ANTONIO MICELI:
Nasce a Trapani il 13 Dicembre 1942
Meglio conosciuto come "Totò", è nato a Trapani il 13 dicembre del 1942. Iscritto all'albo professionale dei palombari nel 1966, gestisce da quarant'anni a Trapani l'omonimo cantiere nautico e al suo fianco è il figlio Giuseppe. A sei anni, praticava apnea e a dodici scendeva fino a 16 metri. Giovanissimo iniziò a lavorare nel negozio del padre, orologiaio. Dedito alla pesca, Totò scoprì presto la sua vera passione, che si sarebbe tramutata in occupazione principale: il recupero dei relitti, ramo nel quale a tutt'oggi è un caposcuola. L'incontro con i relitti durante le immersioni, ha stimolato in lui la voglia di "tirarli fuori" e nonostante il perfezionamento e la specializzazione in meccanica dell'orologeria in Germania, l'amore per i fondali ha avuto la meglio. Persona intelligente e caparbia, Miceli ha affinato le conoscenze acquisite in innumerevoli interventi di recupero, attraverso la sperimentazione e lo studio costante. Nel 66' si recò in Libia dove lavorò per sette anni, come sommozzatore nelle tonnare del conte romano, Ricotti. "Determinato, temerario e perseverante -così lo descrive la moglie Michela Barbara, la quale racconta pure i primi esperimenti quotidiani del marito- se decide di raggiungere un obiettivo, non lo ferma nessuno. Io assistevo alle prove tecniche del recupero, soprattutto quando fungeva da laboratorio, la nostra casa. I figli erano piccoli, e quando alla sera erano a letto, lo aiutavo manualmente, nei test di fisica: per esempio, con il filo di un rocchetto, alzavamo un bidone da dieci litri colmo d'acqua". Totò ha conosciuto Michela, quando lei, bella e vivace ragazza trapanese, aveva quindici anni. La loro storia d'amore iniziò quando "Lina", così la chiamano familiari e amici, portò ad aggiustare un orologio e Miceli, pur di rivederla, pare che abbia ritardato la data di consegna dell'orologio più volte. Da allora, la loro vita ha percorso una direzione comune e dalla loro unione sono nati tre figli: il maggiore, Vito, ingegnere navale, Mariangela, docente alla scuola secondaria di secondo grado e il più piccolo, Giuseppe, il Peppe oggi quarantatreenne che ha ereditato il sapere del padre e che ormai, con la propria esperienza acquisita, lo aiuta nella gestione del cantiere sempre all'avanguardia con le nuove normative. La vita di Totò Miceli, ruota attorno al cantiere, ai recuperi, al mare di Trapani e perfino i suoi hobby sono a tema, alcuni anni fa per esempio, ha acquistato la M/B "Barnett", adibita al salvataggio in mare, inaffondabile, nata in Inghilterra nel 1968 a completa tenuta stagna e autoraddrizzante, in forza alle capitanerie italiane ma in disarmo da ventitré anni, in due anni circa di duro lavoro l'ha rimessa a nuovo.
Tra le sue innumerevoli e difficili gesta marittime, si ricorda il recupero nel febbraio del 1985, dell'aliscafo porta missili "Astore" della Marina Militare, rimasto in secca a Punta Scario (nel mare di Marsala).
Le operazioni di disincaglio si rivelarono subito molto complicate, e tali da dover trasferire sul luogo, anche il pontone dotato di gru di sollevamento. Le ali del mezzo, che servivano per il sostentamento al di sopra della superficie dell'acqua, durante la navigazione ad alta velocità si erano incastrate sul fondo, che non era roccioso ma tufaceo. Inizialmente si recuperarono gli ordigni, si scaricò ogni peso superfluo per alleggerire il mezzo, e poi lo si imbragò per sollevarlo. Le ali furono letteralmente strappate dal fondo, quindi l'aliscafo fu rimorchiato verso il porto di Trapani. Ma inaspettatamente il tempo cambiò e il mare si ingrossò parecchio, si scatenò una tempesta di vento e di mare, rara in quelle zone. Il pontone di Miceli era a rimorchio e teneva legata di poppa la "Lina" (l'imbarcazione in legno, che Miceli utilizzava come unità in assistenza) con a bordo un suo marinaio. Giunti con non poche difficoltà a poche miglia dal porto di Trapani, quando il peggio sembrava ormai esser passato, gli eventi precipitarono di nuovo: un'onda di dimensione spropositata inclinò il pontone al limite del capovolgimento e scaraventò l'imbarcazione in legno sopra la poppa dello stesso pontone, squarciando totalmente la prora. Immediatamente la "Lina" colò a picco con tutte le attrezzature stivate al suo interno. Il marinaio Raimondo Meles che si trovava a bordo, si buttò in acqua per non affondare assieme all'imbarcazione, e scomparve fra le onde e nell'oscurità della notte. I mezzi di assistenza allertati da Totò Miceli, che procedevano assieme al convoglio, si misero subito alla ricerca del marinaio disperso e quando lo individuarono, assistettero ad uno spettacolo strabiliante, perché un'onda sollevò l'uomo e lo scaraventò sul ponte del rimorchiatore che lo aveva ritrovato. Seguirono momenti di panico poiché il marinaio era molto provato e semi assiderato, ma il tempestivo soccorso del personale del rimorchiatore, riuscì a salvargli la vita. Rientrati finalmente in porto, il Capo di Stato Maggiore elogiò gli artefici delle operazioni di disincaglio e in particolar modo, il titolare della ditta "Miceli", Totò.
Infine ecco di seguito un'altra ardita impresa, compiuta da Totò Miceli, in compagnia dei figli, Giuseppe e Vito.
Circa trent'anni fa, mentre l'attività al Cantiere Miceli trascorreva come da routine, giunse una chiamata di soccorso da parte del proprietario di uno yacht di 14 metri, rimasto incagliato nei cavi della tonnara a circa 1 miglio dalla costa, di fronte alle spiagge del lungomare di Trapani. Lo yacht a motore, aveva preso nell'elica il cavo di acciaio che sosteneva le reti della tonnara e a causa di ciò, si era bloccato con la poppa rivolta verso le onde, che quella mattina erano parecchio formate. Così, al sopraggiungere di ogni onda, imbarcava acqua che attraverso l'ingresso cabina si riversava al suo interno. Il comandante dello Yacht aveva attivato tutte le pompe di sentina a disposizione per contrastare l'ingresso dell'acqua, ma ciò sembrava non fosse sufficiente, pertanto bisognava intervenire con tempestività per evitare di allagare l'imbarcazione. Quella giornata imperversava un forte maltempo con venti da nord ovest, i bollettini nautici parlavano di vento forza 5-6 della scala Beaufort (altezza onda circa 2,50 mt). Raccolta la richiesta, per raggiungere la zona di mare si decise di usare l'imbarcazione in legno denominata "Nuova Lina", robusta e adattata a lavori di recupero. L'equipaggio, agli ordini del titolare della ditta "Miceli", il Comandante Totò Miceli, era composto dai figli Giuseppe e Vito e da Pietro Mangiapane, anche lui esperto uomo di mare. Date le pessime condizioni meteo marine, a bordo furono adottate le dovute precauzioni e s'indossarono i giubbetti di salvataggio. Usciti dal porto di Trapani e doppiato il molo della Colombaia, già si assaporava la maestosità delle onde: la "Nuova Lina" saliva lentamente e scendeva repentinamente fra i flutti. Tutto l'equipaggio era saldamente aggrappato lungo i corridoi laterali, quando improvvisamente un'onda di grosse dimensioni ruppe la cresta e sbatté violentemente contro il mascone di sinistra, in un solo istante, la "Nuova Lina" si sollevò e ruotò su se stessa. Lo spostamento fu talmente violento e immediato, che Giuseppe perse l'equilibrio e per evitare di cadere sopra le strutture di bordo, si lanciò in acqua.
Seguirono momenti di preoccupazione, appurato presto che Giuseppe stava bene, il comandante Totò effettuò una manovra tecnica: virò la barca di 180 gradi, si diresse verso il figlio e dopo averlo recuperato, guido la barca verso lo yacht.
Doppiato lo "Scoglio del Malo Consiglio", in lontananza si intravedeva lo yacht. Quando lo raggiunsero, Giuseppe e Vito fecero un giro di ricognizione subacquea, per capire quale fosse la soluzione più opportuna e veloce per disincagliarlo. La deduzione non fu ottimistica, perché sembrava che non ci fosse proprio nulla da fare: il cavo d'acciaio della tonnara, incattivitosi, si era serrato sull'albero porta elica di sinistra, perciò l'unico modo per liberare lo yacht era quello di tagliare il cavo. Priorità fu data al trasbordo dei passeggeri dello yacht, quattro adulti e tre ragazzi, nell'imbarcazione di salvataggio, per portarli a terra e fornire loro assistenza. Gli uomini decisero di rimanere a bordo, per cui le operazioni iniziarono con il far scendere tutti gli altri. Poiché l'altezza d'onda era notevole, la prima idea fu quella di far calare le persone in acqua e farle salire nella "Nuova Lina", ma la paura di affrontare le onde scoraggiava i malcapitati. Totò ponderò una via d'intervento rapida e precisa, per evitare che quando le due imbarcazioni si fossero trovate affiancate per il trasbordo, i naufraghi non rimanessero incastrati. Ecco la tattica di Totò: bisognava contare le onde e "prendere" quella più debole per farsi trovare in posizione nel momento giusto. Manovrando e sfiorando la fiancata dello yacht, dopo vari tentativi, tutte le persone eccetto i due uomini, furono portati sulla barca di Miceli. Ma considerata la pericolosità del percorso intrapreso all'andata, fu individuato quale salvifico approdo il porticciolo dell'Hotel Tirreno, a Pizzolungo. Giunti quindi nei pressi del molo frangiflutti, con una manovra ben studiata, Totò sfruttò l'energia dell'onda per acquistare velocità e manovrare con rapidità all'interno del piccolo porto, dove il mare era quieto. Fatti sbarcare gli ancora impauriti passeggeri, gli esperti marinai ripresero il mare e raggiunsero nuovamente lo yacht. A questo punto era necessario tagliare il cavo d'acciaio e l'operazione era impossibile da effettuare se non fossero prima stati rimossi i galleggianti che sostenevano il cavo a galla, in modo tale da avere più cavo in bando per riuscire a sollevarlo, tenerlo in qualche modo fisso a bordo della "Nuova Lina" e permettere con le attrezzature a disposizione di tagliarlo. Si tuffarono in mare Giuseppe e Vito, uno a prua e l'altro a poppa, cominciarono senza non poche difficoltà a recidere la serie di galleggianti e infine, riuscirono a tagliare il cavo di acciaio di prua. Nella stessa maniera si occuparono del cavo di poppa, ma eliminare questo fu più difficile, perché ora i due giovani non godevano di alcun riparo dalle onde che ostacolavano l'impresa. Ma i figli di Totò, tenaci come il padre, ebbero la meglio sulla foga del mare, tagliarono le due estremità e liberarono lo yacht che tornò così a solcare l'acqua, anche se non ancora con mezzi propri. Agganciato il cavo di rimorchio a prua, i Miceli fecero rotta verso il porto di Trapani e comunicarono alla Capitaneria di Porto, che per tutto il tempo era rimasta a circa un miglio a vigilare, il buon esito delle operazioni di disincaglio.
Arrivati in porto a Trapani, in una zona a ridosso del molo della Colombaia, Giuseppe si immerse per liberare definitivamente il cavo dall'albero porta elica. Una volta a terra, il lupo di mare Totò Miceli e i suoi uomini, ricevettero i complimenti da parte di tutti per l'operazione conclusa con maggiore vigoria rispetto ad altre, poiché il recupero, era avvenuto in minacciose condizioni di mare.
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