VINCENZO PERUGINI:
Nasce a Dovadola provincia di Forlì-Cesena, il 20 luglio 1951
Trasferitosi con la famiglia, in giovane età, a Valderice (TP) completa qui gli studi secondari. Conseguita la laurea in Lettere moderne, inizia l'insegnamento negli istituti superiori del Piemonte. La passione per la Storia, coltivata fin dagli anni universitari, è la spinta che gli fa compiere accurate ricerche sul paese d'adozione e lo rende frequentatore assiduo di biblioteche e archivi pubblici e privati.
Pubblica Genesi di un paese: Valderice (1990, ristampato nel 2006) e Valderice: la terra e i giorni (1994). Le inesauste ricerche sul territorio valdericino vengono pubblicate da oltre un ventennio su "VALDERICE Scuola e territorio", la rivista fondata dal preside prof. Rocco Fodale nel 1990, edita dalla Scuola sec. di 1° grado "G. Mazzini" di Valderice.
Collabora con i progetti di educazione interculturale di APS; suoi contributi si trovano nel saggio Peer educator. Istruzioni per l'uso (F. Angeli Ed., Milano 2004 e 2006). Da anni conduce ricerche sulle baronie trapanesi.
CRITICA:
"(…) Valderice, come Comune, ha una vita breve (poco più di cinquant'anni), che però affonda le radici nell'Agro ericino, di cui fu una delle zone più vive, con alcune delle sue attuali frazioni e contrade particolarmente dinamiche e produttive, specialmente Paparella e S. Marco. In Genesi di un paese Perugini ne ricostruisce felicemente gli sviluppi, utilizzando con esemplare rigore storico le fonti più qualificate (ad esempio, G. Castronovo, A. Cordici, U. A. Amico, S. Cammareri Scurti, Di Stefano-Oddo, G. Pagoto, V. Scuderi, V. Adragna, S. Costanza), a cui si aggiungono importanti scoperte personali, frutto di ricerche pazienti e accurate.
(…) Quest'opera, ripeto, è completata dal volume Valderice: la terra e i giorni, in cui viene pubblicata una serie corposa di documenti, preceduti da adeguata presentazione, fondamentali per la conoscenza del territorio e della comunità; documenti che rivelano la dimestichezza di Perugini con gli archivi e la ricerca, e la sua capacità di scelta (…).
Dicevo all'inizio dell'affermazione di Tolstoj. Ma penso che se esci dal 'borgo' e racconti quel che c'è oltre, puoi meglio capire il mondo e il 'borgo'. Un invito ad Enzo Perugini: vada oltre il 'borgo'; da storico di razza, ha i numeri per farlo bene.
Un'ultima osservazione: numerose pagine di Perugini rivelano la sensibilità del poeta autentico, che mi è confermata da una nota presente nella seconda edizione del libro di Giovanni A. Barraco La trama e l'ordito, pubblicata verso la fine dello scorso anno. Crocianamente - senza essere crociano -, ritengo da tempo che un po' tutti siamo, più o meno, poeti, e penso che Enzo Perugini sia tutt'altro che un solo o pochi fiammiferi poetici; e credo che abbia nel cassetto parecchie poesie di buona qualità. Comunque, la sua sensibilità poetica non traveste e non limita il rigore storico". (Rocco Fodale, Vincenzo Perugini, storico di razza, in Valderice 2008, pp. 36-38).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
- Artigianato rurale e movimento contadino, Valderice '90, pp.11-15.
- Genesi di un paese: Valderice, 1990; ristampa, 2006.
- Cronache di acque, Valderice '94, pp.13-15.
- Valderice: la terra, i giorni, 1994.
- Bonagia, un atto vercellese del '600 e un "Viceré", Valderice '95, pp.10-13 e Valderice 2000, pp. 42-45.
- P. De' Nobili e le "ddise" di Ragosia, Valderice '96, pp.19-21.
- Intorno alla fondazione dell'oratorio presso il Baglio "della Grana", Valderice '97, pp.13-16 e Valderice 2000, pp. 46-50.
- Intorno ad alcuni documenti sulla chiesa di San Giacomo Minore, Valderice '98, pp.16-19.
- Tangi e il sogno di immortalità di Casa Michiletto, Valderice '99, pp.3-9.
- L'ex feudo di Ragosia al pubblico incanto, Valderice 2000, pp.34-41.
- "Noi fummo i gattopardi, i leoni…", Valderice 2001, pp. 21-27.
- L'acqua del Santuario, Valderice 2002, pp. 3-14.
- La lunga storia del feudo Mafi, Valderice 2003, pp. 3-14.
- Carità del natio loco, Valderice 2004, pp. 3-16.
- "Taccuino di un'esperienza cominciata per caso", in Peer Educator, istruzioni per l'uso, a cura di E. Dalle Carbonare, S. Rossou; F. Angeli Ed., Milano 2004 e 2005.
- Il feudo valdericino dei Baroni di Cuddia, Valderice 2005, pp. 3-18.
- Valderice deliziosa, Valderice 2006, pp. 3-23.
- Per una storia inedita della tonnara di Bonagia, I, Valderice 2007, pp. 3-19; II, Valderice 2008, pp. 3-24.
- Introduzione a G. A. Barraco, La trama e l'ordito, Di Girolamo Ed., 2007, pp. 13-14.
- La contrada Anna Maria, le donne e i cavalieri, Valderice 2009, pp. 3-15.
- La Chiesa Maria SS. della Purità a Valderice (insieme con G. A. Barraco), Il. Sol.Co. Ed., 2009.
- I Baroni di Racanzili e il fondo Rizzuto, Valderice 2010, pp. 3-18.
- Valderice "fra giardini e acque", Valderice 2011, pp. 3-20.
- VALDERICE guida illustrata (insieme con G. A. Barraco), Il. Sol.Co. Ed., 2011.
ANTOLOGIA:
Le pagine di Barraco novellano di un tempo in cui le notti estive erano imperlate di lucciole e sulle distese dei coltivi fiorivano - radi - casolari e bagli; dagli usci aperti sulle viuzze dei borghi le voci delle comari, come i festoni per la solennità del Santo, s'intrecciavano con la battuta del passante e il berciare dei monelli, mentre dalle botteghe dei mastri rispondeva il picchiettio del martello o il lamento della sega. Suoni lontani da noi almeno quanto l'onomastica verghiana di questi racconti: Brasi, Masi, Jaca, Sasà…, connaturali al microcosmo cui appartengono così da non bisognare d'altro se non di un sommesso mastro o ronna, reclamando tutt'al più la compagnia d'un caustico soprannome.
Quel piccolo mondo che seguiva il fluire e rifluire delle stagioni rinascendo sempre uguale, dagli Anni Sessanta è andato pian piano sbiadendo, incalzato senza sosta da "suoni" ben diversi; poi un giorno, quasi ad un tratto, ci siamo accorti ch'era svanito. Barraco di quel mondo sembra voler trattenere il pulviscolo che involandosi ha lasciato dietro di sé, le flebili tracce tuttora percepibili nei paesi della vallata ericina. E lo fa ricercando parole, motteggi, sentenze passate in proverbio, nel grembo oggi sempre meno prolifico del vernacolo: così, in virtù di quel "fiat" l'altro ieri torna a vivere in una sequenza di quadretti dai colori sgargianti.
Ecco mastro Nittu e ronna Ciccia all'opera, impegnati ad interpretare la parte più congeniale insieme con gli altri loro sodali, tutti cittadini di una sorta di Olimpo paesano. C'è Nino comandato a bacchetta dall'imperiosa ronna Sara, la moglie; e Angelina con i suoi starnuti fragorosamente pluviali, e mastro Vincenzo, il virtuoso della fisarmonica che alza volentieri il gomito finendo regolarmente nel fosso, a cavallo della sua "Legnano". Il guizzo pittoresco, il segno bizzarro delle numerose "figurine" appena abbozzate si traduce in gustosa messa in scena: abitudini inveterate, impuntature, vizi e virtù rinascono per la breve durata di un aneddoto, il fatterello ripetuto chissà quante volte nelle veglie serali, all'osteria di ronna Concetta o sulla soglia di casa.
Il congegno di queste piccole storie è teso fin dall'inizio, scatta nel volgere di poche righe scivolando veloce verso la conclusione: come in un apologo, con lo stesso rigore con cui si dimostra un enunciato. E puntualmente gli "attori" si affrettano a ritirarsi nell'ombra da cui sono emersi, sostituiti subito da altri ancora, in una successione che sembra non voler finire, al ritmo circolare di una danza.
Ne La trama e l'ordito si narra un mondo dove ogni cosa è nota, consueta. Certo, c'è il mal maritato, la vicina pettegola, il figlio senza giudizio, malattie e povertà incombenti, ma dopo la tempesta si ricomincia. Se ne dà per inteso persino il querulo Nanai, uno degli abitanti del nostro Olimpo paesano: Eppuru, si campa! Saggezza dell'altro ieri, rusticana sapienza di un tempo, quando d'estate le lucciole imperlavano le notti, e queste erano profonde e silenti. (Introduzione a Giovanni A. Barraco, La trama e l'ordito, Di Girolamo Ed., 2007, pp. 13-14).
Sul versante rivierasco di Valderice le casine di delizia, come si chiamavano quelle che oggi sono dette banalmente "seconde case", s'infittirono entro pochi decenni.
Tra Sette e Ottocento divenne sempre meno comune che i possidenti per proprio conto coltivassero poderi e latifondi, preferivano delegare ai gabelloti e fittavoli. Liberi da incombenze venali, serbavano per sé le stanze voluttuarie della masseria, sul piano rialzato, e la verde cornice tutt'attorno, naturale espansione degli spazi interni, con il suo coronamento nel giardino, luogo produttivo e ornamentale insieme, circoscritto da mura, siepi o ben allineati cipressi. Una grande sala all'aperto dove la vita in villa - nei freschi effluvi alitanti tra il fogliame - trovava la sua scena ideale, impalpabile e dilettevole. Compulsando le carte degli archivi si avverte quasi l'ubiqua, mormorante presenza dell'acqua che alimentava cisterne, gebbie, pozzi, scorreva incanalata sino alla radice degli alberi. Mandorli, albicocchi, peri, cotogni agrumi, melograni, una morbida distesa sulla quale, con il superbo profilo d'una figura araldica, si slanciavano rade le palme.
La vita agreste veniva avvertita come calma, provvida pausa alle cure cittadine, testimone lo storico Castronovo; o quale semplice divertimento, che è quanto dichiarò agli ufficiali fiscali, nel 1815, il patrizio ericino don Mariano Curatolo. Ma il piacere della campagna poteva assumere un valore più intimo: la quies di antica memoria, i cui caratteri un anonimo proprietario volle scolpiti sul concio centrale d'un arco, ingresso alla sua residenza stagionale di Ragosia. La quies alludeva alla serenità dell'animo, allo studio, alla contemplazione anche religiosa. E quest'ultima diventava tangibile negli oratori poggiati alle mura dei bagli, accanto al portone o discosti di qualche metro; talvolta sostituiti nell'appartamento padronale con un altare celato in un armadio, dalle ante dipinte, e i puttini sospesi tra serti infiorati come nella casina che fu del garibaldino Giuseppe Coppola, ora in abbandono e cadente.
La natura collinare, le fonti e gli umori intensi della vegetazione, l'aria ingentilita dal mare, rendevano la nostra vallata raccomandabile pure come "remedium valetudinis": antidoto utile a lenire e sanare i mali del corpo. Ce lo rammenta il caso del trapanese Pietro Lo Monaco, che fisicamente mal condotto, attorno al 1780 scelse di trattenersi nella contrada della Venerabile Chiesa della Misericordia, per respirare quest'aere - riferì al notaio cui dettò il testamento - e riacquistare il […]pristino stato di salute. Sebbene il prosieguo della storia interessi poco, aggiungiamo che in quell'occorrenza l'amenità del sito si rivelò impotente sul morbo; "et in Arcadia Ego" reciterebbero certi quadri barocchi che mentre celebrano la mondana bellezza, facendo balenare d'improvviso i contorni d'un teschio ne additano, con dispettoso gusto, la vicenda effimera. (Valderice "deliziosa", brano letto da Stefania La Via il 25 novembre 2011 durante la presentazione di "VALDERICE guida illustrata" di Giovanni A. Barraco e Vincenzo Perugini,
Il. Sol. Co. Ed., 2011.
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