Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo


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FASI DI LAVORAZIONE

Due ebrei trapanesi si trapiantano in Campania per iniziarvi la lavorazione del corallo. Vari tipi di paternostri e collane. Ricerca di altre forme di prodotto finito. Rinascimento. Il fervore nelle botteghe artigiane trapanesi. L'impiego del bulino. L'avvento degli scultori del corallo. Classificazione delle opere. Acquasantiere, capoletti, monetari, calici, ostensori, paliotti, calamariere, ampolline, a nfo re, boccali, candelieri, specchiere. Incastonatura dei framenti. Uso del mastice. Cucitura dei frammenti. Il filone della bigiotteria. Cambiamento di gusti e di tendenze.

Lavorazione mercantile
Agli inizi del XV secolo i corallari Trapanesi, Genovesi e Catalani erano commercialmente piu attivi e tecnicamente piu progrediti rispetto agli altri concorrenti mediterranei. Sia i Siciliani che i Liguri ricavavano lauti profitti da questa attività, in quanto avevano accesso a tutti i mercati del mondo commerciale del tempo. I Genovesi in forza della loro intraprendente marina (mercantile e da guerra), i Trapanesi perché potevano sfruttare i privilegi concessi dalla Corona d'Aragona, ma anche perché erano interlocutori preferiti dei Catalani che controllavano molte vie di traffico con l'Oriente e con gli altri popoli del Bacino del Mediterraneo. Sia gli uni che gli altri avevano accesso ai ricchi banchi del Nord Africa (Marsa-el-Kharez e Tabarca, soprattutto).
Inoltre i Genovesi sfruttavano; piuttosto intensamente, le scogliere coralline lungo le coste della Sardegna e della Corsica.
Nei primi decenni del '400 i Napoletani, quando ancora erano sotto il dominio degli Angioini, pescavano essenzialmente lungo le pur ricche coste del loro Regno ma esercitavano traffici marittimi che erano condizionati dalle forti Repubbliche Marinare e dagli stessi Aragonesi.
È da ritenere che l'interesse dei Napoletani fosse maggiormente rivolto all'ampio retroterra che abbracciava, senza soluzione di continuità, il vasto territorio-mercato che va dalla Calabria al Lazio compreso; i Campani avevano anche la possibilità di rivolgersi ai trafficanti della costa balcanica.
Certamente i Genovesi vendettero corallo ai Napoletani in cambio di grano;139 ma nel '700 le parti si invertiranno perché saranno i napoletani, assieme ad altri, a rifornire di corallo gli artigiani genovesi.140
È verosimile, comunque, che nel XV secolo in Campania l'arte della lavorazione non fosse molto progredita. Lo dimostrerebbe la circostanza che, fra la fine del '400 e gli inizi del '500 alcuni artigiani forestieri furono ingaggiati per prestare la loro opera nelle apoteche di Napoli ed Amalfi.
Gli Ebrei trapanesi Montotera ed Aronne Gergentano, con regolare contratto stipulato 1'8 marzo 1482, si impegnarono (per la durata di un anno) a lavorare paternostri per un committente napoletano dietro compenso di 300 ducati, comprensivo del salario e delle spese di soggiorno.141
Ad Amalfi, invece, Sebastiano Giuliano si associò, anche lui per la durata di un anno, con l'ebreo neofita trapanese Marco Giovanni Zeza per «construere pater nostri de li gru ossi et piczoli».142 Gli attrezzi per la lavorazione (per un valore di dieci tari) dovevano essere approntati da Zeza, mentre Sebastiano Giuliano anticipava i capitali per l'acquisto della materia prima. L'amalfitano doveva mettere a disposizione del socio-artigiano trapanese anche la bottega e l'alloggio, anticipandogli ogni mese sette tari e dieci grana per il vitto.
All'atto della vendita dei paternostri, i due soci avrebbero diviso il ricavato a metà, detratte le spese.
Praticamente la prima delle tre fasi nelle quali per comodità è stata suddivisa la storia della lavorazione del corallo, si esaurisce con la produzione di singoli componenti (sferici, ad olivette, a lenticchie, a fette di melone,143 a cetriolini, a botticelle) piccoli e grossi, lisci o faccettati per ottenere essenzialmente paternostri (o corone di mano, come verranno chiamati nell'800144) e collane.
A fianco a generici paternostri «infilati» quasi sempre con cordoncino di cotone cerato (che costituivano la gran massa dell'attività dei coralI ari a Trapani, come a Genova ed a Napoli), ovvero incatenati con rame o argento - rarissimamente con oro - ne venivano prodotti altri tipi piu ricercati: veri e propri gioielli usciti dalle oreficerie.
Nel contratto di matrimonio tra il dottore in legge Antonio Miciletto e Perina (figlia legittima di Benvenuta e Pietro Corso) la ricchissima dote comprende, fra l'altro, un paternostro di corallo «mixtis cum perulis» del peso di 4 once e 1/4, valutato 2 onze dagli estimatori di jocalia Giovanni Orlando e Giovanni Vincio.145
Come pure qualitativamente eccezionale è il paternostro che Aloisia Tallarisi riceve in dote in occasione del suo matrimonio con Giovanni Miceli. Preciosa, matrigna della «puella virgo», la dota di due paternostri di cui «unum videlicet mixtum cum paternostris de argento». Si tratta di una corona a grani alterni di corallo ed argento.146
La produzione di paternostri e collane non rimane però relegata alla prima fase. Se ne produrranno in ogni epoca, fino ai nostri giorni. Questi articoli verranno sempre richiesti come ornamento elementare ed assicureranno le piu alte rese per artigiani e commercianti.147
È probabile che durante la prima fase (che va dal tardo XIV agli inizi del XVI secolo) siano stati fabbricati anche oggetti piti complessi i quali, tuttavia, rappresentano l'eccezione e caso mai il punto di partenza per una evoluzione generalizzata degli artigiani del corallo. Uno di questi potrebbe essere un «cagnolo de corallo con pede de argento, catinecta et collare de oro», inventariato a Napoli nel 1487.148

La fase della grandezza
La notevole produzione di paternostri e collane che caratterizzò il XV secolo deve avere posto i mercanti di fronte al problema della saturazione dei mercati.
A Genova, Trapani e Napoli migliaia di artigiani (improvvisati e professionisti) lavorarono diecine di quintali di filze che partivano per le destinazioni le più disparate.
Si consideri che nella sola Trapani, ogni anno, mediamente si producevano da 3 a 4 quintali di filze.
Sommando a queste le quantità prodotte a Genova ed a Napoli è facile comprendere come nel corso di un intero secolo (certamente durante tutto il '400) l'offerta di paternostri abbia raggiunto ogni località della costa come dell'interno.
Ragioni mercantili, ma anche l'anelito dell'epoca ad incanalare ogni manifestazione manuale dell'uomo verso l'arte, determinarono il cambiamento di tendenza. Ci avviamo verso la coltivazione intensiva delle campagne che assicurerà maggiori risorse alimentari e verso una maggiore circolazione di oro ed argento (con le ripercussioni collaterali) provocate dalle massicce importazioni spagnole dell'America verso l'Europa Mediterranea. Da oltre oceano giungevano anche materie prime che venivano trasformate nelle botteghe creando lavoro e benessere.
Con il benessere cresce anche il numero degli abitanti. Le popolazioni delle maggiori città italiane nel volgere di un secolo si raddoppiarono. È la grande premessa che genererà forse il piti prestigioso movimento artistico italiano d'ogni tempo.
Le grandi città e con esse tutti i porti mercantili piti fiorenti furono i primi a registrare questo fermento culturale che investi quasi tutte le classi: quelle intermedie (che costituiranno la nuova base burocratica dei regimi politici dominanti) e quelle artigianali.
Il fervore del nuovo secolo decretò l'ingresso del corallo tra le materie prime dalle quali ricavare opere d'arte.
Una evoluzione pressoché costante nella tecnica della lavorazione da parte delle maestranze favorisce una suddivisione in stadi cronologici, anche se nell'ambito di una stessa fase si racchiude il culmine e l'epilogo di un'arte che conobbe anche tante imitazioni.
A Trapani il corallo (ma solo i rami piti grossi) entrò nelle botteghe degli incisori e degli scultori. A fianco ad una attività di trasformazione imperniata sullaproduzione di sferette, si delineò presto - sovrastandola - quella della lavorazione artistica. Gli scultori fornirono i primi saggi di statuette in corallo che si affermarono sulla scia del fascino che questa materia aveva sugli uomini del tempo.
A valutare dalla sezione delle opere pervenute fino a noi, è da ritenere che nel '500 e nel '600 si pescavano rami il cui diametro, allo stato grezzo, doveva aggirarsi sui 7-8 centimetri.
I nuovi corallari del '500 usarono attrezzi creati per altre materie per cui dal prodotto finito non emergeva il meglio che la nuova tecnica poteva assicurare.
Forse i primi corallari, i veri artigiani del corallo, furono costoro, perché per fabbricare paternostri veniva assunta manodopera generica e non specializzata, in virtù del fatto che per pulire i rami, tagliarli per ottenere sferette, bucarle ed infilarle occorreva solo attività manuale e non inventiva e cultura.
Nel primo periodo i lavori che uscirono dalle botteghe degli scultori in corallo (in considerazione del fatto che la resa artistica non era perfetta) poterono avere un mercato soprattutto in funzione della novità e delle prerogative insite nel prodotto impiegato. Solo quando i Trapanesi inventarono il bulino si registrò una svolta. 149
Praticamente, piuttosto che fare ricorso allo scalpello indispensabile per togliere materiale al pezzo informe (pietra o legno), per il corallo era necessario un arnese che scalfisse senza alterare. Ebbe cosi inizio la fase che si protrarrà per più di due secoli e consacrerà il corallo ed i suoi artigiani al mondo dell'arte, (a cavallo tra l'oreficeria e la scultura in genere).
Durante questa fase l'arte orafa siciliana passò attraverso tre stadi stilistici successivi. A metà del '500 alle forme Gotiche subentrarono quelle Rinascimentali, poi si affermò il Barocco.
A Trapani il periodo di maggiore splendore della scultura del corallo corrisponde all'epoca del Manierismo e del Barocco.150
Nell'ambito di questo periodo, del corallo si fecero due usi: i rami piti grossi furono destinati alla produzione di statuette di ispirazione sacra, mentre i rami più piccoli e i cascami di lavorazione incrementarono il ricchissimo filone delle composizioni architettoniche in metallo (in genere rame dorato), madreperla e legno con l'aggiunta di smalto, nonché per l'oggettistica minuta tradizionale. Infine, le due fasi coincisero e si sovrapposero raggiungendo il culmine dell'espressione di quest'arte. Tuttavia, la tecnica di lavorazione rimase unica: la nuova scuola continuò ad usare i raschetti e la sabbia di Tripoli per rimuovere la patina che riveste i rami, la mola per arrotondare e modellare i singoli componenti dei paternostri e delle collane, il fuseIIino per bucarli, riservando l'impiego del bulino alla scultura.
I punti di riferimento per l'individuazione dei due stadi possono essere bene rappresentati da due opere «tipo»: la Montagna di Corallo (inviata in dono al Re di Spagna) del 1570 e la Lampada di fra Matteo Bavera (unica opera datata dall'autore) del 1633.


Dipinto murale sullo stipite interno dell'arco a sesto acuto nella fonte battesimale della chiesa dell'Annunziata a Trapani. Uno dei dipinti riproduce la pesca del corallo con un metodo praticato a Trapani nel XVI secolo. L'affresco è stato eseguito su commissione dei pescatori nell'anno 1536.

La prima, purtroppo, non è pervenuta fino ai nostri giorni, ma può essere paragonata ad altri due tipi di creazione dell'epoca: natività e presepi (per quanto la struttura e le dimensioni della Montagna di Corallo la distacchino nettamente dalle opere similari).
La seconda, invece, è punto di riferimento (cronologico e di stile) per la classificazione di un ampio campionario di capolavori custoditi presso molti musei d'Europa 151 e presso collezionisti privati italiani e stranieri. 152
Durante questa fase si rileva tutto un susseguirsi di creazioni, invenzioni e scoperte che mantennero sempre alto l'interesse verso il corallo.

ATTENZIONE PER VOLONTA' DELL'AUTORE IL CAPITOLO E' INTERROTTO



139 G. Tescione, Italiani alla pesca ..., pag. 45.
140 ASG - Artium, filza uno. Da un documento che porta la data del 21 dicembre 1732 si rileva che nel porto di Genova «napoletani, liparoti, trapanesi, corsi et altre nazioni» sbarcarono forti quantitativi di corallo.
141 Filangeri di Satriano, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle province napoletane, vol.
IV, pagg. 344-5.
142 ASN - Not. Antonino de Campulo, 27 agosto 1505, II Ind. Cito da G. Tescione.
143 G. Tescione, op. cit., pago 47.
144 Libro delle stime fatte in tempo di Giacomo Costadura Console degli orefici di questa Citta di Trapani, del 1814, in mano a privati palermitani. Nella dote che il2 ottobre 1814 Donna Caterina e Don Giuseppe Ferro costituiscono al genero è indicata tra l'altro «una corona di mano di corallo incatenata di argento con croce e conetta indorata/oro, argento e coralli» del valore di 1 onza e 18 tari.
}45 AST - Not. Giovanni de Nuris, 21 ottobre 1426, V Ind. Testimoni: Giovanni Pisano, Pietro La Serra, Cicco Adamo, Corrado Fiorentino, Tommaso Vincio, Masi Vincio, Giovanni Navarra, Andrea Garofalo, Pietro Di Gregorio, Giovanni Di Gregorio, Berto Puyata.
146 AST - Not. Giovanni Scrigno, 2 luglio 1456, IV Ind. Testimoni: Giovanni Ferreri, Magister Enrico Lucampu, Magister Giacomo de Nino.
147 G.F. Pugnatore. A proposito di questo tipo di lavori che si facevano a Trapani intorno al 1590 scrive «... ne fanno con grande industria lavori chi tondi come cirase e chi lunghi in guisa di olive. I quali da poi infilati che siano, quelli son di cui s'ornano il collo e le braccie le donne et i fanciulli», pag 20l.
148 G. Tescione, op. cit., pago 47.
149 L. Orlandini, op. cit., pago 44. «Di loro è l'invcntionc di lavorar col barino politamcntc il corallo».
150 Stili che per altro si riflettevano in tutte le altre manifestazioni creative. A Trapani la cappella dei marinai, presso la Basilica dell'Annunziata edificata dal 1512 al 1550, è di netta ispirazione gotica. Molte opere in corallo dell'epoca riproducono gli stiIemi che l'arricchiscono.
151 Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, Kunstgewerbe Museum di Berlino, Museo Hermitage di Leningrado, Vicroria and Albert Museum di Londra, National Museum of Ireland di Dublino, Kunsthisroriches Museum di Vienna, Museo Arqueologico di Madrid, Museo S. Vicente di Toledo, Museo Mares di Barcellona, Museo Nazionale San Martino di Napoli, Museo Città del Vaticano, Museo Civico Udine, Museo Civico Termini Imerese, Duomo di Monreale (Tesoro), Museo Martina Napoli, Museo Archeologico Agrigento, Galleria Nazionale della Sicilia Palermo, Museo Regionale Pepoli Trapani.
152 Boloeil (Belgio) Castello di Ligne, Innsbruck (Austria) Castello di Ambras, Longleat (Inghilterra) Collezione Marchese di Bath, Milano e Roma collezione Feltrinelli, Milano Collezione Carlo Borgomaneri, Firenze Collezione Duchessa di Canevaro, Roma Collezione Doria Pamphily, Roma Collezione Medici, Trapani, Marsala, Palermo, Calatafimi, Ragusa.



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DEDICATO A:
Mario Tartamella

1986 © Copyright by
Maroda Editrice

I Edizione Aprile 1985
Il Edizione Ottobre 1986

Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.

Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.

Fotolito: GAMBA - Roma

L'impaginazione delle tavole a colori è stata curata dall'Editecnika srl Palermo-Trapani

Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Siciliane - Palermo





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