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Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
CORALLO - Storia e arte dal XV al XIX secolo
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LUOGHI DI PESCA
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Banchi sfruttati nell'arco di molti secoli e individuazione di nuovi lungo le coste dell'Africa del Nord, della Sicilia, della Sardegna e della Campania. Tabarca e la scoperta di un nuovo banco da parte di un trapanese. Marettimo e Favignana, Calabria. Porti genovesi per le coralline e luoghi di lavorazione in Liguria. Secche sui litorali sardi. Gran pesca in Sardegna nel 1599. Imposta sul pescato. Disputa fra Liguri e Catalani. Tipo di coralline usate in Sardegna nell'800. Localizzazione dei banchi.
Il corallo usato dalle civiltà mediterranee è stato pescato praticamente sempre nelle medesime località. L'alternanza di attività esercitata sui banchi (conosciuti orm~G da secoli) consente di individuare alcune zone ben definite, non escludendo, tuttavia, che altre vene possano essere. Ma, fino a questo momento, l'empirismo, unico supporto dei corallini, consente di conoscerle tutte.
Il corallo pescato nel mare di Trapani era già famoso ai tempi di Plinio; nel XIV secolo si torna a parlare di quello di Bonagia, di San Vito Lo Capo e dell'isola di Nelia, che secondo Pugnatore dovrebbe essere Marettimo.
Marsa-el Kharez e Tabarca erano i punti di riferimento dell'intensa attività esercitata dagli Arabi, soprattutto nei secoli XII e XIII.
Ma si pescava corallo anche «nelle isole Steccadi dette forse oggi le Pumici, poste in fronte a Marsiglia... ne nasceva appresso ai Gravisci». Davanti a Napoli e presso Ischia «il qual corallo... di colore era verde» e nel Golfo Persico «nel qual luogo era chiamato fiace». E provato che nel 1333 alcuni pescatori napoletani ottennero la concessione per la zona compresa fra punta Minerva e Capri. Nel periodo della dominazione angioina in Sicilia il corallo si pescava anche nelle isole Lipan.
Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo «presso al monte Gargano», «nel faro di Messina inverso l'Italia» e «assai pure appresso all'isola Ponza, posta all'incontra della maremma di Roma, ma per tema de' corsari scarsamente pescato. Trovasene parimente appresso a Marsiglia, ma non però molto. Gran quantità sopra tutto se ne trova d'intorno a Bosa ad Oristagno, et a Argheri, lochi tutti di Sardegna».76
Non essendoci però contezza definita degli imponderabili fondali marini ed evolvendosi latecnologia (quanto che fosse rudimentale per quei tempi) altri banchi sono stati individuati nei pressi di quelli sfruttati in precedenza, per cui il Mediterraneo ha riservato sempre nuove sacche di agglomerati corallini.
Un'eventualità di questo genere dovette verificarsi intorno al 1535 , quando un trapanese individuò un nuovo banco nei pressi dell'isola di T abarca. Lo storico Giovan Francesco Pugnatore, che finì di scrivere una storia su Trapani nel 1591 , ne fa una descrizione che chiarisce un equivoco secolare. Forse a causa della deformazione, nella tradizione popolare, si affermava èhe la scoperta dei banchi di Tabarca doveva essere attribuita ad un trapanese; ma la realtà è diversa e lo storico bresciano lo conferma. Un liparoto, già fatto schiavo dagli Algerini, venne redento e sbarcò a Trapani. Qui raccontò ad un pescatore che passeggiando sulla spiaggia di Buggia «vi aveva con grande avvertenza veduto assai fragmenti di corallo esser mescolati con l'arena del mare, gettata per fortuna in su litto» Venne armato un vascello, che parti alla volta di Tabarca «cosE d'uomini come di necessarj ordigni fornito». «Postosi a tentar la prova, gran copia di corallo trovovvi, e particolarmente attorno a quell'isole, che, per essere a Tabarca assai prossima, ha parimente ricevuto il nome da lei».
Quindi non si trattava del già noto banco di Tabarca, del resto sfruttato ampiamente dagli Arabi e dai Genovesi, bensl di uno ad esso contiguo.
Quando la notizia del ritrovamento si diffuse a Trapani «molti altri corallari i quali ciò intesero, si posero a seguir la sua traccia». Il pescatore che aveva sfruttato l'informazione delliparoto chiese ed ottenne dall'imperatore Carlo V «che egli solo, e null'altro, senza sua licenza, potesse far in Tabarca cotal pescagione». Ma, quando Carlo V riparti da Trapani, dove era giunto dopo la vittoria conseguita nella battaglia navale contro i Mori, «minacciato dagli altri corallari di morte, se non rinunciava al privilegio», il pescatore non rivendicò piu il diritto di esclusività che peraltro poco piu tardi venne accordato al genovese Lomellini, il quale comandava una nave che si era distinta nella guerra contro i Mori.
Analogamente, non dovette essere una novità assoluta la scoperta del banco di corallo allargo delle Egadi, avvenuta nel 1651 e ricordata in una lapide murata nella facciata della chiesa di Santa Lucia (eletta dai corallini come propria protettrice assieme a San Liberante, essendo invece i patroni dell'arte il Santissimo Crocifisso e San Filippo Neri) andata poi distrutta.
Al ritrovamento del corallo a Marettimo accenna Plinio; ma in quei luoghi dovette essere pescato anche successivamente se nel 1568 il Vicerè di Sicilia, marchese di Pescara, vi fece costruire «un'altra fortissima rocca, vicina alla cala di Santo Simone», oltre che per difendere la stazione di vascelli, «quanto per assicurare la pescaggione del corallo, la quale già vi aveva di far designato per relazione, che aveva di esservi ella stata già fatta infin a tempi assai innanzi passati».
Nel 1572 fu individuato un banco nella zona di mare che va da Favignana a Marettimo.77
Il XVII secolo fu senz'altro il piu proficuo sia per la lavorazione che per la pesca, perché pure a questo periodo risale il rinvenimento di ricchi banchi lungo le coste calabresi, sfruttati essenzialmente dai Napoletani che nel settore vantavano già un'esperienza notevole. Le coste calabresi torneranno d'attualità due secoli piu tardi e a riscoprirle saranno i Torresi.
Pure cospicuo dovette essere il ricavato del ritrovamento ad opera di Trapanesi di un altro banco che diede «una copiosissima quantità di coralli» avvenuto nel 1673 in una zona di mare che dovrebbe trovarsi nella parte sud orientale della Sicilia. Anche questo avvenimento fu tramandato con una lapide che oggi è murata in un atrio della Biblioteca Fardelliana.
Lapide murata nell'atrio della Biblioteca Fardelliana a Trapani.
Durante i primi decenni del XVIII secolo l'artigianato venne alimentato dalle consistenti scorte accumulate nel secolo precedente. Campani e Siciliani praticarono la pesca lungo il versante costiero meridionale della penisola, mentre Toscani e Genovesi operarono lungo le coste della Corsica e della Sardegna. Nel '700 i principali porti della Repubblica di San Lorenzo da dove partivano le coralline erano Alassio, Diano, Cervo e Laigueglia. La lavorazione, invece, oltre che a Genova veniva effettuata a Bisagno, Polcevera, V oltri, Rapallo e Sestri Ponente, specialmente durante i secoli XVI e XVII. Ma i loro lontani progenitori erano stati i pescatori di Portofino che nel 1154 si erano riuniti in consorzio per innalzare una chiesa in onore del Santo Patrono della Liguria.
Quando nel 1700 le risorse si assottigliarono un pò dovunque, sulle coste della Sardegna le coralline riuscivano a strappare tanti preziosi rami. Le principali secche, disposte da nord a sud partendo dall'isola di Mal di Ventre, scendendo fino a Capo Teulada, all'isolotto del Toro e girando a levante per arrivare all'Isola dei Cavoli e Capo Carbonara, sulle quali operavano le coralline, erano: Mal di Ventre, Catalano, Capo Pecora, Cala Domestica, Pan di Zucchero, La Ribao, Seccatelle) Burrona, Corno di Capo Sandali, Manlecca, Spalmatore, Capo Sperone, Toro, Capo Teulada, Fortezza Vecchia, Isola dei Cavoli. Questi banchi si trovavano a profondità variabili dalle 60 alle 80 braccia.78
Sulle coralline (quasi tutte erano barche latine da una a sei tonnellate di stazza) si imbarcavano i Torresi che venivano impiegati nei posti in cui la loro maggiore esperienza in materia di pesca del corallo li rendeva piti preziosi; i Sardi, invece, in genere conducevano barche adibite alla pesca costiera.
Le risorse coralline della Sardegna furono sfruttate intensamente anche nel XVI secolo; e nel 1599 si fece una gran pesca a largo dell'Isola di San Pietro. Lo si rileva da una ordinanza del Luogotenente Generale di Sardegna, Ferdinando Sabater, che imponeva il pagamento di un diritto del 12 per cento sul pescato: «Attes que aventçe Jet lo ensaig en las mars de la illa de Sanct Pere y haverçe trobat en aquel!as haveri molto coral y vengudes a pescar a quel! ultra çent barques, y Jerce bona pesca, y haventçe de imposar en dit corallo dret par Sa Magestad ...».79 A quel tempo l'imposta sul pescato era del lO per cento.
Se ne pescò tanto abbondantemente da comprometterne il mito: «... hora mercé la quantità che da quei mari si cava... è reso pressoché dozzinale».80
Agli inizi del '700 sulle coste della Sardegna erano presenti le coralline portoghesi, che presto lasciarono il campo ai Torresi. Questi vi si fermarono fino al 1780, quando fecero rotta sulle coste africane dove erano stati scoperti i banchi di Summo e dell'Isolone.
Durante il XVIII secolo ci fu uno spostamento massiccio di coralline genovesi, trapanesi, napoletane sulle coste della Sardegna e della Corsica (ma presso quest'ultima in misura piti modesta). Tanto che il gettito dell'imposta del 5 per cento sul corallo pescato, che nel 1721 aveva fatto affluire alle casse regie 4320 lire, nel 1755 salI a 6900 lire, e quindi a 20 mila lire nel 1790.
Altre barche napoletane avevano frequentato le coste sarde nel XVI secolo.
Su questo stesso mare avevano puntato pure i Liguri.
Nel 1605 il genovese Giovanni Antonio Marti, mercante, chiese e ottenne la concessione di pesca su gran parte del litorale sardo (da Capo Pula a Capo San Marco).81
Ma già nel 1469 i genovesi, che avevano ottenuto una vasta concessione, diedero impulso alla pesca del corallo lungo le coste sarde. Questa condizione particolarmente favorevole ai Liguri fu osteggiata dai Catalani i quali, per alimentare le loro bene avviate industrie manifatturiere di Barcellona, puntavano al consolidamento delle loro posizioni di privilegio nella compra di quel prodotto nell'isola, oltre che in Sicilia, (Trapani e Palermo).
Pure sfruttate furono le coste a nord, fra la Sardegna e la Corsica; in particolare, la secca di Tizzano e la Secca Grande.
Nel 1869, sulle scogliere dello Stretto di Bonifacio (fino a Bastia) erano presenti 52 barche con 474 uomini. Mentre, nello stesso anno, attorno alla Sardegna operarono 206 barche, con 2130 uomini.82
In Sardegna, nel tardo '800, per la pesca del corallo, si impiegavano bilancelle, piroghe, fregatine o carlofortine {queste ultime corrispondenti alleudo genovese) che portavano una grande vela latina e bulaccone. Ma tutte queste barche svolgevano anche altre attività marittime come la pesca costiera o il trasporto di merci (formaggi, cereali o masserizie).
Ma, praticamente, i corallini si spostavano nel Mediterraneo dovunque ci fosse la possibilità di pescare su nuovi banchi.
Una testimonianza eloquente di questo fenomeno è data dalla deposizione rilasciata da padron Giovan Battista Castagna (il quale sin da ragazzo aveva lavorato sulle coralline trapanesi) nel 1789.
«Fu a pescar ne' mari di Sardegna anni ventisei circa adddietro (1763) con diverse barche di questa... Indi anni 24 addietro fu esso testimonio a pescar con diverse altre barche coralline di questa ne' mari di Venezia o sia nella Cefalonia, e Santa Magra in Levante e pescarono cantara trenta circa di corallo medietà de' quali lo sbarcarono in Livorno e l'altra medietà lo lasciarono in questa Trapani... siccome ugualmente ha stato a pescare ne' mari di Siragusa e Braccietto in Lipari Lustica, ed in altre parti ... ne' mari della Galita».83
Particolarmente ricche erano le zone di Gallipoli e del Gargano, ma anche di Taranto dove la pesca risale alle origini della stessa città; a Gallipoli la pesca fu tanto vantaggiosa (per qualità) e abbondante da richiamare i pescatori di Trapani, Lipari e Torre del Greco.84
Una volta individuato il banco sorgeva poi il problema di localizzarlo esattamente in modo da poterlo ritrovare.
È bene ricordare che fino ad un cinquantennio fa le barche (per la cattura del pesce o del corallo) erano pressoché sprovviste di attrezzature che non fossero strettamente indispensabili per esercitare l'attività. Il sestante, la bussola, il compasso e la squadra per fare il punto nave sono comparsi solo nell'800 sulle coralline per cui i marinai ricorrevano ad ogni empirismo per fissare la zona dove si trovavano i banchi di corallo.
Si può avere una cognizione esatta di come andavano le cose soffermandosi sulla lettura della lapide che i pescatori trapanesi fecero murare all'esterno di una chiesa (distrutta dai bombardamenti nel corso dell'ultimo conflitto mondiale) per ricordare la fortunata pesca del 1651.
«Li pescatori di trapani ritrovarono una sicha di corallo quindeci miglia per maistro di lo Capogrosso di Levanso per libeccio la canalata in cima della Torre di Maretimo: per scirocco il Capogrosso di Levanso e la cava di San Teodoro: e per levante il balaticcio di Bonagia e le colline della montagna di Baida chiamate li Pagliaretti: e li medesimi fecero questo scritto marmoreo a memoria, e benefitio delli loro posteri S. Lucia». L'avvistamento di questi punti sulla terraferma implicava condizioni metereologiche di perfetta visibilità che non sempre si verificavano.. Per potere tornare con una certa facilità sulla zona della scoperta, i corallini trapanesi e torresi usavano lasciare un «pedagno» o «perale»; un galleggiante che ritrovato dagli occhi attenti dei marinai consentiva l'individuazione del tratto di mare sul quale si poteva riprendere la ricerca.
Da questo momento in poi tutto era affidato alla perizia dell'uomo che manovrava la corda alla fine della quale era fissato l'ordegno che, passando sui fondali, avrebbe divelto i rami di corallo.
76 G.F. Pugnatore, op. cit., pag. 161.
77 G. Polizzi, Le iscrizioni pubbliche esistenti a Trapani.
78 Un braccio marino, corrisponde a 180 cm (con qualche variazione a seconda delle regioni).
79 ASC - Ordinanza emessa a Cagliari il 17 agosto 1599.
80 G.D. Peri, frutti di Albaro.
81 ASC - Concessione del 28 giugno 1605, Registro P6, fase. 236.
82 Annali del Ministero Agrie. Ind. e Comm., La pesca in Italia, vol. I, parte III, pag. 665.
83 AST - Busta 69. Atti vari 1787-1788. In F.Benigno, Il porto di Trapani nel settecento, pag. 73.
84 I. Iuvenis, De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna, pag. 459.
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DEDICATO A: Mario Tartamella
1986 © Copyright by Maroda Editrice
I Edizione Aprile 1985 Il Edizione Ottobre 1986
Per il cortese contributo di esperienze, si ringraziano le famiglie: Adragna, Alagna, Barraco, Barresi, Burgarella, Cammareri, Cardella, Cirafici, Curatolo, D'Ali, D'Angelo, Fardella, Fa da le, Giacalone-Salvo, Governale, Ingarra, La Porta, Manzo, Marini, Marotta, Matranga, Messina, Orbosué, Parigi-Fontana, Romano, Todaro, Virga; nonché le Dirigenze del Museo Regionale «Pepoli» di Trapani e del Castello di Boloeil.
Un ringraziamento particolare al dottore Aldo Sparti (Direttore dell'Archivio di Stato di Trapani) per la costante e dotta disponibilità.
Fotolito: GAMBA - Roma
L'impaginazione delle tavole a colori è stata curata dall'Editecnika srl Palermo-Trapani
Fotocomposizione e stampa: Arti Grafiche Siciliane - Palermo
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