Alberto Costantino


La Colombara
di Trapani


la copertina del libro

- la copertina -
Colombara, notturno
foto di
Andrea Gigante







Essais
Collana di saggi
diretta da
Alberto Costantino
1


© Ignazio Grimaldi Editore S.a.s.
via Palermo 116
Trapani

Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

LA COLOMBARA DI TRAPANI
di Alberto Costantino


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Fonti storiche e letterarie

La Colombara: ragguaglio storico

Trapani, per la sua posizione geografica aperta al mare, quasi punta estrema dell’occidente siciliano, (essa è Capo Boeo), fin dalle origini rappresentava porto naturale appetibile e terra di conquista. Proprio all’imboccatura del porto è situata un’isoletta che per la sua posizione fu considerata di grande importanza strategica, civile e militare. Fu sicuramente per questo che probabilmente fu fatta costruire la prima fortificazione.
La costruzione per motivi militari, viene attribuita ad Amilcare Barca durante la prima guerra punica. Il cartaginese difatti, conquistò quello che allora poteva essere un villaggio sicano (Trapani), trasformandolo poi in città con delle fortificazioni e circondandolo di mura.
Per popolarla, sembra abbia fatto emigrare molti ericini a valle. (Fardella Giuseppe, Parroco - Annali della Città di Trapani - Ms. 193 - Biblioteca Fardelliana).
Così su quella isoletta o scoglio sorse la prima fortificazione con torre. Il suo nome fu Peliade.
Questa precisazione sul villaggio sicano, fa supporre che Trapani sia nata solo come porto, a valle di Erice, ma comunque postumo a quello sul litorale di Pizzolungo, dove approdò e fu sepolto Anchise, padre di Enea. Oggi anche gli archeologi concordano che la nascita della città sia avvenuta durante il periodo punico, appunto attorno al porto naturale che serviva ai Cartaginesi come base delle loro battaglie.
“Nel principio che i Greci e Cartaginesi incominciarono a perseguirsi con armate a vicenda, et [...] che all’ora i Cartaginesi, vedendo che così «andavano» per tutto l’occidental mare dell’Isola trascorrendo, com’essi facevano per l’orientale di quella, edificassero in su i più meridional di quei scogli, che alla città di Trapani ci hanno mostrato esser vicini, quell’antichissima torre che poi [...] fu Colombaia chiamata: affin che ella, col fuoco allumatatovi sopra, avesse a quelli lor legni, coi quali sovente nel porto di questa città per i loro affari venivano, potuto quasi addetare da lunge i soui vicinissimi scogli che da schivare vi avessero, et il porto insieme, dove, vedendo, intrar e sorgere agiatamente potessero".
Questa la descrizione fatta dal Pugnatore (Ms. 256 - Bibl. Fard. TP) dell’origine della Colombaia e aggiunge "E forse anco allora fu fatta da loro tra’ scogli de suoi fundamenti quella grande e cupa cisterna che oggi (nel XVI sec.) tuttavia dentro all’istessa torre si vede; acciò che, mentre l’armate loro in porto ivi stessero, elle avessero quindi potuto provvedere di bon’acque da bere, se non per tutte la gente almeno per le più onorevoli tavole: [...]". Poiché “Non have Trapani altre acque per questo bisogno più prossime, essendo quelle delle private cisterne poco per avventura [...] e basterevoli". Da ciò traspare chiaramente che fin da tempi remotissimi la città aveva penuria d’acqua e la conoscenza di questa grossa cisterna nella Torre della Colombara è sicuramente un dato di fatto che sta a significare la sua origine militare.
Ma il Pugnatore aggiunge che alcuni per accrescere l’antichità della Torre, dicano ch’essa fu costruita ancor prima della venuta dei Cartaginesi, “Ma ancora nell’istesso primo principio di Trapani, tanto per poter quei pochi abitatori, che prima vi venissero, aver quindi vedetta di vasselli nimici, che da lontano venissero, quanto potervisi ancor retirar dentro sicuri da’ nimici di terra". (Ms. 256 - Bibl. Fard. TP.).
Ma lo stesso Pugnatore continua questa argomentazione, che comunque afferma, essere opera costruita «Forse più duemila anni». Affermazione fatta verso la fine del XVI sec. in quanto il manoscritto del Pugnatore è datato 1595.
Altre fonti e secondo alcune tradizioni, sarebbe stata costruita dai Troiani fuggitivi: Torre e fortezza edificata sopra un’isoletta o più tosto scoglio, che sta sula boca del porto di Trapani pel mezzodì. Ella è di fabbrica ottagonale rotonda, e di tanta antichità ricolma, quanto che credasi struttura de’ lontani Trojani venuti con Enea in Sicilia. Altri però la vogliono edificata da’ Cartaginesi, ma in tanto, per antichità così enorme che di sé vanta, corre il proverbio di tenere chi è vecchio gli anni della Colombara di Trapani. Il Viceré Giovanni De Vega, che fiorì nel 1547, fu colui che, aggiungendo alla torre nuove muraglie e validi baluardi, la ridusse in forte munito castello di stimarsi quasi inespugnabile. Il nome di Colombara lo deriva ella dalle colombe, che dagli gentili venivano dedicate a Venere, venerata sebben lontana tale deità sul monte Erice. In questo scoglio e castello in mare relegati vengono dal Governo ordinariamente tutti quei rei, che di gravi delitti vergognosi e convinti debbon ivi penali giorni (37). L’isola di Maretimo, la fossa do S. Catarina dell’isola di Favegnana e lo scoglio della Colombara di Trapani sono luoghi di esiglio più terribili che si fan provare a’ delinguenti.
Francesco Maria Emanuele e Caetani. Torri di guardia dei litorali della Sicilia. Edizioni Giada 1986, tratto dal Ms. Qq.E.97 conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo e datato 1797.
Da queste fonti si può quindi azzardare approssimativamente una data che fa risalire la Torre, o quello vi era prima, attorno a XXIV secoli fa, anche se nulla di quel tempo rimane.
Successivamente l’isoletta cadde sotto l’assedio romano. Fu il console Numerio Fabio che assediò la città e conquistò Peliade (la Colombaia) in una sola notte, sterminando il presidio cartaginese. Abbandonata, la Torre fu ridotta a nido di colombe.
E dalle colombe trae origine il suo nome attuale. Sembra infatti che secondo alcune fonti, un mito pagano faceva considerare sacre queste colombe alla dea Venere, avente culto per l’appunto sulla vetta ericina. «Plejades ... des colombes du mont Erix, qui se rasseur, blaient sur ce rocher, au moment deleur de part pur l’Afrique» (Gigault pag. 21).
L’isoletta, come si legge nel testo francese, serviva con molta probabilità alle colombe come ponte di appoggio prima di spiccare il volo verso l’Africa.
La cosa è confermata anche da una antichissima tradizione orale. In onore della Venere ericina a Trapani il 23 aprile si festeggiava il katagoghia cioè l’inizio della bella stagione, detta «a staciuni», liberando una moltitudine di colombi che si alzavano in volo. La stessa cosa avveniva sul Monte il 25 ottobre con l’anagoghia, con l’entrata cioè dell’autunno. Le due fasi dividevano l’anno in due parti: la primavera-estate e l’autunno-inverno, le quali ci danno il significato di come le stagioni intermedie nella Sicilia occidentale siano quasi indistinguibili.
Dopo questa ricostruzione leggendaria, vi è un lasso di tempo più o meno ampio in cui non si sa più nulla. L’unica cosa certa è che gli Orientali rifabbricarono la Torre che servì a uso di faro.
Secondo il Polizzi e il Marco Augugliaro, storici trapanesi, fu allora che prese la forma ottagonale (meglio ellittica) che tuttora conserva.

Interni della Colombara. Il carcere

«Ottagonale, rotonda, anzi ellittica, alta venti canne con otto di diametro, chiusa in quel tempo con mura in forma ovale, che distindevasi per lo circuito di canne ottanta».
Così lo descrive il Massa (V. II, pag. 430) per cui le successive trasformazioni non influiranno più sulle sue dimensioni esterne.
Così si salta al 1360, quando si hanno notizie che la Colombara servì per tre giorni come prigione (o anche semplicemente come domicilio) della regina Costanza che doveva andare in sposa a Federico III. Per ordine di Guido da Ventimiglia che temeva che Costanza togliesse a lui la Prefettura di Trapani e al fratello l’amministrazione del Regno, la Regina non fu fatta sbarcare in città.
Successivamente nel 1408 la Colombaia subì modifiche e fu ampliata da Re Martino che fece costruire un pontile per l’arrivo della sua sposa Maria.
Uno dei problemi della fortezza era quello dell’esiguità della guarnigione, in quanto, all’epoca, nel 1409, disponeva in tutto di quattro persone: un castellano e tre serventi, tutti pagati male. Si pensi che lo stipendio del castellano ammontava a sole 6 onze, e quello dei serventi a 4. Di gran lunga migliore la fornitura del materiale bellico. L'arsenale possedeva di quattro bombarde, con polvere e palle; quattro balestre con i relativi verrettoni, lance, scudi, armature con elmi e fanali per comunicare. La guarnigione aveva pure a disposizione una barca per raggiungere la terraferma.
Altre modifiche subì su ordine di Carlo V, “Don Ferrante Gonzaga, l’imperial comandante eseguendo, incominciò a seguire fra le fortificazioni di Trapani. [...]" (Pugnatore, Ibidem). “Particolarmente vigile e provvido, anche nei confronti delle fortificazioni della Sicilia, fu Don Ferrante Gonzaga, divenuto viceré di Sicilia all’indomani dell’impresa di Tunisi, quando si attendeva da un momento all’altro, come si è detto, un rabbioso contrattacco da parte del Barbarossa sulle coste occidentali dell’Isola, specialmente di Trapani, da cui partivano rifornimenti per le forze cristiane operanti in Tunisia" (F. L. Oddo - La Sicilia sotto gli attacchi Barbareschi e Turchi p. 102).
Il quattrocento comunque, aveva visto un crescendo della pirateria barbaresca fino a divenire un fatto endemico. “Ma le caratteristiche di questi attacchi - scrive Rodolfo Santoro - (Fortificazioni bastionate in Sicilia in Archivio Storico Siciliano Serie IV; vol. IV pag. 188) per la loro limitatezza di obiettivi e per l’impegno di naviglio piccolo e veloce vedevano l’uso di artiglieria estremamente leggera costituita da pezzi montati su affusti verticali facilmente smontabili e trasportabili a spalla da un solo uomo. Armi quindi non adatte agli assedi delle fortezze ed i cui effetti distruttivi potevano essere tranquillamente sopportati dalle stesse mura medievali realizzate nel XIV secolo per resistere alle macchine d’assedio della lunga «guerra del Vespro»".
Fu comunque necessario un’opera di bastionamento delle città siciliane. S’avvalsero così di ingegneri militari esperti nella tecnica d’assedio dei Turchi, della Repubblica Veneta e dei cavalieri di san Giovanni. Ma com’era un assedio turco? “Il blocco marittimo - scrive Santoro - aveva lo scopo di impedire qualsiasi comunicazione di una città munita di porto con l’estero. Per impedire che dal suo porto uscissero navi per dare battaglia e cercare aiuti in vettovaglie e rinforzi, se ne sbarrava l’accesso con catene o affondando navi di poco conto sui bassi fondali. Contemporaneamente le navi sbarravano numerosi armati sulla terra ferma in corrispondenza di sito più adatto a rifornirsi d’acqua e a piazzare le bocche da fuoco in batteria. Questo sito doveva essere vicino il più possibile alla costa per non costringere la truppa ad allontanarsi troppo dall’ancoraggio del naviglio sul quale erano custoditi i vettovagliamenti e le munizioni e per permettere il rapido reimbarco dell’armata in caso di necessità. Proprio queste esigenze facevano sì che i baluardi più prossimi al mare fossero i più importanti nelle progettazioni di un sistema bastionato". Per fortuna questo non fu mai attuato a Trapani ma in modo parziale messo in opera a Lipari, Augusta e Licata.
Così fu scavato un fossato tutt’intorno e così pure fu fatto intorno alle mura della città, in modo tale da far restare la stessa e il Castello isolati. L’opera comunque fu portata a termine dal Viceré Giovanni Vega, poiché nel frattempo il Gonzaga aveva avuto mandato governativo per Milano.
“Aggiunse anco alla torre della Colombaia quella parte che all’oriente iemale risguarda, la quale, se ben è di essa torre più bassa, pur è assai ampia e forte, così perché fosse cotal accrescimento come un securo propugnacolo della stessa torre incontra a coloro che stando in porto batterla con l’artiglieria volessero [...] quindi quei vasselli inimici che per danno della città avesser tentato fermare: avendovi posti diversi pezzi di Cionostante nel 1534 i Giurati, visto che i lavori languivano, scrivevano all’Imperatore: “in chità altra difensione che l’animi di tutti chitadini intenti como fideli vassali di serviri per muraglia et moriri in servicio di sua imperial corona’’ (V. Vitale - Trapani nelle guerre di Carlo V in Africa e contro i Turchi, in «A.S.S.» artiglierie e deputatovi gente per la sua guardia bastevole [...]" (Pugnatore, ibidem).
Una guarnigione tipo prevedeva 28 soldati, due bombardieri, due porteri, castellano, vicecastellano e cappellano.
Ma Trapani all’inizio del XVI secolo era ancora priva di artiglierie e le sue mura, diroccate non erano sicuramente presidiate. F.C. Carrieri riportando brani di una lettera scritta dal Gonzaga (Relazione delle cose di Sicilia fatta da D. Ferdinando Gonzaga all’imperatore Carlo V, 1546 stampata nel 1896 a Palermo) a pagina 7 scrive: “Trapani è stata riparata dalla parte del mare talmente, che da quella banda ella è fortissima, bene è vero che su la bocca del porto ha un Castello che lo chiamano Columbara, il quale a mio giudizio, nuoce più tosto, che giovi, perciò ch’egli è piccolissimo, non ha fianchi ne vi si puonno fare, et se venisse preso verrebbe ad essere cavaliere ad un bastione, che si haveva a cominciare nominato Santo Francesco, ma se venisse spianato, il detto bastione, farebbe il medesimo effetto del guardare la bocca del porto, che fa Columbara, ne passerebbe il pericolo d’essere preso, come può esso Castello, perché non si può battere se non con extrema difficoltà, né per mare, né per terra, come ben facilmente si battere la Columbara, almeno per via mare".
A questo punto è da chiedersi come mai il famigerato capo barbaresco Kayr-ed-din, detto Ariadeno Barbarossa che nel 1533 si fermò a Favignana a rifornirsi d’acqua non abbia pensato di impossessarsi della città di Trapani. Le risposte possono essere due. La prima che non volesse impegnarsi in una battaglia in cui avrebbe potuto perdere parte della flotta prima di riunirsi con l’alleato francese. La seconda per la difficoltà della difesa in caso di un contrattacco siciliano. I Giurati a Trapani non avevano denari a sufficienza per apportare e rinforzare le fortezze e l’unico modo per ottenerli era quello di chiederli a Carlo V. Ma fu solo per snidare il Barbarossa da Tunisi ed impedirgli di puntare la flotta su Trapani che furono stanziati sessantaseimila fiorini per la fortificazione della città.
Ciononostante nel 1534 i Giurati, visto che i lavori languivano, scrivevano all’Imperatore: “in chità altra difensione che l’animi di tutti chitadini intenti como fideli vassali di serviri per muraglia et moriri in servicio di sua imperial corona" (V. Vitale -Trapani nelle guerre di Carlo V in Africa e contro i Turchi, in «A.S.S.» vol. XXIX, p. 280). Ma il Gonzaga tornato in Sicilia nel 1537, scriveva il contrario all’Imperatore: “Tutti i lavori proseguono alacremente". Le continue lamentazioni dei Giurati furono comunque ascoltate e nel 1543 il Consiglio Generale erogava cinquemila scudi per le fortificazioni trapanesi, anche se per far ciò venne istituita una nuova gabella. «La lentezza dei lavori di Trapani è anche indicativa delle minor considerazioni militari che da parte del Viceré si aveva per le squadre navali barbaresche rispetto a quelle turche. Le prime erano abili nella veloce guerra di corsa ma forse incapaci di condurre delle vere e proprie operazioni d'assedio con batterie di artiglieria e fanterie «da sbarco» come erano invece in grado di fare i Turchi». (Santoro Archivio Storico Siciliano - Fortificazioni Bastionate in Sicilia - 1978, Serie IV vol. IV p. 218). Successivamente però le cose cambiarono in quanto Trapani divenne base di collegamento con le guarnigioni imperiali italo-spagnole che presidiavano La Goletta, sede nordafricana di un ospedale, e Mahadia, per cui, a questo punto andava protetta. Ed ecco quindi che le opere di fortificazioni cominciarono ad essere portate a termine.
Nel 1570 cadde Cipro, e il pericolo per la Sicilia fu quello dell’Islam. Si rese necessario così un nuovo rafforzamento di Trapani. L’allora viceré Albadelista provvide così al rifacimento del fosso di levante che negli ultimi anni si era riempito di fango paludoso e ne restaurò i bastioni rovinati dalla salsedine.
Nel 1586, il Castello, subì ancora ingrandimenti e trasformazioni. Questa volta su progetto dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, sotto il regno di Filippo d’Austria (I di Sicilia e II di Spagna).
Le ultime trasformazioni le subì nel XVII sec., quando essendo la Sicilia in pericolo per una invasione turca, il Castello fu rafforzato da parte del viceré, Don Claudio Lamoraldo, Principe Ligne o secondo alcuni di Ligny, che né avevano ricevuto l’ordine da parte del Parlamento siciliano (1670). Il Principe era un mestierante della guerra “poteva, con l’esperienza e virtù propria, dar gli ordini più opportuni e necessari alle fortificazioni delle Piazze di Sicilia, esposte a tempo di invasione del nemico, e prevenirlo con l’arte militare né suoi disegni, innalzando i dovuti ripari nelle città e luoghi di sospetto" (V. Di Giovanni, Il Palermo restaurato, in Biblioteca di G. Di Marzo).
Sul muro esterno, lato maestro della Colombara, si può leggere ancora la lapide fatta affiggere nel 1671 dal Principe Ligné, ed identica a quella posta nella vicina torre fatta edificare dallo stesso principe e di cui tuttora porta il nome.
La lapide ricorda i motivi per cui la Colombara subì quelle modifiche. Ragioni che furono di sicurezza e di difesa dall’invasione turche, ma che poi, in realtà, non servirono a nulla, in quanto finite le fortificazioni, le invasioni erano cessate.
Ma ecco cosa dice la lapide:

Auspicis Caroli Secundi
Hispaniarum et Siciliae Regis
Mariae Annae Reginae Gubernatricis
Claudius La Moraldus Princeps de Ligné
Damblize
Et Sacri Romani Imperii Soveronus De Fagnolles
Siciliae Prore Vigilantissimus
Istius Regni securitati hoc propugnaculum
erexit
Anno MDCLXXI

All’interno sono affissi anche gli stemmi del viceré Pacheco e quello di Filippo II di Sicilia e III di Spagna, e tra essi vi sono alcune lapidi precedenti al 1607.
Tra quelle che sono andate perse ve ne era una trascritta da Giuseppe Polizzi nel Ms 33 custodito dalla Biblioteca Fardelliana.
Scrive Teresa Colletta Piazzeforti di Napoli e Sicilia ( op. cit.): “È utile a chiarire il contributo settecentesco al potenziamento della piazza di Trapani e alla nascita di un sistema organico di opere fortificatorie, aggiornato alla « moderna » tecnica dell'architettura militare, il confronto con il progetto del 1673 conservato a Simancas, a cui prima si è fatto riferimento.
Nella revisione delle fortificazioni siciliane effettuata dal principe di Ligne, prima tappa del viaggio d'ispezione fu proprio Trapani nel 1671. Per l'importante baluardo della costa occidentale il viceré individuò l'opportunità di una cinta nuova suI lato di terra e di una nuova grande torre sull'estremità della penisola che ancora oggi porta il suo nome, ed il cui progetto è stato recentemente attribuito a Carlos de Grunemberg.
Alla documentazione geografica seicentesca è acclusa una relazione sullo stato delle fortificazioni di Trapani nella quale si leggono a chiare linee le idee progettuali del viceré Ligne di ampliare con una larga mutazione la cortina compresa tra il castello «di terra» e il baluardo soprannominato l’Impossibile nell'intento dichiarato che la sicurezza della città consistesse nell'isolarla dalla parte settentrionale con una grossa cinta e che ciò avrebbe reso la piazza inespugnabile.
Il progetto del Ligne fu portato a compimento pochi anni dopo dagli austriaci i quali, forti del bagaglio di nuove esperienze nel campo delle fortificazioni e dei fronti tenagliati e poligonali , proposero un fronte bastionato verso l'entroterra, integrando con opere addizionali il circuito bastionato cinque-seicentesco.
È possibile dimostrare l'avvenuta costruzione del fronte in epoca settecentesca ponendo a confronto due planimetrie conservate alla Biblioteca dell'Istituto Geografico Militare. Di queste una è un disegno, ascrivibile alla fine del Seicento per il nord ancora rivolto verso il basso, che presenta una semplice doppia scarpa antistante la murazione bastionata nord-occidentale; l'altra è un incisione di chiara matrice ottocentesca per il nord rivolto in alto e la presenza delle quote altimetriche del fondo marino, essa mostra l'avvenuta costruzione del fronte. Testimonianza dunque preziosa quest'ultima dell'antica sistemazione difensiva della città.”

Disegni di Camillo Camiliani

Tra le notizie curiose apprese da Antonio Mongitore e tratto da “De Sicilia Ricercata delle cose più memorabili”: In Val di Mazara, fu a 1 Settembre 1726 scosso da orribile Terremoto: L’intesero le Città, Terre, e Villagi in giro a Palermo in distanza di 60 miglia: e si distese a Marsala, Mazara, Sciacca, ed altri luoghi, che provaron spavento, non però sanno. Solo in Trapani precipitarono dal campanile del Convetto de’ Carmelitani due palle smisurate di pietra: e nella fortezza della Colombara vo morì oppresso un Soldato”.
Dagli archivi spagnoli di Simancas (vedi Guidoni Marino «Urbanistica e Disegni» e Giuffrè «Castelli»), nel XVI secolo la rifondazione delle piazzaforte fu affidata agli architetti Fratino, Brancazio, Scipione Campi e Antonio del Nobile, e nel XVII secolo a Carlo De Grunembergh. Si deve proprio a quest’ultimo il progetto della fortificazione dalla parte di terra in aggiunta alla cinta bastionata cinque-seicentesca. “Il Castello (immeritatamente da Salmon «tenuto per una delle principali fortezze di questo regno», ma per il tecnico Campi degno invece di essere demolito) nello stesso manoscritto spagnolo sopra citato risulta avere avuto quattro altissimi torrioni, che ritroviamo nella pianta disegnata da Francesco Negro e che oggi rimangono solo in parte. Sono invece del tutto scomparsi i poderosi baluardi che cingevano d’intorno il monumento".
Così si trova scritto a pagina 204 de «Il Libro delle Torri» di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca, studiosi di fortezze e castelli.
A Partire dal 1849 la Colombaia, fu adibita a carcere e solo da alcuni decenni definitivamente abbandonata.
Da ricordare che tra il 1849 e il ’60 al castello furono rinchiusi alcuni dei più noti patrioti del Risorgimento, quali Michele Fardella di Mokarta, che successivamente prese parte alla battaglia di Calatafimi.
Da alcuni decenni ha cessato di essere un penitenziario ed è stata abbandonato al destino di tutti i monumenti della città che hanno segnato e lasciato una traccia di storia di essa, cioè allo sfacelo. Ne 1993 tuttavia, ne è stata restaurata la Torre, che stava dando cenni di cedimento, soprattutto nella parte centrale, dove il peso della costruzione del faro era diventato insopportabile. Sotto la guida degli architetti Filippo Terranova e Giovanni Vultaggio, almeno questa parte del Castello è tornato a splendere, ma adesso il pericolo sono i vandali, in quanto la struttura non ha custode e l’accesso, per quanto diviso dal mare, è raggiungibilissimo.

Restauri: Camillo Camiliani.

Abbiamo già visto come nel 1586, la Colombara aveva subito delle opere di restauro da parte dell’architetto fiorentino Camiliani, che ha anche lasciato un grosso volume di scritti e disegni di torre restaurate e progettate in tutto il territorio costiero siciliano. Scrive Marina Scarlata ne “L’opera di Camillo Camiliani”: “Il 1 luglio de 1583, con l’occasione dell’incarico dato a lui capitano, si destinò ad accompagnarsi a lui Camillo Camiliani, che doveva compiere il giro dell’isola, come da mandato de viceré Marcantonio Colonna, avendo cura di «riconoscere insieme le circonferenze del Regno et descriverla in carta, specificando tutte le cale et i luoghi dove siano le torri et porti marittimi, e dove si designerà fare altre torri». L’altra data è quella del primo agosto, scritta sempre dal capitano Fresco: “Il primo agosto arrivai in la sopradetta città di Trapani giontamenti con il detto magnifico Camiliani”. Continua la Scarlata: “Niente di più naturale che la corte avesse disposto finalmente di approfondire il progetto abbozzato da Spannocchi sul territorio e di fare eseguire il dettaglio del rilievo geografico delle coste, per verificare i luoghi dove sarebbero sorte le nuove torri, anche a confronto con le precedenti”.
Così Camillo Camiliani descrive Trapani: “Trapani secondo Tolomeo et Plinio, Polibio et Vergilio Torre di san Giuliano. Hoggi questa città è molto nobile et ricca: ma da cui fusse edificata non si trova scrittore, che ne faccia mentione, et è posta nella piegatura del lito in un streto di tera, là dove piglia il nome di Trapani, perché tal voce in greco vuol dire curvo, sonando ancora questo nome Drepano, et anco Trapana, cioè forma di falce. Che questa città fusse edificata da’ Greci, come Erice da’ Troiani, non s’ha per cosa certa. Et ha un bellissimo porto, nobilitato dalla venuta di Enea, secondo Vergilio nel terzo dell’Eneide. Et a fronte d’essa è uno scoglio assai comodo, il quale diede occasione di fabbricarsi una fortezza, la qual è antichissima et a’ nostri tempi è stata restaurata et si domanda la Colombara; accompagnata questa con due altre isolette nel mezo, che abbracciano il mare di maniera che danno forma al porto”. Così scrive pure Francesco Luigi Oddo in La Sicilia sotto gli assalti Barbareschi e turchi, Libera Università di Trapani 1990:

Foto di Guglielmo Bulgarella

“Nel 1583, ebbe l’incarico di perlustrare minuziosamente tutte le coste siciliane e di stabilire in quali punti fosse più conveniente costruire altre torri, tali da formare con quelle esistenti una catena di posti di avvistamento e segnalazione l’uno in vista dell’altro, l’ingegnere fiorentino Camillo Camilliani. Questi, ottenutone l’incarico progettò e costruì un suo tipo di torre d’avviso di cui fu realizzata una serie numerosa, che, sommata a quelle esistenti, rafforzate e restaurate sotto la direzione dello stesso Camilliani, fece ascendere il numero complessivo a 137. Nel 1584, il viceré conte d’Olivares pubblicò le sue «Ordinazioni intorno al guarnirsi le torri di ufficiali, e alla maniera di corrispondersi i segni e le guardie».

Una suggestiva foto degli anni ‘50, quando era ancora carcere.
Rispetto ad oggi ha ancora il faro sistemato durante i restauri borbonico del 1800


Una foto della Colombara


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Ringrazio l'autore
Alberto Costantino
per avermi concesso
di pubblicare
questo libro











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