Archivio culturale di Trapani e della sua provincia

RITORNO AL FEUDO

di Alberto Barbata



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Feudo = Latifondo

Ma ritornando alla parola latifondo che sostituisce nella cultura meridionalistica delle inchieste di stato del tipo Franchetti e Sonnino, oppure nelle inchieste agrarie come quella del Lorenzoni, è giusto precisare sotto il pro­filo storiografico, ma soprattutto sociologico, i confini del termine e la visione che ne danno i giornali delle masse proletarie lanciate alla riscossa.
Nel giqrnale marsalese "Il Proletario" (anno II, n.2 -21 Maggio 1922) Organo del Partito Comunista d'Italia per le province di Palermo e Trapani, lo studioso Abruzzesi ne da la seguente definizione strutturale. Dice : [Da che cosa è caratterizzato il latifondo?]
Se dovessimo stare al significato letterale della parola, dovremmo dedurne soltanto il concetto geometrico d'una grande superficie continua, si che latifondo equivarrebbe a fondo lato, vasto.
Poiché facilmente si comprende che codesto concetto di grandezza dei poderi nulla ha di assoluto, preferiamo ritenere che la sola vasta estensione dei fondi non è suf­ficiente a integrare ciò che, volgarmente, si intende col nome di latifondo, in Sicilia. Il quale, pertanto, è vero che costituisce una più o meno grande estensione agraria, formante un'unica azienda ma anche, e con più precipua accezione, ad esso va associata l'idea di un particolar modo di esercitarvi l'industria agraria.
Per latifondi ormai è convenuto intendere quelle grandi estensioni di terreno coltivabile - per lo più ex feudi ­ appartenenti, secondo le risultanze catastali, ad un solo proprietario o anche a più pro indiviso, che superano i 200 ettari di estensione e che sono facilmente riconosci­bili in catasto dall'imponibile relativamente grosso che li grava e dalla qualità delle colture, in prevalenza a grano o a pascolo.
In pratica le statistiche del 1922 parlano di circa 1400 latifondi di 200 ettari ciascuno, in tutta la Sicilia, un'isola abitata in quel tempo da quattro milioni di abitanti, ovve­rosia di un'estensione pari al 29,7 per cento di quella catastale di tutta l'isola. Caltanissetta è la provincia a maggior estensione di latifondi (41,7%) mentre a Trapani il latifondo occupa un'area pari al 20,2 % rispetto a quella catastale. Infine 787 proprietari possedevano un terzo della superficie catastale dell'isola, e quasi un sesto di essa era posseduto soltanto da 173 individui. Caratteristica fondamentale del latifondo siciliano e del complesso fenomeno che vi si svolgeva - il latifondismo - era la mancanza, dice Abruzzesi, di "ogni opera miglio­ratrice permanente, soltanto se stabiliamo in rapporto a che cosa va messa siffatta deficienza: non già al solo fatto che l'azienda sia costituita da una grande superficie, seb­bene in rapporto 1) ai sistemi di amministrazione 2) ai sistemi di coltura 3) alla costituzione della proprietà.
Le quali costituiscono, appunto, quel complesso di condizioni sfavorevoli onde è caratterizzato, nella sua essenza e, nella sua manifestazione, il latifondo siciliano." L'Al?ruzzesi in seguito esaminava le figure dei proprietari assenteisti, solleciti soltanto di costituirsi o godere una rendita più o meno sicura dai loro feudi, e di quella dei gabellotti che a sua volta concedevano il fondo in subaaf­fitto ai mezzadri, provocando una speculazione finanzia­ria che si traducevano in un innalzamento del prezzo della terra.
Poi esaminava i sistemi di cultura e le affittanze collettive siciliane. Predominanti erano le affittanze collettive a conduzione' divisa, promosse sia dai cattolici che dai socialisti. Paceco, in Sicilia, insieme a Caltagirone, in linea di massima, erano i due centri più importanti d'a­zione e di diffusione delle affittanze collettive in Sicilia. Per Caltagirone, cattolica, l'affittanza collettiva era rap­presentata dalla Società Piccola Industria S. Isidoro, fon­data nientemeno che da don Luigi Sturzo, mentre Paceco, socialista, era rappresentata dalla Cooperativa Agricola di Paceco, fondata da Giacomo Montalto, da Giacomo Spadola e da Pietro Grammatico. I cattolici affermavano che le loro affittanze collettive esercitavano largo influs­so su quasi tutta l'isola, mentre sostenevano che l'influs­so socialista si restringeva alla sola provincia di Trapani.

Ma l'economia di questa ricerca non ci consente di dilungarci troppo, la stampa del tempo esaminava i rimedi, tuttavia siamo ormai nel periodo post-rivoluzione, il fuoco dell'occupazione dei feudi era in parte cessato. Ma nel cosiddetto biennio rosso 1919-20 un fuoco grande aveva catturato il trapanese e nell'agosto 1919 a Trapani si era svolto il Congresso regionale dei Lavoratori della Terra, congresso che aveva deciso l'occupazione dei feudi.
Lo Stato intervenne dapprima con il decreto Visocchi del 2 settembre 1919 e successivamente con il decreto Falcioni del 22 aprile 1920 (n.515), interventi deboli e non risolutivi. Certamente i contadini e i loro dirigenti non compresero bene il senso della drammaticità del momento. Dopo l'occupazione dei feudi incominciò la reazione rabbiosa dei conservatori e degli agrari che già avevano costituito nel gennaio del 1920 a Palermo una sezione del Partito Agrario, con l'intervento di autorevoli personaggi del mondo industriale e del latifondo quali i Pucci, i Tasca e tanti altri.
Così tra il 1920 ed il 1924 la provincia di Trapani fu attraversata da una reazione senza precedenti delle forze agrarie, che avevano trovato la naturale mano armata nella mafia. Seguirono le stragi di noti sindacalisti ed esponenti operai nel palermitano e nel trapanese.

Paceco è uno dei principali punti di aggregazione contadina per l'ormai ultra decennale battaglia culturale svolta dagli esponenti politici socialisti, per il riscatto delle masse proletarie. Il feudo, i feudi sono al centro della attenzione di questi esponenti; e i contadini guardavano a quei feudi come alla terra promessa degli israeliti, volevano quelle terre a tutti i costi, volevano conquistarle per trasformarle, per potere vivere una vita degna dell'essere uomini. Ma l'occupazione contadina dei feudi da parte delle "guardie rosse", come si diceva allora a simiglianza del linguaggio della rivoluzione bolscevica, fece scaturire sul piano ideologico un contrasto tra le due ali del movimento contadino e rivoluzionario. Questi contrasti riproducevano sul piano locale quelli che erano già avve­nuti o stavano per avvenire a livello regionale ed in campo nazionale. Da parte dei dirigenti dei contadini forse non si ebbe il senso drammatico dello scontro che stava avvenendo a livello sociale.
Scriveva Federico Engels nell'Antiduring che il movimento operaio moderno si distingue soprattutto per tre linee di svolgimento: ovverosia per la compresenza che riesce ad ottenere tra il momento politico, il momento dell'azione pratico-economica ed il momento ideologico. Se uno di questi momenti viene a cadere, non vi è dubbio che cade la prospettiva rivoluzionaria.

Oggi, con una coscienza storiografica moderna, non più legata a momenti aulici o idealistici, possiamo dire che a Paceco queste tre componenti sono stati presenti in alcu­ni momenti della sua storia, anche se con alcuni limiti dovuti ad un ambiente e ad una società rurale, che non permetteva orizzonti più ampi culturali ed economici. Paceco viene definita la porta del feudo, dei feudi ed è nella sua grande piazza e da essa che avvengono e si dipartono tutte le strade che portano ai latifondi Bordino, Cuddia, Margarita, Margaritella, Tamburellara, Burrania, Zafarana e tanti altri che portano spesso nomi arabi di tenimenti arabi. I feudi veri e propri, avrebbero avuto inizio in pratica nel periodo normanno e successivi, anche se i normanni crearono poche divisioni di terre, pochi feudi che elargirono soltanto a parenti o intimi dignitari.



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Ringrazio l'amico

Vito Accardo

per avermi fatto conoscere l'Autore



Da una conversazione
con i soci de
"La Koinè della Collina"

22.07.2006 ore 21.00

Feudo Borromeo (Burrumia)

Le foto sono state gentilmente concesse dall'architetto Carlo Foderà, Presidente del Club Amici Della Terra.

Si ringrazia la Banca di Credito Cooperativo Sen. Pietro Grammatico per l'aiuto concreto dato alla pubblicazione di questo volume.




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