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Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo
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GARZONATO DEL CORALLO
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Struttura corporativa dell'artigianato. Formula contrattuale per l'assunzione del garzone. Rapporto fra apprendista e maestro. Obbligo per il ragazzo di trasferirsi nella casa del datore di lavoro. Durata della prestazione. Struttura della bottega del corollaro. Le prescrizioni sancite dai Capitula dell'arte dei corallari di Genova. Gli esami per diventare maestro. Entità dei compensi corrisposti agli apprendisti. I furti nelle botteghe. Durata dell'apprendistato nel settore del corallo a Genova. Età minima per l'avvio al lavoro. Usanza seguita sia a Trapani e che a Genova di pagare i lavoranti con corallo.
Rapporti fra apprendista e maestro
L'esigenza di tramandare una professione venne ampiamente tutelata da ogni comunità che dal basso Medio Evo in poi abbandonò il criterio dello spontaneismo, per far si che le esperienze accumulate dall'artigianato non si disperdessero con conseguente sommo pregiudizio per la comunità, sia sotto l'aspetto economico che sociale.
La lavorazione del corallo non poteva sottrarsi a questa disciplina; segui, quindi, per analogia le norme praticate nei settori sorti e già regolamentati nei secoli precedenti.
Sostanzialmente le leggi dettate nell'ambito delle singole corporazioni si ispiravano ad un criterio unico, con l'aggiunta, nelle diverse arti, di postille che servivano ad entrare nel merito della disciplina per assecondarne le esigenze specifiche.
Si può dire, inoltre, che non ci fossero differenze rilevanti nelle prescrizioni che Stati diversi e territorialmente lontani si davano per disciplinare le attività esercitate nell'ambito del proprio territorio.
Cosi le regole in vigore a Genova (nell'arte del corallo e non) erano tutt'altro che dissimili da quelle in vigore a Trapani, malgrado la distanza e la profonda differenza della impostazione politica delle due città.
La codificazione di rapporti stabili, duraturi e costanti, fra le vecchie e le nuove generazioni consenti una uniformità nel tempo della tecnica di lavorazione che solo cosi potè perfezionarsi sempre piu. Sarà la tecnologia a distruggerla, rivoluzionando il rapporto intimo tra la fede, la personalità morale pubblica dell'artigiano e il lavoro.
La tutela del garzone va, quindi, intesa non esclusivamente in direzione della salvaguardia dei diritti dell'apprendista, quanto piuttosto verso il mantenimento della professione nell'interesse della struttura sociale ed economica che la collettività si era data.
Era il padre (la madre o un parente adulto in assenza di questi) che assumeva l'impegno contrattuale con il datare di lavoro, per cui sarebbe stato chiamato a rispondere in prima persona nel caso di inadempienza contrattuale del garzone o se questi avesse commesso un reato (nell'esercizio della professione) in danno del suo maestro-artigiano.
La presenza del ragazzo all'atto della stipula del contratto, era, dunque, solo una formalità.
Per contro, la presenza di un adulto serviva a tutelare i diritti del minore altrimenti esposto ai raggiri e ai rischi di un contratto della cui portata giuridica il giovane era totalmente ignaro.
Del resto, nei contratti stipulati fra il '400 e il '500 rarissimamente compaiono minori e femmine (salvo che non siano vedove) se non accompagnati da uomini.
Gli uni e le altre erano facile preda di spregiudicati inganni i cui effetti sarebbero stati pressoché irreparabili, essendo il ricorso alla magistratura estremamente complesso e aleatorio.
Praticamente, per quasi tre secoli, la materia che regolava i rapporti di prestazione d'opera (salvo trascurabili innovazioni) fu disciplinata da leggi immutabili.
A Trapani, nel 1458, Francesco Asinara per la durata di tre anni continui e completi «locavit operas et servicia persone Juliani, sui filij minoris, magistro Jacopo de Piczuto» calzolaio con l'obbligo per il ragazzo di abitare con l'artigiano («ad standum et commorandum predicto tempore et faciendum servicia pertinencia ad dittam artem»). Giacomo Pizzuto si impegnava ad insegnare al figlio di Francesco l'arte stessa («eius filium artem predittam docere in quantum poterit»).
Tutto ciò in cambio di vitto, alloggio, vestiario e scarpe («et hoc pro vittu, vestitu et calciamentis debitis et consuetis et aptis ad condicionem prefati Juliani»).
Il garzone abbandonava, quindi, la sua casa e si trasferiva in quella del suo maestro alla potestà del quale doveva sottomettersi.
Le funzioni educative passavano pertanto all'artigiano il quale aveva «licentiam corrigendi et verberandi» per cui il ricorso a pene corporali era tutt'altro che ipotetico durante lo svolgimento delle sue mansioni che spesso esulavano da quelle di apprendista per coinvolgerlo nella conduzione materiale (lavori di fatica) della casa e della bottega. 190
Il ragazzo non avrebbe potuto licenziarsi prima della scadenza dei tre anni fissati per contratto; se lo avesse fatto suo padre sarebbe stato tenuto a rimborsare il salario percepito, restituire gli indumenti e le scarpe, nonché a corrispondere i danni e le spese: «si illicenciatus recessisset quod dimittatur eo tunc tempus totum per eum servitum et teneatur o o o ad restitucionem rerum videlicet indumentorum et calciamentorum ... et ad omnia damna, interesse et expensas». 191
Era tuttavia consentito al datore di lavoro licenziare il suo apprendista senza per questo doverlo indennizzare in alcuna maniera.
Abbandonato un maestro, al garzone non era consentito impiegarsi presso un altro, salvo il consenso del primo. Ciò per impedire una indiscriminata concorrenza nel settore dell'apprendistato che si sarebbe risolta ad esclusivo svantaggio dell'artigiano-dato re di lavoro originario il quale, dopo avere impiegato del tempo (per insegnare il mestiere al ragazzo, sottraendolo alla produzione propria) e speso denaro (per il mantenimento), avrebbe finito col mettere a disposizione di un suo concorrente un garzone già esperto.
Questi, sulla scorta dell'esperienza acquisita (ancora prima del completamento del tirocinio), avrebbe preteso e ottenuto un salario pitI elevato rispetto a quello che percepiva prima di lasciare il maestro che gli aveva insegnato il mestiere.
Tutto ciò avrebbe fatto lievitare i costi della manodopera.
Ma anche in questo caso scattavano le barriere protezionistiche innalzate dalle corporazioni a tutela degli interessi dei propri iscritti.
In molti degli accordi per la prestazione d'opera di minori era previsto anche un compenso che, tuttavia, andava alla famiglia (come del resto era costume a Trapani, fino a 40 anni fa).
Infatti, nel contratto stipulato fra Bracha Chagegi e Machaluso Greco (entrambi Ebrei) si conviene che per la prestazione a Raffaele, figlio quattordicenne di Bracha, sarà corrisposta la somma di una onza e 12 tari all'anno (che sarà erogata «de tertio in tertium»).
Anche in questo caso per tutta la durata del contratto («annum unum continuum et completum») il ragazzo dovrà abitare con il suo maestro «faciendum omnia ad curallos faciendum et laborandum pertinentia»l92 essendo Machaluso Greco un corallaro.
Non esisteva nel XV secolo, almeno a Trapani, una disciplina specifica per il settore del corallo, per cui le clausole contrattuali sono identiche a quelle riportate in circostanze analoghe in altri comparti artigianali.
Diversamente da quanto avveniva a Genova, a Trapani (dove ancora non esisteva una regolamentazione particolare per l'artigianato del corallo) i contratti di locazione d'opera per questo settore quasi mai prevedevano una durata superiore ad un anno.
Almeno nei documenti notarili riscontrati.
Per i sarti, i vegetari, i calzolai, i contadini e i pastori (vaccari e pecorai) l'ingaggio era pluriennale, salvo rare eccezioni.
Ancora due casi. Rosa Milo, moglie di Salom, impiega il proprio figlio («puer») presso Fadalono Cuyno per un anno, contro la paga di 18 fiorini (entrambi sono Ebrei).193 Anche Sadie (figlio di Davide Lu Presti) di 17 anni viene impiegato per il periodo di un anno presso Charono Cuyno «magister curallero» dietro compenso di 7 fiorini e mezzo all'anno (da corrispondersi in quattro rate). Lu Presti e Cuyno sono Ebrei.194
Analogamente presso gli orefici palermitani la durata dell'impiego del garzone difficilmente andava oltre l'anno, a meno che non si trattasse di orfano.195
Nel primo caso, presente il padre, la durata dell'impiego non si protraeva per piu di un anno; nel secondo, la madre vedova affidava il figlio all'artigiano per un periodo decisamente piu lungo.
Oltre alle ipotesi già esposte, pare utile avanzarne anche un'altra che giustifichi, in assenza di differente indicazione d'epoca, la brevità del periodo di ingaggio dei garzoni presso corallari ed orafi.
Un garzone incatenatore di corone in una incisione di Agostino Carracci. Da A. Daneu pag. 44.
È probabile che questi due settori artigianali fossero caratterizzati da esigenze produttive cicli che e che gli apprendisti-famuli servissero solo a coadiuvare il «magister» e i lavoranti adulti, limitandosi il loro tirocinio all'acquisizione dei primi rudimenti del mestiere. Considerato che il ragazzo andava a vivere nella bottega presenziando all'attività che vi si svolgeva durante l'intera giornata lavorativa (cioè per 10-12 ore), alla fine di un anno avrebbe appreso certamente le nozioni basilari dell'arte. Del resto, poi, per accedere alla corporazione l'apprendista doveva percorrere tutti gli stadi intermedi che precedevano la qualifica di maestro.
Non è escluso, quindi, che il primo contratto di impiegç> si rinnovasse tacitamente per i successivi anni come avvenne per Francesco Liparoto il quale, assunto per un anno, si fermò nella bottega dell'orafo Girbono de Nino per piu di venti anni, come vedremo piu avanti.
Gli esami, comunque, non avrebbero permesso agli incapaci di mettere su bottega, impedendo di compromettere la dignità della corporazione e il prestigio della città.
I capitoli dei sarti di Messina (promulgati nel 1522) a proposito della prova alla quale l'aspirante doveva sottoporsi, lamentavano che «lu juvini lavuranti ... chi ad mala pena sa tiniri la auguglia a li mani voli finire putiga, lo che è in gravi dannu di la mastranza predicta di li custureri et mal nomu di la chitati, che quotidianamente guastano sajuni, giuppuni, et manti et ogni altra sorta di vestimenti per causa che non sanno taglari ... ».196
ATTENZIONE PER VOLONTA' DELL'AUTORE IL CAPITOLO E' INTERROTTO
190 P. Corrao, L'apprendista nella bottega artigiana palermitana, pag. 138.
191 AST - Not. Giovanni Scrigno, 16 gennaio 1458, VI Ind. Testimoni: Ansaldo de Gaudino e maestro Giacomo lu Sardu carridator.
192 AST - Not. Giovanni Scrigno, 20 marzo 1455, III Ind. Testimoni: magister Giovanni Lupifano, Francesco Lamannina e Francesco Lamactana.
193 AST - Not. Giovanni Jordano, 23 ottobre 1418, XII Ind. Doc. deterior.
194 AST - Not. Francesco Formica, 3 novembre 1458, VII Ind. Testimoni: Giovanni Bandino, Francesco de Manzono e magister Bernardo Trinkillu (o Trinkello).
195 P. Corrao, op. cit., Appendice. Il periodo esaminato dall'autore va dal 1299 al 1373.
196 P. Corrao, op. cit., pag. 141.
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DEDICATO A: Mario Tartamella
1986 © Copyright by Maroda Editrice
I Edizione Aprile 1985 Il Edizione Ottobre 1986
Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.
Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.
Fotolito: GAMBA - Roma
L'impaginazione delle tavole a colori è stata curata dall'Editecnika srl Palermo-Trapani
Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Siciliane - Palermo
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