Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
Trecento anni di storia civile ed ecclesiastica del Comune di Vita
scritto dall'Arciprete Don Antonino Gioia


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Libro primo
STORIA CIVILE

Capitolo V

IL PALAZZO BARONALE

Il primo nucleo di case della nuova Terra sorse nelle vicinanze del Palazzo baronale, anzi dinanzi ad esso, nel pendio digradante verso il cosidetto quartiere del Vallonello, in modo che il Castellano e le altre autorilà potessero meglio, anche dalle finestre, sorvegliare gli inquilini. Allora vi erano, e si mantennero ancora per molti anni, dei miseri casolari bassi ed angusti col solo pianterreno, e dei pagliai col tetto a cono ricoperto di sala (burda) di altre frasche, come se ne vedono ancora in Sicilia, appena sufficienti ad accogliere dopo il lavoro dei campi i contadini, le loro donne e le bestie e a ripararli dalle piogge e dal freddo. In un documento del tempo si legge che sino al l652, cioè dopo 40 anni dalla fondazione del Paese, le case erano, come abbiamo detto, basse e vi erano numerosi pagliai.(1)
Il palazzo baronale in paragone di esse, era grandioso: era il gigante che dominava dall'alto sito colla sua mole imponente il declivio sottastante, seminato di umili e quasi timide casucce. Sebbene, da più di 100 anni sia stato lasciato dai Baroni, e frazionato in tanti piccoli appartamenti, se ne può anche oggi ammirare, se non il fasto del Signore o la grandiosità vera e propria dell'edificio, almeno la robustezza della costruzione.
Il primitivo Palazzo cioè quello costruito dal Fondatore di Vita, era un isolato di forma rettangolare i cui lati lunghi si estendevano parallelamente tra di loro dal pilastro sinistro dell'arco della volta della cosidetta Porta Grande, e dal pilastro sinistro dell'altro arco della volta del Baglio Piccolo, sino al limite dell'orto di Ditta, e come lo chiamano adesso, dell'orto di sopra, ed i lati corti tra i due detti pilastri e la linea opposta dal lato dell'orto. Era a tre piani, compresa il pianterreno.
La fronte principale era rivolta verso mezzogiorno; nel centro di essa si apriva un grande balcone dal quale si accedeva ad una veranda scoperta che, sostenuta da due pilastri, formava un corpo avanzato. Si accedeva al piano di prima elevazione dalla parte posteriore mediante una scala esterna così pianeggiante, che, come la tradizione, con esagerazione evidente, dice si pateva salire a cavallo.(2)
Aveva ampie sale e ben decorate, ampie finestre, ma non si riscontrano vestigia di opere d'arte e di ornati architettonici. Accanto ad esso, ma da esso staccata ed alquanto rientrante dalla linea della facciata principale, il Barone costruì pure una chiesetta o oratorio pubblico per il servizio religioso, e per l'amministrazione dei Sacramenti, e per comodità degli abitanti del nuovo Paese. Tale era il palazzo fatto costruire dal primo Barone.
Ma quando, dopo la morte del Fondatore, fu edificata la Matrice, si sentì il bisogno, per motivi di estetica, di chiudere lo spazio di aria che restava vuoto tra questa e il Palazzo, allora venne costruita una nuova ala sopra l'oratorio e sopra una volta sostenuta da due archi: ala che venne allineata ai due edifici preesistenti cioè al prospetto della Matrice e a quello del Palazzo mediante un terzo arco in corrispondenza ai due ricordati, e un muro di raccordo antistante e lungo l'oratorio che dall'arco arrivava fino allo spigolo della facciata della Chiesa. Con questa nuova costruzione la Casa baronale assunse un aspetto veramente imponente specialmente se osservata dal lato di mezzogiorno.
A questo primo ingrandimento, circa cento anni dopo, ne successe un secondo e questa volta l'ingrandimento fu eseguito in profondità. Difatti nel 1750 D. Vincenzo Sicomo sopra una volta sostenuta da due archi, costruita all'estremità posteriore del lato destro del primitivo palazzo e sul suolo confinante, fabbricò altre case ed una fila di camere che comunicò con quelle già esistenti.
Con questa nuova costruzione non solo venne ingrandita la vecchia casa ma si venne ad allineare, senza soluzione di continuità con le case del bag1io addetto al personale della Baronia: cioè il campiere, il soprastante, l'amministratore, e coi magazzini, colle legnaie, colle stalle; restando chiuso uno spazio di terreno a modo di cortile da servire ad uso esclusivo del Barone. Questo cortile che allora era munito di portone o di grata di ferro, come si rileva dalle tracce ancora esistenti nell'ingresso, viene chiamato tuttora Bag1io Piccolo. Nella chiave dell'arco anteriore della volta nella parte esterna, si osserva uno stemma della famiglia Sicomo, intagliato, ad alto rilievo, nel tufo, sormontato dalla corona baronale circondato da motivi ornamentali anch'essi ad alto rilievo, nello stile del secolo XVIII.
Attorno all'arco corre un festone a fogliame che arriva sino a circa metà dei pilastri: all'altezza dei capitelli si trovano due bellissime conchiglie scolpite anch'esse nel tufo. In quella dell'arco posteriore, un mascherone, ora assai corroso dall'ingiuria del tempo. Nelle basi dei capitelli dei due pilastri posteriori che sostengono la volta, si legge, in quella di destra l'anno della costruzione: 1750, in quella di sinistra il nome: D. Vincenzo Sicomo.
Dalla sommaria descrizione che abbiamo fatto e da quanto ancora ne esiste, è chiaro che il palazzo baronale non era, nè un castello pauroso nè una rocca fortificata, circondata di mura, di fossati, munita di torri e di merli come un maniero o un maschio mediovale.
Nel secolo XVII le incursioni, gli assalti, le piraterie, le conquiste colla forza delle armi erano finite. Alla forza, alla violenza dei secoli precedenti era subentrata la legge e il diritto sancito.
Il Barone fondatore pertanto si limitò a costruire una casa senza pretese nobiliari, priva di quel fasto spagnolo importato dai dominatori dell'Isola, e ciò sia per la innata modestia, sia perchè non doveva abitarla essendo egli impegnato dalle molteplici mansioni che esercitava in Palermo, sia anche perchè in tali proporzioni la credette sufficiente ai bisogni di una Comunità nascente, di cui non poteva prevedere lo sviluppo.


(1) R. Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Patrimonio: scritture pendenti. Mazzo 274 numero 11 -
(2) Queste notizie mi vennero riferite da una certa Giuseppa Triola morta alcuni anni addietro, nonagenaria. La detta scala, dopo 11 frazionamento del Palazzo, perchè ingombrante, fu demol1ta e non ne rimase alcuna traccia. Ma la detta Triolo la ricordava e mi indicò pure 11 punto in cui si trovava. Nel muro dove era addossata si aprono ora alcuni usci per l'accesso agli appartamenti in cui il Palazzo venne frazionato.




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