Archivio culturale di Trapani e della sua provincia
Trecento anni di storia civile ed ecclesiastica del Comune di Vita
scritto dall'Arciprete Don Antonino Gioia


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Libro primo
STORIA CIVILE

Capitolo II

ORIGINE DELLA BARONIA

Si dice che Vito Sicomo fosse figlio di un Fattore o Amministratore, o qualche cosa di simile, del Conte di Modica che era anche barone di Calatafimi. Il quale venuto a conoscenza dell'ingegno straordinario del figlio del suo vassallo, con un tratto di generoso mecenatismo, non raro a quei tempi, lo fece studiare e a sue spese lo mandò a perfezionarsi nella celebre Università di Salamanca, nella Spagna, dove ottenne la laurea in utroque iure. Si dice ancora che il Conte, per premiarlo della buona riuscita nell'arringo scolastico e professionale, e per ricompensarlo dei servizi ricevuti da lui, divenuto celebre giureconsulto, nella difesa dei diritti feudali della sua importantissima Contea e delle numerose Baronie, gli abbia regalato il feudo di Cartipoli. Queste notizie le scrivo senza garentirne la veridicità. A me le ha riferite il Sac. Biagio Pizzolato morto il due Novembre 1935 alla grave età di 91 anni, il quale le aveva apprese dal notaro Girolamo Romano, morto nel 1890, alla rispettabile età di 84 anni. Esse hanno, la garanzia di cento anni e più di tradizione, che sicuramente si è dovuta formare da un fondo di verità. La verità è che il Sicomo negli anni anteriori al 1604 era in possesso del feudo predetto e d'alcune altre parecchiate di terre confinanti; che ogni anno pagava al Conte un censo in derrate e in denaro e che li possedeva colla riserva da parte del Conte, dell'eserCizio dei diritti feudali.
Secondo me il regalo di cui parla la tradizione non dovrebbe essere altro che una concessione onerosa che per la eseguità dell'annua corresponsione, fu considerata come un regalo. Che sia stata una concessione, onerosa lo dimostra il fatto che il Sicomo con atto in Notar Luigi Blundo di Palermo del 15 Maggio 1604 acquistò da D. Giovanni Alfonso Enriquez di Cabrera, che fu Grande Almirante di Castiglia, Gentiluomo di Camera di Filippo IV e Capitano Generale dell'esercito spagnolo, per il prezzo di onze 800 pari a L. 10200, non solo i censi di proprietà di diretto dominio gravanti sopra il feudo di Cartipoli e, sopra la chiusa chiamata Vurgo o Gurgo di lu mortu, Santu Cusumanu, passu di la Iudia, ma anche i diritti feudali e giurisdizionali inerenti al detto territorio. Ragion per cui nel suo testamento del 17 Luglio 1626 presso il notaro Zizzo, il Sicomo potè dire: «il feudo e la baronia furono Con i miei propri denari per me acquistati con studio, travagli e diligenza di mia persona e giustamente secondo il volere di Dio».
Il territorio acquistato e sul quale il Sicomo avrebbe potuto esercitare i poteri feudali e la giurisdizione, era poco più di 116 salme della corda di monte S. Giuliano, contenuto tra i confini che attualmente delimitano il territorio del Comune di Vita.
A levante confinava con la contrada Rocchi di Chiavuli, - noi diciamo Rocchi di Ciavoli, - e Roccone, con le terre di Calemici e Makani, colla montagna di Gelardi, con S. Giovanni, con la montagna di Calatafimi e col Chirchiaro grande, A mezzogiorno col Chirchiaretto e con Settesoldi. A ponente Con il fendo di Settesoldi e col Piraino.
A tramontana con la contrada S.Rosolia.
In virtù della compra accennata, D. Vito Sicomo divenne il Dominus cioè il Signore di Cartipoli e delle altre terre sopra enumerate con tutti i diritti e preminenze che le leggi feudali del tempo sancivano e coi prìvilegi concessi dal Re ai titolari dei feudi, consentiti e per consuetudine.
Così oltre il diritto di effettiva proprietà del feudo il Sicomo venne investito del dominio diretto delle prestazioni annue, un tempo dovute al Conte di Modica Barone delle terre di Calatafimi, tanto in frumento, in orzo, erbaggi, terraggi e terraggioli, quanto in denari, insieme al diritto di pascolare i propri armenti di bestiami nelle terre non seminate, al diritto di pescare nel Gorgo, di cacciare, di essere portato in sedia gestatoria e della giurisdizione civile e criminale colla facoltà di tenere il carcere, di punire i facinorosi anche con la pena di morte. In poche parole venne investito di ogni altro diritto che godeva il Conte di Modica, antico Dominus del feudo, quali l'immunità locale e personale, l'esenzione dal servizio militare, la facoltà di imporre tasse e istituire la dogana, la prerogativa di avocare e di revocare, di preferire, di dare o negare il consenso agli atti degli inquilini del feudo il diritto di tenere ovini e bovini compreso anche quello espressamente convenuto di potere in perpetuo tagliare nel bosco di Calatafimi tutta quella quantità di perci, arati e straguli necessari per uso e servizio del1e varie masserie del feudo, nonchè di fare legna per ardere negli altri luoghi del territorìo di Calatafimi - gratis e senza pagamneto alcuno.
Questi due ultimi diritti cioè quello riguardante il taglio del legname per servizio agricolo, e quello del taglio della legna per ardere, cedeva anche, in vantaggio degli agricoltori locali, ossia gli inquilini del feudo, come li chiama il contratto di compra.
Un solo privilegio riservò per sè il Conte di Modica e questo riguardava la produzione del frumento.
Il Conte per antica concessione era autorizzato ad esportare fuori del Regno sei mila salme di frumento che ricavava dalle sue terre e dai domini di Modica, di Alcamo, di Caccamo, di Calatafimi ecc. e per aver modo di effettuare tale esportazione e perchè non gli venisse meno il frumento che ricavava dal feudo di Cartipoli e terre aggregate obbligò i1 Sicorno a rivelare la quantità di grano che produceva e di metterlo a sua disposizione. Questo privilegio che fu tenuto in vigore per molti anni, qualche volta determinò gravissimi inconvenienti, per cui fu necessario l'intervento autorevole delle autorità civili e religiose della comarca e del Regno.
Nelle annate di magro raccolto, il Conte per raggiungere la quantità di frumento a cui aveva diritto per l'esportazione ne requisiva tanto quanto gliene abbisognava, poco curandosi del bisogno della popolazione ed i poveri contadini dopo un anno di lavoro erano costretti a desiderare quel pane che col loro sudore avevano prodotto e a subire la fame.
Una di queste annate fu il 1760. Prevedendo i Giurati, che la popolazione per il privilegio di requisizione del Conte, sarrebbe rimasta senza frumento e senza pane, sollecitarono un energico provvedimento dalle autorità superiori, S. E. il Vicerè, il Tribunale del Patrimonio, D. Alberto Villa­ragout Reg. Procons e Sopraintendente generale della Città di Salemi e sua comarca, i quali ordinarono al Vescovo di Mazara di intervenire a favore degli abitanti di Vita. Il Vescovo intervenne come di ragione.
Difatti, per tramite del suo Vicario Foraneo D. Antonio Romano fece ingiunzione al Duca di Villafiorita e per esso al rappresentante Sac. D. Filippo Genco, ai Sac.ti D. Michele Pampalone, D. Giuseppe Sicomo, D. Luciano Scaduto e al D.re D. Vito Scaduto, di consegnare salme 56 di frumento agli illustri Giurati di Vita per il panizzo dell'anno 1760-1761 giusto il prezzo stabilito nella circolare di S. E. (1). Il panizzo di cui si parla nella ingiunzione equivale a panificazione; le 56 salme di frumento erano il fabbisogno indispensabiie per assicurare il pane agli abitanti di Vita fino al nuovo raccolto.

* * *

La compra-vendita, sopraccennata, poichè aveva per oggetto non soltanto l'acquisto nel dominio diretto del feudo, ma anche dei diritti feudali al territorio annessi, alla validità di essa richiedevasi, il consenso ed il riconoscimento del Re.
Nonostante le relazioni e le influenze del Sicomo, sia perchè il Re se ne stava in Madrid, sia per la lentezza ingenita della burocrazia, dovettero trascorrereben quindici lunghi mesi prima di ottenerlo. Finalmente il Vicerè avuto il nulla osta di Madrid e del Tribunale del R. Patrimonio, il 19 Agosto 1605 emise, da Messina la sospirata lettera di consenso in virtù della quale il Dott.re D. Vito Sicomo venne creato, di diritto, al rango dei Baroni.
Per essere Barone, anche di fatto, mancava l'investitura formale cioè l'immissione nel possesso dei privilegi, diritti ecc. feudali: investitura che ottenne il 15 Settembre dello stesso anno alla presenza del Vicerè, l'Ecmo D. Lorenzo Suarez de Figueroa, Cordova duca di Feria e Capitano. generale del Regno nelle cui mani, con la solennità del rito e toccando i Santi Evangeli prestò il giuramento di fedeltà e l'omaggio del vassallaggio al Re ed alle leggi dello Stato.

(1) Copia di tale ingiunzione trovasi nell'archivio dell'Amministrazione della Chiesa Madre di Vita.




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