIONE

Evidentemente fu scritta dopo il 1860 e la escarcerazione del condannato. Nel muro stesso c'è un loculo per il lume. Di fronte, sull'altro giaciglio a destra, è quest'altra terribile epigrafe:

IDDIO LIBERI UNO/ SVENTURATO DI/ QUESTO LUOGO CHE SENZA IL SUO AIUTO/ VI TROVA MORTE

Vicino ad essa leggasi:

QUI FU SEPOLTO LO SVENTURATO ERGASTOLANO POLITICO GIOVANNI NICOTERA

Nella stanza stessa è quest'ultima tristissima iscrizione:

O TU CHE AVRAI LA SVENTURA/DI STARE IN QUESTO LUOGO/PREPARATI A SOFFRIRE TUTTI I TORMENTI/ SARAI PUNZECCHIATO DA MIGLIAIA DI ZANZARE/OPPRESSE DAL FUMO/QUANDO PIOVE VEDRAI SORGERE L'ACQUA DAL SUOLO/SARAI AFFLITTO DA FORTI DOLORI A CAUSA DELL'UMIDITA'/CHE TI FARA' TROVAR TUTTO BAGNATO/SARAI APPESTATO DAL FETORE DEL/VICINO LUOGO IMMONDO/

Le due ultime iscrizioni sono di mano del barone Nicotera come mi assicurò egli stesso, a cui ne mandai una copia trovandomi ultimamente in viaggio per l'Africa."

Un'altra puntigliosa descrizione di quei luoghi di pena viene riportata sa Salvatore Struppa che nel 1877 visitava le due fortezza di Favignana: "Il castello è diviso in due piani; l'inferiore è composto da un labirinto di segrete, di mude, di forni, di pertugi, di stamberghe, di buchi, di tombe; senza uno spiraglio di luce, umide, nere, senz'ordine, alcune salienti o pensili, altre scavate nel calcare della montagna, e dove giacevano un tempo ammucchiati centinaia di detenuti politici, gettati là dalla sbirraglia del Borbone. Le mura interne mettono a nudo le loro forme massicce, gli usci delle segrete si sgretolano e si contorcono sotto l'azione dissolvente dell'umido che gocciola continuamente, tal che ti sembrano cento boccacce nere, spalancate e bavose che fanno la smorfia delle maschere antiche. Adesso non più quel brontolio di condannati, quello strepitaccio di catene, di chiavistelli, di catenacci, di calci di fucile, di sciabole strascinanti; non più quel grido prolungato e desolante delle sentinelle, quei comandi brevi e a denti serrati dei tenenti di presidio, quelle figure melense di soldati napoletani, non più quelle voci fioche e cupe di canzonacce, di giuochi, di bestemmie, di gemiti, di preghiere, di baruffe, di supplizio, di morte. A destra, in principio di un andito oscuro v'ha una scala che conduce ad una fossa orrenda, capace di dieci persone appena e dove ve n'erano cumulate cinquanta, scavata nella roccia, a volta bassa e con un filo di luce che viene a morire in quell'antro tenebroso. Quasi di rimpetto all'ingresso dell'andito oscuro, ve n'è un altro che similmente conduce, senza alcuna discesa, ad un'altra sepoltura, priva affatto di luce, e dove furono intombati non pochi messinesi, arrestati una sera in teatro e trasportati con il piroscafo, immediatamente, al forte di Santa Caterina. A sinistra, all'angolo di prospetto che si presenta appena si esce nell'atrio, v'ha una segreta nera come la morte, umida e fetida (la fossa ove era stato detenuto il Nicotera n.d.r.)(…) questa poderosa reliquia della miseranda spedizione di Pisacane, giacque per molto tempo in quella buca tremenda (seguono le descrizioni delle iscrizioni a carbone fatte dal Nicotera - vedi sopra - n.d.r.). All'angolo destro, sullo stipite interno della stessa segreta, sotto l'influenza della luce di un fiammifero, lessi un'altra iscrizione carbonica, che dice: Per qui si va nella città dolente. -a questo punto lo Struppa ci ricorda che quando Salvatore Maniscalco venne a visitare quel luogo fece discendere al Bagno di San Giacomo tutti i condannati che si trovavano alla Fortezza di Santa Caterina. Anche a "quelle viscere borgiane" di Maniscalco parve terribile questo luogo di pena; a vedere quelle facce itteriche, quegli occhi iniettati di sangue, quelle fisionomie stravolte, quelle vittime del delitto comune e del principio politico, rinchiuse alla carlona e asserragliate dentro quelle mude acquose, fradice e purulente, quella jena si commosse, ebbe pietà, forse gemette, e nello slancio spontaneo della sua anima polluta , si ricordò di quelle sublimi parole del divino Alighieri….Nel muro di rimpetto a quel pertugio pieno di lombrichi e d'immondezze, v'ha un incavo capace di un uomo all'impiedi; era il posto della sentinella che faceva la guardia a vista a quell'uomo temuto dalla tirannide (Giovanni Nicotera n.d.r.). Ma, quello che più attira l'attenzione dello Struppa è la scoperta di un "trabocchetto" ovvero un sotterraneo carnefice dove si seppellivano uomini vivi, come ve n'erano in tutti gli antichi castelli d'Europa. La descrizione che ne segue è terribile: " (…) ma avere sotto i propri occhi un luogo cosiffatto, discendervi per mezzo di una scala a pioli, studiarlo con la morta luce di un cerotto, analizzarlo, osservarne le astuzie, le malizie, le perfidie, dire: sono dentro ad un trabocchetto e se qualcuno mettesse la cateratta alla botola per cui sono disceso, io sarei spacciato; dire: in luoghi come questo morirono migliaia di vittime del fanatismo religioso, della ragione di Stato, del furore di gelosia, del tradimento e dello spergiuro (…) In quel luogo tremendo tutto era acqua; le pareti stillavano acqua, il tetto ne spremeva lo stesso, il terreno era ingombro di calcinaccio verdastro e fangoso e al confine della volta granitica usciva l'estremità di un doccione, ostrutto artificiosamente, per sgocciolarvi dell'acqua a stilla a stilla, a onda a onda, o riversarvela a catinelle, a seconda della volontà superiore che presiedeva alla morte della vittima infelice. Quell'antro fa venire le vertigini, è una specie di gola d'abisso, di tartaro, di bolgia maledetta. (…) Quando uscimmo da quella buca, eravamo gialli come lo zafferano, infreddati, ciechi, lacrimanti e con il capogiro nella mente (…) Nel piano superiore v'ha una serie di cameracce a volta bassa tutte in macerie; stanze ove erano installati gli ufficiali e i soldati;
Dunque un carcere durissimo, dove l'accoglienza riservata ai detenuti, in maggioranza politici, era certamente disumana. Pare che, ai tempi della visita del cavalier Polizzi e dello Struppa, fossero ancora visibili celle ad altezza d'uomo e strettissime e buie (detti dammuseddi poiché coperte di volticine di pietra) nelle quali si rinchiudevano pure i testimoni falsi o reticenti e i rei negativi: veri canili ove la persona, per l'angustia del sito, doveva rimanere accoccolata e spesso con la sola camicia e dove erano financo difficile rannicchiarsi sulla dura panca di legno. Ma non tutto è visibile.
Il popolo, infatti, tramanda ancora la memoria di fosse comuni, rinserranti ossa di condannati alla pena capitale eseguita in segreto. Una leggenda narra anche di una "fossa"…grotta a cui si scende dal forte per una scala tagliata anch'essa nella roccia, lunga nella discesa quanto alto è il monte (344 metri). Un vecchio detto popolare tramandato tra gli isolani dice: " o' casteddu di Santa Catarina c'è na scala di vinti scaluna, cu scinnni vivu, mortu acchiana" (al castello di Santa Caterina c'è una scala di venti gradini: chi scende vivo, risale morto)

Immortalata in una canzone, la fortezza di Santa Caterina viene così descritta


CARZARI VICARIA
Carzari Vicaria, la Favignana/lu casteddu di Santa Catarina!/Malidittu cu fici a Santu Vitu:/
dintra e di fora è di ferru allannatu!/Cu cci havi un frati e cu cci havi un maritu/'nni du misiru locu scunsulatu/Lu carzaratu cala notti 'un dormi/Pensa a la libertà, mori e s'addanna.


Tra i tanti infelici liberali deportati dai Borboni a domicilio coatto, si ricordano il Generale Tupputi7, il benemerito Carlo Cottone Principe di Castelnuovo, i due fratelli Francesco e Gregorio Ugdulena l'uno bravissimo grecista, l'altro insigne orientalista e studioso di lingue, gli avvocati Giuseppe e Carlo Poerio8, (padre e figlio) i fratelli Carlo e Nicolò Botta9, Andrea Maggio e Alessandro Guarnera, Andrea Valiante10, Giuseppe Scarperia11, Giuseppe Abbamonti12, Vincenzo Olivieri Romano13, Raffaele e Bartolomeo Oliveri14, Giuseppe Coppola, il barone Giovanni Hernandez.


NOTE:

1 Melone invernale.
2 Muda : carcere buio e freddo
3 Capo della Polizia Borbonica in Sicilia.
4 Contaminata, infetta.
5 L'avvocato fiscale Cugini cercò di mitigare l'orrore dei dammusi, prescrivendo che avessero una cubatura di ottopalmi e non di quattro o cinque come era per il passato (mc,1,28), avessero un lettuccio della larghezza di due palmi (cm.51) e che nel corso delle 24 ore si dovesse dare al detenuto l'acqua e un pane di once 24, e solo di cento libbre fossero i ferri alle mani e ai piedi.
6 "Vicariota" canzone elaborata da Giuseppe Ganduscio su un originale raccolto da G. Favara. Eseguita da Ganduscio nel 33/17 Lu Carzaratu e nel LP Folk Italiano, e anche da Rosa Balistreri nel LP "Noi siamo nell'inferno carcerati".
Traduzione: Carcere Vicaria, la Favignana/ il castello di Santa Caterina/ maledetto chi ha costruito San Vito (nome del vecchio carcere di Agrigento n.d.r.) di dentro e di fuori è rivestito di lamiera/ chi vi ha un fratello e chi il marito/ in quel misero luogo sconsolato/ il carcerato che la notte non dorme/ pensa alla libertà, muore e si danna.
7 Tupputi Ottavio (Risceglie 1789 - Napoli 7/1/1865) Appena quindicenne si arruola al seguito di Napoleone Bonaparte, con cui intraprende una rapida carriera militare; nominato capitano per meriti di guerra, quindi colonnello, cavaliere dell'impero decorato con la croce della Legion d'Onore. Dopo la campagna di Russia, segue Murat a Napoli ed è a fianco di Guuglielmo Pepe nei moti rivoluzionari. Condannato a morte per i fatti di Monteforte (luglio 1820 - un gruppo di ufficiali borbonici al comando dei tenenti del Reggimento Borbone cavalleria, Morelli e Silvati si erano ribellati chiedendo la Costituzione) la pena gli fu poi commutata in Ergastolo da scontarsi a Favignana. Liberato in seguito all'amnistia regia del 1831 è di nuovo in guerra al fianco del Piemonte nella 1^ guerra d'Indipendenza. Nel 1860, cacciati i Borboni, Garibaldi gli conferisce il grado di Maggiore Generale e poi di Comandante della Guardia Nazionale. Nel Parlamento Italiano è Senatore del Regno e il Re lo nomina Luogotenente Generale e Aiutante di Campo.
8 Nato a Belcastro il 6 gennaio 1775, fu valente avvocato e fervente fautore di libertà. Prese parte attivamente alla costituzione della Repubblica Napoletana animando i liberali napoletani alla conquista di Castel S. Elmo. Arrestato e rinchiuso nelle segrete di Castelnuovo, il 27 agosto 1799, la Giunta di Stato lo condannò a morte mediante impiccagione. Il 27 settembre di quell'anno la pena di morte fu commutata all'ergastolo ed egli fu inviato, il 30 settembre, nella fortezza di Santa Caterina a Favignana, dove scontò due anni di dura prigionia, uscendone nel 1801.
9 Patrioti siciliani, capeggiarono un moto rivoluzionario che il 25 novembre 1856 assalì il carcere di Cefalù liberando Salvatore Spinuzza che venne messo alla testa dei rivoluzionari che dopo poche ore proclamarono un governo provvisorio. Due giorni dopo, al porto di Cefalù fece la sua comparsa la corazzata Sannio e non riuscendo a fermare lo sbarco dei borbonici, Spinuzza e gli altri fuggirono lontano da Cefalù. Dopo circa un mese, durante un conflitto a fuoco, il gruppo venne catturato. Spinuzza fu fucilato, gli altri, i fratelli Botta, Andrea Maggio e Alessandro Guarnera furono graziati e condannati al carcere da scontare sull'isola di Favignana, nelle segrete della fortezza di Santa Caterina e San Giacomo; si trattava di fosse scavate nel vivo della roccia, luoghi che equivalevano quasi ad essere sepolti vivi. La lapide apposta sotto la statua di Nicolò Botta nella villa comunale di Cefalù così recita:giovane ventenne/nel 1856/fu tra i primi ad insorgere/ contro la tirannide/e soffocata nel sangue/ quella generosa riscossa/fu sepolto vivo/ nel carcere di Favignana/Così i Borboni premiavano/ la carità di Patria.
10 Patriota, nato a Ielsi il 1° dicembre 1761. Commissario di Guerra nel 1799. Colonnello della Guardia Nazionale nel 1820 "caldo carbonaro e non molto prudente" (così lo descrive Gugliemo Pepe) Abolita la Costituzione e restaurato l'assolutismo, Andrea Valiante fu catturato, condannato all'ergastolo e tradotto nell'isola di Favignana. Nel 1827 in occasione della nascita del Conte di Trapani , il Valiante ebbe commutata la pena a 30 anni di relegazione nell'isola di Pantelleria, dove giunse il 15 agosto 1828 e lì morì l'8 ottobre 1829.
11 Patriota , nato a Castelvetrano nel 1829. Da Malta ove si era rifugiato durante i moti del '48 organizza uno sbarco in Sicilia per fomentare una rivoluzione contro i Borbone. Il 24 maggio 1854 sbarca nei pressi di Roccalumera, con Giovanni Interdonato e il marchesino Pietro Mauro. Arrestati dalla polizia borbonica (1855) vengono condannati a morte dalla Gran Corte Criminale di Messina, pena ridotta poi a 30 mesi per Scarperia e Interdonato e 2 anni per Mauro. Lo Scarperia, scontata la pena a Palermo, viene poi relegato a Favignana; da lì nel 1859 fugge a bordo di un peschereccio ma viene sorpreso ed inviato nelle carceri di Trapani e poi a Ustica ed infine agli arresti domiciliari a Trapani dove il 4 aprile 1860, dopo il fallito tentativo rivoluzionario della Gancia, a Trapani viene dichiarato lo stato d'assedio e lo Scarperia viene diffidato dal Comandante La Piazza che in caso di sollevazioni popolari la sua casa sarebbe stata bombardata per prima. Volontario con i Mille, il 31 ottobre 1860 viene nominato Capitano del 1° battaglione dei Cacciatori delle Alpi. Medaglia d'oro per aver combattuto per la liberazione della Sicilia, il 12 ottobre 1862 muore a Castelvetrano.
12 Giuseppe Antonio Abbamonte, noto anche come Giuseppe Abbamonti (Caggiano, 21 gennaio 1759 - Napoli, 9 agosto 1819; aderì agli ideali giacobini e nel 1794, coinvolto in una congiura, fu costretto a fuggire a Oneglia. Fu poi a Loano e a Milano, dove nel 1797 pubblicò il Saggio sulle leggi fondamentali dell'Italia libera. Sempre nel capoluogo lombardo fondò il Giornale dei Patrioti italiani e collaborò con il Monitore italiano.Nel 1798 divenne ispettore generale del ministero di polizia della Repubblica cisalpina ma in seguito fu arrestato a causa di contrasti politici.Dopo la proclamazione della Repubblica Napoletana, pur essendo assente dalla città fu chiamato a far parte del governo provvisorio. Giunto a Napoli nella seconda metà del febbraio 1799, organizzò il tribunale di giustizia e fu dapprima nominato Presidente del Comitato centrale e poi della Commissione esecutiva. Partecipò alla difesa della città contro le truppe sanfediste. Dopo la resa, doveva recarsi a Tolone insieme ad altri patrioti napoletani. Ma i vincitori non mantennero i patti e li imprigionarono. Abbamonte fu condannato a morte dalla Giunta di Stato ma, per essersi arreso, la pena fu commutata in ergastolo da scontarsi a Favignana. Liberato nel 1801 si recò a Milano per poi tornare a Napoli definitivamente nel 1806 quando Giuseppe Bonaparte divenne re della città. Qui rivestì importanti ruoli nella magistratura e fu in seguito nominato consigliere di stato da Gioacchino Murat. Rimase in città anche dopo la restaurazione e, sotto il regno di Ferdinando I fu nominato consigliere della Corte suprema di giustizia.
13 Castelvetrano 29/11/1820 -20/10/1882. Patriota castelvetranese. Protagonista dei moti del '48, arrestato dalla polizia borbonica nel 1850 e insieme ad altri patrioti siciliani condannato alla relegazione presso l'isola di Favignana. All'arrivo di Garibaldi è tra i primi ad accorrere ed ingrossare la schiera dei Mille; arruolato personalmente dall'Eroe, incrociò diverse volte il proprio destino con quello del generale che lo tolse anche dai guai in quanto al Pioppo (vicino Monreale) era stato arrestato, dalla squadra Garibaldina di Sant'Anna avendo abbandonato il proprio posto di servizio per procurarsi del cibo. Durante la presa di Palermo, ai quattro cantoni di Porta di Termini afferrò le briglie della cavalla di Garibaldi e lo guidò per un lungo tratto al grido di:Viva Garibaldi!
14 Insieme ad altri patrioti, il 3 febbraio 1799 assaltarono e si impossessarono del Castello di Crotone dove era di stanza una guarnigione borbonica. Il 18 marzo 1799 le truppe del cardinale Ruffo attaccarono la città a colpi di cannone e riuscirono ad entrare trionfalmente in Crotone. Il 20 marzo fu conclusa la resa del castello con il patto di lasciare liberi tutti i cittadini che vi erano rinchiusi. Ma quando i patrioti repubblicani uscirono furono immediatamente imprigionati. Processati ad modum belli et ad horas (ossia solo sei ore di tempo per discolparsi), 4 furono condannati a morte, i restanti a durissime pene nelle peggiori galere del Regno i fratelli Oliveri furono condannati rispettivamente a 20 e 15 anni di reclusione
15 La Famiglia Montalbano tradotto dal vecchio codice della n'drangheta significa letteralmente "famiglia onorata", insomma "onorata società".
16 L'albero della scienza è il simbolo della n'drangheta (sotto il quale si giurava fedeltà, fino alla morte, all'onorata società.), è rappresentato da una grande quercia alla cui base è collocato il Capo Bastone, detto anche Mammasantissima, che è il capo assoluto. Il fusto della quercia rappresenta invece gli "sgarristi", cioè coloro che sono la colonna portante della n'drangheta, mentre il rifusto (costituito da grossi rami che partono dal tronco) è il simbolo dei camorristi, affiliati di secondo piano. Infine sulla pianta ci sono i ramoscelli, ossia i picciotti, e le foglie, che indicano i cosiddetti contrasti onorati, soggetti all'organizzazione ma non affiliati. Le foglie che cadono sono gli infami destinati, per il loro tradimento, a morire.


BIBLIOGRAFIA:

"L'utopia penitenziale Borbonica - dalle pene corporali a quelle detentive" di Giovanni Tessitore, Franco Angeli Editore - Milano 2002
"Wikipedia" enciclopedia libera htpp://wikipedia.org/wiki
"Breve storia delle carceri della Provincia di Trapani" di Giuseppe Romano, articoli vari pubblicati su Polizia Penitenziaria - Società, Giustizia & Sicurezza - Roma.
"Favignana: La perla delle Egadi" di Gaspare Scarcella Ed. Europrint Milano 1977.
"Favignana: Il Forte di S. Caterina" di Vincenzo Adragna (Trapani - Rassegna della Provincia anno 1979);
"Il Forte di Santa Caterina in Favignana" di G. Polizzi. La Nazione - Firenze 1876;
Grande Enciclopedia Universale De Agostini;
Grande Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse;
"Canti dal carcere" a cura di Giuseppe Vettori - Roma 1977- Newton & Compton Editori;
Giornale di Sicilia - novembre 1977; agosto 1979;
Repubblica 15 marzo 2007 "Spinuzza il martire dell'unità" di Ivan Mocciaro.
"Origini Storiche degli Agenti di Custodia" Di Paolo - Colletti - Raciti - Edito da Ministero di Grazia e Giustizia - Roma 1989;
"Storia di Trapani" di Mario Serraino. Corrao Editore. Trapani 1976;
"Le ricordanze della mia vita" di Luigi Settembrini
"www.antoninorallo.it"
"www.neomedia.it"
"I Borboni di Napoli" di Alexander Dumas Libro IV capitolo VII
"Museo Criminologico" a cura di Assunta Borzacchiello. Ed. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Roma aprile 2003;
"IL LAVORO negli Stabilimenti Carcerari e nei RR. Riformatori" Ed. Ministero della Giustizia, Roma Tipografia delle Mantellate 1923.
Archivio Casa Circondariale di Trapani
www.oltreilmuro.org : "la lotta armata dei frati e dei preti siciliani contro i Borboni per l'unità d'Italia" di Alessio Di Giovanni.
"Egadi ieri e oggi" (isolani, deportati, schifazzi) di Michele Galletto Edizioni l'Arcilettore 2008
"Il canto di malavita" - la musica della Mafia - AA.VV. Ed. Amiata Media 200, 2002, 2005 - Produttore Francesco Sbano.
"Castelvetrano e il Risorgimento" a cura del Liceo Magistrale di Castelvetrano "www.liceomagistralecastelvetrano.it"



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