Libro primo STORIA CIVILE
Capitolo III
FONDAZIONE DI VITA
All'epoca in cui il Dottore D. Vito Sicomo divenne Barone di Cartipoli, il feudo era rustico e quasi incolto. Abbondavano i pascoli, ma scarseggiavano le coltivazioni: vi si trovavano poche parecchiate coltivate a cercali, pochissime tenute a vigneto e qualche gramo giardino, e non esisteva che qualche casolare ove si riparavano dalle piogge i contadini e le bestie, e dei pagliai per i pastori di pecore e per i bovari. Tolti i brevi periodi di coltivazione dei pochi campi e delle vigne, il feudo restava l'intero anno avvolto nel silenzio della pace agreste: silenzio interrotto soltanto dal muggito dei buoi dal belato delle pecore, dal tintinnio delle campanule, dai latrati cupi e ringhiosi dei cani delle mandre e dalle voci robuste e cavernose dei custodi del bestiame.
Il novello Barone, sia per avere dei sudditi sui quali esercitare l'impero, che il conseguito titolo gli conferiva, sia per legare alla storia ed ai posteri il suo nome, sia per rendere più fruttuosa la terra che sino allora deserta e abbandonata languiva nella sterilità, pensò di colonizzarla; e affinchè la colonizzazione fosse duratura e completa, colla praticità del geniale uomo di Stato, divisò essere opportuno e sommamente utile fondare una nuova Terra, o paese che dir si voglia, in cui i contadini potessero avere stabile dimora e con tal mezzo farli affezionare ai campi che dovevano coltivare. A tal fine il 5 Marzo del 1606 presentò alla Curia del Regio Patrimonio in Palermo istanza motivata accompagnata da un memoriale onde ottenere la licenza di poter popolare il suo feudo e di edificare un nuovo paese. Il Vicerè del tempo, il Duca di Feria, in considerazione dei benefici che dal nuovo paese sarebbero venuti al Re ed ai regnicoli, al Re perchè una nuova città che sorge ne aumenta il decoro e il prestigio, ai regniooli perchè più comodamente possono dedicarsi allo sfruttamento del suolo, in considerazione altresì della maggior sicurezza che le strade di campagna avrebbero acquistato; in considerazione anche dei servizi dal Sicomo resi alla Regia Curia, concesse la chiesta facoltà con tutti i privilegi di cui usufruivano gli altri Baroni e cioè quello di costruire il castello, di tenere il Capitano d'armi, il Segretario; di nominare i Giudici per l'amministrazione della giustizia civile e criminale, i Giurati per le cose civili e quanti altri Ufficiali sarebbero stati necessari; e volle che la nuova Terra si chiamasse
«VITA»
forse in omaggio al nome del suo illustre fondatore. Questa licenza data il 17 Aprile 1606 venne confermata da Filippo III d'Aragona, Re delle due Sicilie con decreto emanato da Madrid 11 Marzo 1607 e resa esecutoria in Palermo il 28 Maggio dello stesso anno.
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