Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

Giuseppe Romano

da: Santa Caterina alla Colombaia

Breve storia delle carceri della provincia di Trapani


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BAGNO DI ESPIAZIONE REAL FORTE DI S. ANNA


In primo piano il Bastione di Sant'Anna

Nel 1863, la Prefettura di Trapani, su richiesta del Comune, dava incarico all'Ufficio Centrale del Genio Civile di procedere alla valutazione dei vecchi fortilizi e bastioni che circondavano la città, al fine di poterli demolire a cura del Comune stesso ed utilizzare le aree di risulta per ampliare gli spazi di pubblico passaggio.
Eliminate buona parte delle mura, ma, specialmente i bastioni e gli spazi verso est, la Città di Trapani cominciò ad espandersi in quella direzione.
Venne quindi colmato il fossato, tracciata la sede dell'attuale via Fardella e lo sviluppo edilizio occupò tutti i terreni disponibili compresi quelli del lago Cepeo, degli acquitrini, delle paludi e delle vecchie saline.
Anche il Bastione S. Anna, costruito in pietra rotta rivestita di conci intagliati,1 non sfuggì all'opera di demolizione di alcune parti, in nome dello sviluppo della città.
I bastioni erano costruzioni a mura inclinate, con ampia superficie di calpestìo nella parte superiore, delimitata e difesa da poderose merlature. Avevano la funzione di assorbire l'urto delle palle di cannone e delle piccole colubrine e costituire una barriera all'assalto nemico.
Molti trapanesi, non sanno che il bastione S.Anna, di cui oggi restano solo le mura a testimonianza delle vestigia passate, fu adibito, sotto la dominazione borbonica, a Bagno di Espiazione e doveva funzionare a pieno regime se, stando ai dati del censimento del 1820 il Bagno di S. Anna conteneva 81 detenuti a fronte di una capienza ottimale di 80. Interessante, è la perizia degli ingegneri del Genio Civile dell'epoca: "Il perimetro di questa prima pertinenza si compone dal Bastione e della cortina limitata sino alla Porta Cappuccina, dalla parte posteriore del Convento di S.Anna. Viene segnato dalle lettere a.b.c.d.e.f.g. La superficie di base è di Are 26,08. Serviva di prigione. I due lucernai h. i. la rischiaravano (…) e. stanza diruta antica abitazione del boia; f.g. Rastrelli 2 che servivano per chiudere i detenuti per respirarvi l'aria a vicenda vivendo rinchiusi sotto terra (…)".


Nel 1863, quindi, erano ancora visibili i due lucernai che servivano a dare luce alle celle sotterranee, come era nello stile borbonico. In realtà, quando si parla di lucernai, bisogna intendere due buche di forma quadrata chiuse da robuste grate che facevano passare la luce e l'aria.
I problemi che affliggevano le prigioni siciliane, all'indomani della fondazione del Regno delle Due Sicilie, erano molteplici, tutti endemici e assai gravi. Alcuni di essi - come la presenza di strutture decrepite e fatiscenti, per lo più costituite da antichi castelli baronali, da conventi o da torri militari in disuso; il sovraffollamento delle carceri, le precarie condizioni igieniche all'interno di esse e il conseguente scoppio di epidemie contagiose - erano talmente macroscopici da risultare evidenti persino agli occhi della poco perspicace burocrazia borbonica, che si sforzava invano di porvi rimedio.
Altri, come l'insufficienza e la mancanza di professionalità del personale addetto alle prigioni, o la incapacità di approntare servizi che rendessero meno aspre le condizioni di vita dei detenuti, consentendo loro di nutrirsi, di vestirsi, e di non impazzire nell'ozio, pur presentando caratteri di altrettanta urgenza e gravità, stentavano ad essere focalizzati da una dirigenza del tutto aliena dal ricercarne le cause e peraltro spesso impossibilitata a compiere scelte che comportassero rilevanti impegni economici. Assolutamente insufficiente era poi - in mancanza di strutture idonee e di un numero di guardiani proporzionato a quello sempre crescente dei carcerati - la vigilanza sui detenuti, i quali, da soli o grazie ad aiuti esterni o alla complicità di qualche guardiano, riuscivano ad evadere con grande facilità.
Il Procuratore Generale del Regno di Napoli e delle Due Sicilie, Pietro C. Ulloa, nel suo discorso letto nell'udienza del 2 gennaio 1841 innanzi la Gran Corte Criminale di Trapani, puntava il dito su ciò che erano state le prigioni siciliane: "logore e antiche torri (…) basse ed umide volte incavate nella rupe (…) sotterranei ove veniva rinchiuso chi si macchiava di misfatti; orride latomie che in seguito scomparvero del tutto essendone vietato l'uso. Continuando il suo discorso, il Procuratore ammise che per lungo tempo non ci fu accorta vigilanza nelle carceri, quando le fughe violente ne schiudevano le porte anche ai meno arrischiati (…) e che in un decennio, dal 1829 al 1838 le evasioni con violenza non furon meno di 239, quelle tentate 194. Non erano rare le evasioni di massa e anche Trapani non sfuggì a quella triste statistica.
Nella notte del 27 maggio 1829 venne perpetrata una grande evasione di massa dal Carcere di Sant'Anna di Trapani alla quale presero parte ben 29 detenuti:Addelia o Ondella Orazio, Ajello Antonio, Battaglia Vito, Bellomo Carmelo, Caruso Gaetano, Colicchia Gaetano, Colicchia Pasquale, Consabella Matteo, D'Alessandro Francesco, Favetta o Falletta Mario, Farina Andrea, Farina Matteo, Fazio Pietro, Genoviso Michelangelo, Gervasi Giuseppe, Grincaldi Salvatore, Gripe Michele, Ingola Giuseppe, La porta Luigi, Lo Dico Santo, Lo Dico Serafino, Luparelli Nicola, Maltese Luigi, Mazzetta Angelo, Munda Tommaso, Napoli Luigi, Pejano Diego, Rizzo Antonino, Saracino Giovanni, Vaccarella Carmelo.


Custode delle carceri del Regno delle Due Sicilie in uniforme ordinaria (1834)

Il Decreto Organico del personale addetto a' bagni penali in Sicilia emanato il 15 marzo 1853 prevedeva per il Bagno S. Anna il seguente personale:
1 Comandante di seconda classe con ducati 21 al mese di soldo;
1 meritorio con ducati 4 idem;
1 Cappellano con ducati 12 idem; 3
1 Chirurgo con ducati 16 idem;
1 Comite con ducati 13 idem;
1 Algozino con ducati 10 idem;
1 Sotto Algozzino con ducati 9 idem;
4 Custodi con ducati 9 per ciascuno idem;

Comiti,4 Algozini5 e marinai nel Regno delle due Sicilie.

Il Regno delle due Sicilie ci ha lasciato una delle più antiche testimonianze legislative sulla custodia delle carceri. Riallacciandosi al prescritto di un decreto reale del 1° gennaio 1817, il 18 dicembre dello stesso anno vennero sanciti a Napoli i "doveri degli impiegati addetti al servizio delle prigioni".
Esaminando attentamente quel documento si scopre che la preoccupazione del legislatore si era concentrata, fra l'altro, sul problema di evitare qualsiasi commercio fra custodi e detenuti o fra detenuti soltanto ("Essi non potranno vendere per proprio conto alimenti, bevande, né altri oggetti necessari ai detenuti… I custodi e i loro aiutanti sono incaricati di invigilare per impedire che i detenuti poveri vendano gli oggetti che quivi sono destinati dal fisco per loro comodo… I custodi non avranno alcun interesse sul profitto o vantaggio derivante dalla fornitura degli alimenti, bevande, abiti od altro…").
Venivano precisate anche le pene per quei custodi che fossero incorsi in qualche disattenzione: se un detenuto avesse venduto il proprio corredo, senza che se ne scoprisse il compratore, "il custode e gli aiutanti saranno responsabili per farne a proprie spese il rimpiazzo".
Col passare degli anni, sotto il regno di Ferdinando II, "volendo dare agli individui addetti alla custodia e servizio interno de' luoghi penali ne' reali dominj al di là del Faro6, a carico della Real Marina, una organizzazione più regolare e corrispondente ai servizi che i medesimi debbono prestare", si giunse - il 10 agosto 1834 - alla definizione di alcune norme fondamentali per la storia dell'ordinamento carcerario del Regno Borbonico.
La più interessante è quella relativa alla dipendenza del personale di custodia dal Comandante Generale della Real Marina, cui spettava di proporre al Ministro della Guerra e della Marina la nomina dei comiti, degli algozini e dei marinai di guardia addetti alle carceri.
Tale appartenenza all'ambito della Marina Militare dell'organizzazione carceraria spiega anche l'origine del termine "bagno penale", essendo i luoghi di detenzione e di pena generalmente ubicati in zone prossime al mare e, di conseguenza, soggette anche ad un'insalubre ed eccessiva umidità.


NOTE:

1 Dalla perizia dei Baluardi di Trapani e sottostanti terreni; sta in "I Baluardi di Trapani a cura di Michele Megale, Edito dal Centro Studi Giulio Pastore, Trapani dicembre 1995.
2 Rastrello: specie di robusto cancello di ferro che si usava calare, di notte, dinanzi alle porte della città e delle fortezze.
3 All'interno del forte, i Cappellani svolgevano il loro ministero nella celebrazione dei riti religiosi e nella somministrazione dei sacramenti ai militari del presidio e alle loro famiglie, nonché ai relegati e carcerati che si trovavano rinchiusi nel castello per espiare la pena. Ma il loro ufficio non era limitato solo all'attività sacerdotale. Ad esempio, specie sulle isole, svolsero "in defectio" compiti di pubblico notaio e rogarono atti, e procure riguardanti i residenti nel castello che, a diverso titolo, non potevano abbandonare il presidio.
Verso la fine del 1700, a cusa dei tanti pretendenti all'incarico di Regio Cappellano, fu introdotta anche la figura del vice Regio Cappellano, dando la facoltà ai conventi della città di Trapani (Carmelitani, Agostiniani, Terzo Ordine Religioso, Domenicani, Parlotti, Mercenari e Francescani) di fornire, a turno e ogni tre mesi un loro religioso. I Regi Cappellani trimestrali, si alternavano nel servizio, oltre che a Marettimo, anche nei forti di Favignana, Colombaia, Castello di Terra e Castello di S.Anna a Trapani.
4 Comito: Sulle antiche galee, sottufficiale cui era affidata la manovra delle vele e la direzione di altri servizi di bordo. Capo della ciurma nella marineria medievale. Dal latino comíte : compagno di viaggio.
5 Gli algozini erano collaboratori dei "censori", i quali dotati di ampi poteri, analogamente a quanto avveniva in altre città del Regno, avevano il compito di porre freno al dilagare del vagabondaggio. Questi incarceravano tutti gli sbandati che incontravano per strada e si curavano di interrogarli "su come campavano e che officio o arte faciano. E quando non lo haviano arte o vero officio ci faciano ijuntione di averla di fare e non andare vagabondi per la città: e questo sotto la pena della galera" . Nel 1580 a Palermo furono nominati 2 censori che"andavano in giro con un bastone dorato in mano di 4 palmi di lunghezza e di grossezza di un braccio , con un salario di 80 onze per uno, ed haviano 4 algozini per loro".
6 E' di quel periodo l'introduzione nei decreti del regno di una inusitata locuzione "al di qua del Faro" e "al di là del Faro" per indicare rispettivamente il territorio continentale e quello insulare.


BIBLIOGRAFIA:

"L'utopia penitenziale Borbonica - dalle pene corporali a quelle detentive" di Giovanni Tessitore, Franco Angeli Editore - Milano 2002
"Origini Storiche degli Agenti di Custodia" Di Paolo - Colletti - Raciti - Edito da Ministero di Grazia e Giustizia - Roma 1989;
"Storia di Trapani" di Mario Serraino. Corrao Editore. Trapani 1976;
"Baluardi di Trapani" a cura di Michele Megale - ed. Centro Studi G. Pastore - Trapani 1995;
"Le incursioni corsare dal XV al XVI secolo" di Petronilla Maria Adelaide Russo. Editecnika - Trapani 1988;
"Frammenti per la storia dell'isola di Marettimo" di Gino Lipari - sta in Il Giornale delle Egadi - Febbraio 2002
Archivio di Stato di Palermo - Real segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale in Sicilia - Dipartimento Polizia Generale in Sicilia. Repertorio anni 1819,1820,1821- sta in Filza n.1; fasc. 1; doc.6; del 29/5/1820.



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